Sono passati nel silenzio l’80° anniversario della fondazione della Dc (19 marzo) e il 75° anniversario delle elezioni del 18 aprile 1948.

Dalla memoria collettiva è stato silenziosamente rimosso l’evento che ha deciso le sorti dell’Italia perché ricordare il pericolo comunista che incombeva sull’Italia (tramite il Pci) e la protagonista della straordinaria vittoria sul bolscevismo, la Democrazia Cristiana, infastidisce la cultura dominante.

Del Pci togliattiano il dibattito pubblico non si occupa perché la Sinistra, egemone sui media e nei salotti intellettuali, non vuole fare i conti con la storia. Della DC, che è stato il pilastro dell’Italia dopoguerra per quasi cinquant’anni, l’unico vero “partito della nazione”, non c’è più traccia nel dibattito pubblico. Probabilmente perché imbarazza riconoscere che “il più profondo rivolgimento sociale della storia italiana” (Paul Ginsborg) è stato realizzato da un partito cattolico sempre irriso e detestato dalle élite intellettuali, combattuto in tutti i modi dalla Sinistra, demonizzato dai media laici per decenni.

Eppure ciò che la DC ha fatto è qualcosa di prodigioso: ha preso un Paese pieno di rovine materiali (appena uscito dalla guerra) e civili (appena uscito da una dittatura). Ha consolidato una democrazia vera (che non c’era mai stata nemmeno prima del fascismo), ci ha collocati nell’Occidente libero, ha ricostruito il Paese distrutto realizzando poiun “miracolo economico” che ha stupito il mondo, fino a trasformare l’Italia contadina e povera nella quarta potenza industriale del mondo; ha garantito, per la prima volta nella storia, a tutti gli italiani sanità e istruzione: questo è stato il più grande ascensore sociale della sua storia.

Per la prima volta i figli del popolo hanno potuto studiare gratuitamente diventando classe dirigente del Paese.

Le riforme della DC – a cominciare da quella agraria – hanno allontanato dall’Italia la povertà (che era la sua realtà secolare) e hanno dato al Paese un solido e dinamico ceto medio, motore di sviluppo e pilastro di stabilità e prosperità. È l’unica vera rivoluzione della storia italiana e una rivoluzione pacifica. Una cosa mai vista.

Ma di tutto questo non c’è più traccia da nessuna parte. Anche fra gli ex diccì rimasti in politica pochi difendono la storia, i valori, i successi e l’onore del loro partito. Tanto meno la DC è presente nella riflessione politica di quel che resta del mondo cattolico, oggi ridotto a battaglie settoriali, a volte nate perfino da ideologie avverse (come nel caso dei cattolici dei partiti di sinistra). Neanche la Chiesa ha recepito, nella sua dottrina sociale, le novità emerse dalle politiche (soprattutto) della DC italiana e dal suo (quasi) cinquantennio di guida del Paese.

Penso all’enorme contributo che i democristiani hanno dato all’elaborazione della nostra Costituzione, a cominciare dai primi due articoli: il primo che (con gli articoli 3, 4 e 42) dà un carattere keynesiano allo Stato (si ricordi cosa sono stati l’Iri e l’Eni nella storia d’Italia), carattere contraddetto dalla UE (dai Trattati di Maastricht in poi); e il secondo che riconosce che i diritti dell’uomo (come individuo e come comunità) precedono lo Stato per scongiurare il pericolo dello Stato etico (dopo il totalitarismo fascista e quello comunista).

Chi oggi ha l’ambizione di costruire un nuovo “partito della nazione” dovrebbe guardare proprio alla Dc, unico modello storico realizzato (con successo cinquantennale).

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 22 aprile 2023

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