Ma chi ha ucciso Aldo Moro?
Se gli studenti che in queste ore manifestano per le vie di Roma capitano a via Caetani, dove il 9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo dello statista assassinato, e leggono la lapide che ricorda la tragedia, cosa apprendono?
Ieri “Avvenire” ha sollevato il problema di questa incredibile lapide che “Il Comune di Roma pose nel I anniversario della morte”.

Se la grande targa bronzea risale al primo anniversario, significa che fu realizzata nel maggio 1979, al tempo della prima amministrazione di sinistra, con un sindaco eletto nelle liste del Pci.
E’ sconcertante che sia rimasta fino ad oggi. C’è da sperare che il sindaco Alemanno la faccia picconare via e sostituire perché – come si sente ripetere sempre a Sinistra – “la memoria è importante” e non ha futuro un Paese che la cancella o la stravolge.

Innanzitutto in quel testo, che ha carattere celebrativo istituzionale e ufficiale, non si è scritto (non si è voluto scrivere, perché certo non può essere stata una dimenticanza) chi furono gli assassini di Moro.
A chi dava fastidio la sigla “Brigate rosse”? Non si voleva riconoscere che, in questo Paese, c’è stato chi in nome del comunismo ha macellato gente indifesa.
Non a caso perdurava la censura sui massacri rossi del dopoguerra: da quel 1979 sarebbero occorsi ancora 25 anni prima che Giampaolo Pansa rompesse la congiura del silenzio.
E non a caso perdura tuttora il tabù sulla parola “comunismo” cosicché – anche nei manuali di storia – si parla di “crimini staliniani” o di “stalinismo” e non di comunismo, come sarebbe giusto, dal momento che l’orrore cominciò subito, con Lenin e continuò dopo Stalin e ha riguardato tutti i regimi comunisti, a qualunque latitudine.

Si irridono – è successo anche nei mesi scorsi – i giovani che, in certi esami, non conoscono le nozioni fondamentali della storia patria, ma poi – in una lapide ufficiale – si combina una tale pasticcio, che ovviamente offre il destro a tutte le dietrologie: lasciare così nell’anonimato l’identità politica degli assassini e la loro ideologia consente infatti alla dietrologia mitologica della Sinistra di continuare a pensare che a uccidere Moro in realtà siano state fantomatiche entità mosse ovviamente dalla volontà di ostacolare il Pci e impedire il compromesso storico.

Quindi, in sostanza, lasciare tutto nella nebbia permette di immaginare che a massacrare Moro siano stati degli anticomunisti e non dei comunisti combattenti.
Del resto la progressiva appropriazione della figura di Moro da parte del Pci è documentata pure dalla memorabile statua dello statista che fu posta nel suo paese natale, a Maglie, nella quale il politico democristiano è rappresentato con l’Unità nella tasca.

Ma leggiamo dunque questa stupefacente lapide del Comune: “Cinquantaquattro giorni dopo il suo barbaro rapimento venne ritrovato in questo luogo la mattina del 9 maggio 1978 il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro. Nato a Maglie il 23 settembre 1916, professore ordinario dell’Università di Roma, segretario politico e poi presidente della Democrazia Cristiana, più volte presidente del consiglio dei ministri della Repubblica italiana, per oltre trent’anni recò all’attività politica del Paese rinato alla libertà e alla democrazia, il contributo impareggiabile della sua lucida intelligenza, della rettitudine morale, di una squisita sensibilità, capace di cogliere, nella fedeltà ai principi fermamente professati, le varie esigenze emergenti della società italiana in rapida trasformazione.
Il suo sacrificio, freddamente voluto con disumana ferocia, da chi tentava inutilmente d’impedire l’attuazione di un programma coraggioso e lungimirante, a beneficio dell’intero popolo italiano, resterà quale monito e insegnamento a tutti i cittadini per un rinnovato impegno di unità nazionale, nella giustizia, nella pace, nel progresso sociale”.
Firma: “Il Comune di Roma pose nel I anniversario della morte”.

Come si vede è tutto un inno alla politica del Pci di quella fase. Non un cenno alle Brigate rosse, a quell’ideologia che ha teorizzato e praticato l’assassinio politico e l’uso della violenza e che per quindici anni ha provocato una vera guerra civile nel Paese.
Avvenire rileva che non vi si trova neanche un riferimento ai cinque uomini della scorta di Moro, massacrati al momento del rapimento, e soprattutto nessun “riferimento alla forte e indiscutibile identità cattolica di Aldo Moro”.
Il giornale dei vescovi parla di un testo “politically correct”, ma non è solo questo.
In realtà il testo appena riportato è un manifesto politico (per questo dovrebbe essere rimosso).
E’ un documento davvero emblematico dell’ideologia che il Pci riuscì a rendere dominante in Italia. E che un giornalista e storico come Paolo Mieli, attuale direttore del Corriere della sera, ha sintetizzato benissimo nel 2004: “la versione che attualmente va per la maggiore è più o meno la seguente: i comunisti italiani (eccettuate pochissime eccezioni com’è quella ultrademonizzata di Pietro Secchia) nel dopoguerra si profusero esclusivamente alla costruzione di un regime democratico; gli altri partiti – e in particolare la Dc – furono meritevoli solo in quanto vollero e seppero dialogare con il partito di Togliatti, Longo e Berlinguer; Dc e Pci avrebbero dovuto governare l’Italia per tutto il cinquantennio della Prima Repubblica e se ciò non accadde fu esclusivamente perché forze oscure ispirate o mosse direttamente dall’amministrazione statunitense cospirarono a che questo disegno non vedesse la luce.
Di più: queste forze di cui ho appena detto spadroneggiarono nel nostro Paese alla stregua di uno Stato nello Stato (o ‘doppio Stato’ che dir si voglia)”.

Mi pare una sintesi perfetta. E purtroppo a questa storiografia dominante hanno piegato la testa anche i cattolici.
Ha dunque ragione “Avvenire” a sollevare la questione del Moro cattolico, ma il problema è più ampio. Ed è tuttora di scottante attualità. Sia per gli eredi del Pci, sia per quelli della Dc e degli altri partiti laici. Ma ancor più per il mondo dei media, degli intellettuali e degli storici.

Fonte: © Libero – 31 ottobre 2008

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