TRUMP HA FATTO QUELLO CHE CHIEDE LEONE XIV. SI COMINCIA A VEDERE UNA LUCE IN FONDO AL TUNNEL DELLA GUERRA
Tantissimi, a parole, invocano pace pace pace. Ma poi sono sempre pronti a distillare veleno, disprezzo e critiche contro l’unico leader mondiale che prova a lavorare davvero per la pacificazione: Donald Trump.
Rischiano di somigliare a certi personaggi della Bibbia: “La loro lingua è una freccia micidiale, essa non parla che in malafede; con la bocca ognuno parla di pace al suo prossimo, ma nel cuore gli tende insidie” (Ger 9:8); “parlano di pace al loro prossimo, ma hanno la malizia nel cuore” (Salmo 28:3).
Nei giorni scorsi molti attaccavano Trump perché – a loro dire – incontrava Putin per accordarsi con lui, escludendo Zelensky e l’Unione europea. Non è andata così.
Trump, prima e dopo, si è comportato da leader dell’Occidente. Il vertice dell’Alaska, al momento, non ha prodotto risultati concreti: è stato un primo passo. Ma Trump ha riferito a Zelensky e ai leader europei per discutere con loro dei passi successivi. È l’unico che ha cercato di far tacere i cannoni. Biden fece il contrario.
Trump ha fatto esattamente ciò che ha chiesto papa Leone XIV poco dopo la sua elezione: “i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io, col cuore in mano, dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile”.
Sembra la traccia su cui si è mosso Trump cercando di far iniziare trattative per far terminare una guerra cominciata sotto la presidenza Biden. Naturalmente ora i soliti critici lo accusano di aver fallito.
I media mainstream, con il loro pregiudizio universale, sostengono che Trump ha steso un tappeto rosso a Putin. Ma non è forse questa la prassi fra capi di stato? Doveva prenderlo a pugni?
Costoro dimenticano che la pace, se davvero la si vuole, si fa con i nemici (come ha detto il Papa) e i nemici spesso sono indigesti (Putin è un prodotto del vecchio comunismo). Gli statisti democratici sanno di dover trattare con loro per arrivare alla pace.
La storia insegna. L’ordine internazionale del secondo dopoguerra fu stabilito, dai leader occidentali Roosevelt e Churchill, con un tiranno orribile come Iosif Stalin nel febbraio 1945, a Jalta, in Crimea (fu anche un passaggio fondamentale per l’istituzione dell’Onu). Da lì vennero i nostri decenni di pace, sebbene dolorosi per l’Est europeo che restò sotto il comunismo. Purtroppo non esistono “paci giuste”, ma “paci possibili”.
I celebrati Accordi di Helsinki – che di recente il Papa ha indicato come modello per la risoluzione dei conflitti tramite la diplomazia – furono sottoscritti dagli Usa (insieme ad altri 33 Stati come l’Italia e la Città del Vaticano) con l’Urss di Breznev che solo sette anni prima aveva fatto invadere la Cecoslovacchia.
Il presidente americano Nixon, nel febbraio 1972, andò in Cina dove incontrò Mao Zedong (sotto la cui guida fra l’altro era stato invaso il Tibet). La sua visita sancì il dominio del Pacifico da parte americana e consolidò il distacco della Cina dalla Russia.
Oggi gli Stati Uniti puntano all’obiettivo di staccare la Russia dalla Cina. È un interesse strategico anche dell’Europa. Ma media e politici occidentali sembrano non capirlo.
Non è solo antipatia personale per Trump. C’è una radicata ostilità ideologica contro colui che ha mandato a casa i Dem: non gli riconoscono alcun merito e lo criticano anche a costo di contraddirsi nel giro di poche ore.
Del resto che Trump sia un pacificatore e che i media – e molte cancellerie occidentali – abbiano un pregiudizio contro di lui è evidente anche dall’indifferenza con cui sono state accolte le paci che Trump ha realizzato.
In questi giorni il presidente americano è riuscito a far firmare una pace storica ad Azerbaijan (musulmano) e Armenia (cristiana) alla Casa Bianca. Il conflitto andava avanti da decenni, fra alterne (e sanguinose) vicende, per il Nagorno-Karabakh. I leader dei due Paesi hanno annunciato che vogliono sostenere la candidatura di Trump al Nobel per la pace.
Sempre in questi giorni, a Phnom Penh, in Cambogia, oltre 2500 monaci buddisti hanno fatto una marcia fino all’ambasciata americana innalzando dei cartelli con la foto di Trump per esprimere la loro gratitudine: infatti il presidente americano, grazie alla leva dei dazi, è riuscito a imporre la pace fra Thailandia e Cambogia. Un monaco, davanti all’ambasciata, ha letto un messaggio in appoggio alla candidatura di Trump al Nobel per la Pace.
Sono ormai tanti i trattati di pace realizzati da Trump in pochi mesi (e si sommano a quelli del suo primo mandato, come i cosiddetti “accordi di Abramo”). Meriterebbe già ora il Nobel per la pace, ma continuerà a prendersi solo il disprezzo dei media, degli intellettuali e dei politici “progressisti”.
Dicevamo che l’incontro in Alaska mostra Trump come leader dell’Occidentedopo la tempesta dei dazi (dovuti peraltro a uno squilibrio commerciale provocato in gran parte da Cina e Germania).
Chi riteneva che egli seguisse solo una logica economica, puntando esclusivamente al riequilibrio dei conti degli Stati Uniti (obiettivo per cui è stato votato), infischiandosene del resto del mondo e della necessità di una leadership occidentale, è stato smentito.
L’America è tornata. Ma ora tutti devono fare la loro parte.
Oggi, fra i leader europei, solo Giorgia Meloni sembra aver chiara la necessità di tenere uniti Europa e Usa. Una questione vitale, non solo dal punto di vista militare, strategico ed economico, ma anche sul piano culturale, per il futuro della nostra civiltà.
Se c’è una speranza, nel mondo, per la pacificazione di tanti conflitti e per la soluzione di tante tragedie umanitarie (a cominciare da quella dell’immigrazione), passa dalla solida unità dell’Occidente.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 17 agosto 2025