È iniziata la De-Globalizzazione. Quale libro potrebbe esserne il simbolo? All’inizio della globalizzazione, dopo il crollo del comunismo europeo, fu “La fine della storia (e l’ultimo uomo)” di Francis Fukuyama che annunciava la definitiva vittoria mondiale della democrazia liberale e dell’economia di mercato. In pratica un mondo unipolare e americanizzato. Era il 1992.

Invece Samuel P. Huntington con “Lo scontro delle civiltà (e il nuovo ordine mondiale)”, nel 1996, mostrò che la mondializzazione non sarebbe riuscita ad annullare le culture millenarie dei popoli le quali sarebbero diventate fortemente conflittuali. L’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 fece capire che aveva ragione.

Ma a confutare nei fatti Fukuyama è stata poi la stessa globalizzazione, partita con Bill Clinton, perché, puntando a trasformare in “fabbrica del mondo” la Cina che ci si illudeva di contagiare con le libertà occidentali, ha creato un nuovo gigante totalitario che oltretutto ha creato un’economia capitalcomunista che funziona e ha cannibalizzato la nostra manifattura, impoverendo l’Occidente, oltretutto contagiato dal sistema illiberale cinese.

Ora è arrivata la svolta. L’America profonda ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca per cambiare radicalmente strada. Infatti il primo libro simbolo di questo mutamento epocale è “Elegia americana” di J.D. Vance che racconta l’America devastata dalla globalizzazione. Non a caso l’autore di questo bellissimo libro è stato scelto da Trump come suo vice presidente.

Ma altri libri hanno colto o anticipato questa svolta storica. Per l’economia quello di Franco Bernabè, “In trappola. Ascesa e caduta delle democrazie occidentali (e come possiamo evitare la Terza guerra mondiale)”, uscito da Solferino. Mentre centra la questione ideologica Chantal Delsol con “Il crepuscolo dell’universale” (Cantagalli).

Per Delsol la Globalizzazione economica ha cercato di imporsi con un’ideologia universalista che ci ha riportato alle ideologie del secolo XX (con un aspetto diverso).

Ha per esempio riproposto l’utopia dello Stato mondiale: “Toynbee, si ricorderà, considerava l’avvento dello Stato universale (o meglio la sua aspirazione) come un chiaro segno del declino: eppure pochi imperi, dice, sono riusciti a non farsi irretire da questa illusione. Oggi è l’Occidente a soccombere a questa aspirazione alla totalità (…). La negazione delle appartenenze, delle nazioni, delle sovranità implica la creazione di norme universali e di una giustizia universale, e si fonda sul grande mito dello Stato mondiale”. Ma “un mondo composto da apolidi produrrà solo barbarie (…). L’universalismo postmoderno cerca di diluire tutte le identità, nazionali e di altro genere, in modo da rendere ciascuno di noi un nomade multiculturale e senza patria(…). Non si è mai vista fino ad ora una tale volontà di sradicamento dell’identità, ossia di spogliazione di sé”.

Delsol per la UE propone una svolta: “Considerare l’importanza delle identità nazionali, e quindi delle sovranità, e lasciare loro le proprie prerogative per tutto ciò che non riguarda l’Unione Europea nel suo insieme. Trasferire all’Unione solo le prerogative che concernono gli affari comuni. Ammettere, a questo proposito, che ogni paese membro è in grado di decidere ciò che lo riguarda, senza doversi sottomettere a un’ideologia forzata. L’universale occidentale è in via di disintegrazione, perché pretende di imporsi senza discussioni o correzioni a popoli che hanno già condannato i suoi veleni”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 12 aprile 2025