Gli ecclesiastici – ricordando una battuta di Pio XI – dicono che di solito in Vaticano si smentiscono solo le notizie vere. Perciò, i tre studiosi che sulla rivista scientifica “Heritage” hanno pubblicato una ricerca sulla possibile individuazione della tomba di San Pietro (vedi “Libero” del 23 maggio), possono essere soddisfatti, infatti il Vaticano ha (ufficiosamente) controbattuto con un’intervista, a “Vatican news, del professor Vincenzo Fiocchi Nicolai, del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana.

Abbiamo dunque chiesto a Liberato De Caro,  Fernando La Greca ed Emilio Matricciani, di rispondere alle sue obiezioni.

Fiocchi Nicolai critica anzitutto le novità storiche del vostro studio, che sembrano le più interessanti.  

La tesi fondamentale del nostro lavoro si basa sull’analisi geometrica delle peculiarità architettoniche del complesso Mausoleo e Basilica dell’area cimiteriale delle catacombe dei Ss Marcellino e Pietro. Gli altri elementi indicati nel lavoro – definiti capisaldi dal prof. Fiocchi Nicolai – sono, in realtà, solo elementi di sostegno alla nostra scoperta principale: l’anomalia architettonica e planimetrica. Non siamo archeologi, certo, ma siamo comunque ricercatori consci dei metodi dell’indagine scientifica, anche multidisciplinare, come è questa. La geometria, la matematica possono e devono essere applicate nella ricerca in ogni disciplina scientifica, anche in archeologia. Le tangenti ai cerchi esterni ed interni del Mausoleo e della Basilica si intersecano sul cubicolo n. 58, dove si trova l’affresco dell’apostolo Pietro. La superficie del cubicolo è di circa 10 m quadrati. La superficie dell’intera area cimiteriale è di circa 3 ettari (30000 metri quadrati).

 

E’ un fatto significativo?

La probabilità che le rette tangenti si intersechino proprio sull’unico cubicolo delle catacombe dedicato all’apostolo Pietro è data dal rapporto tra le due aree, vale a dire una probabilità dello 0,03 %. Si tratta di un valore così basso che ogni ricercatore serio escluderebbe il caso. L’anomalia statistica inspiegata non è la presenza di un cubicolo dedicato all’apostolo Pietro, ma l’aver constatato che le rette tangenti ai cerchi del Mausoleo e della Basilica si intersechino proprio su quel cubicolo.  

 

Vi è contestata la vostra interpretazione della locuzione “in catacumbas” per negare che si riferisca a Torpignattara.

Le spoglie mortali di San Pietro potrebbero essere state spostate più di una volta durante il periodo delle persecuzioni, per paura di profanazioni. Non si può escludere che possano essere state momentaneamente custodite nelle catacombe al III miglio della Via Appia, e solo in seguito nell’area cimiteriale “Ad Duas Lauros”. Se, infatti, l’espressione “ad catacumbas” della Depositio Martyrum può essere associata al cimitero di San Sebastiano, sulla via Appia, non si può escludere che possa essere associata anche ad un’altra area cimiteriale, come quella “Ad Duas Lauros”.

 

Non state dando un’importanza eccessiva all’ipotesi sul punto esatto della sepoltura, a scapito delle novità storiche che avete reperito?

La nostra analisi matematica e geometrica porta ad individuare un’area molto ristretta non totalmente esplorata, verosimilmente al piano inferiore. Se si tratta di un’area non ancora esplorata, non si può escludere a priori che non possa risalire alle fine del III o inizio IV secolo: non si può datare uno scavo con certezza prima di effettuarlo e, come già osservato, le spoglie di San Pietro potrebbero esservi state nascoste in un qualunque periodo. Il nostro è un lavoro teorico, basato su indizi e soprattutto sull’analisi geometrica delle peculiarità architettoniche del complesso Mausoleo e Basilica. Un approccio scientifico auspicabile richiederebbe una verifica sperimentale del nostro lavoro teorico: uno scavo per avvalorare o confutare quanto da noi proposto.

 

Vi è contestata pure la vostra scoperta secondo cui – per il titolo “beatus” – le catacombe “ad duas lauros” erano anticamente intitolate proprio a San Pietro.

Certamente il termine beatus è impiegato comunemente per tutti i santi. Ma la nostra affermazione – riportata qui di seguito alla lettera: “Let us note that in the whole Liber Pontificalis, the expression ‘Beato Petro’ is only used to indicate St. Peter the Apostle, the first pope” – evidenzia come nel Liber Pontificalis il “Beato Petro” è riferito solo all’apostolo. Sembrerebbe un dato insignificante. Ma nel Liber Pontificalis (pag. 65 di Mommsen, T. Gestorum Pontificum Romanorum, Libri Pontificalis, Pars Prior; Berolini-Apud Weidmannos: Berlin, Germany, 1898; Volume 1), quando si chiarisce a chi sia dedicata la basilica sorta nell’area cimiteriale “ad duas lauros” sono riportate due versioni, l’una affianco all’altra, in due colonne differenti:

  • Basilicam beatis martyribus Marcellino presbítero et Petro exorcistae, con chiaro riferimento ai mártiri del periodo dioclezianeo;
  • Basilicam via Lavicana inter duos lauros beato Petro et Marcellino martyribus, associando l’appellativo di beato non a tutt’e due i martiri ma solo a Pietro, come a voler enfatizzare il primato del primo, in termini di importanza, sul secondo. È questo che permette di dedurre che i manoscritti più antichi si riferissero all’apostolo Pietro, morto martire con Marcellino, su cui si è sovrapposta una tradizione più tardiva dei due martiri del IV secolo.

 

Però papa Damaso aveva scritto addirittura un carme per i due martiri del IV secolo…

Non ci interessa più di tanto quello che Damaso dice dei martiri del IV secolo Pietro e Marcellino, ma quello che dice degli Apostoli Pietro e Paolo, in un famoso epigramma (ED 20), che è stato collegato alla loro sepoltura in catacumbas. Ivi, sulla Via Appia, restava il culto dei fedeli, ma i corpi non erano più là. E si comprende che il prudente papa Damaso non poteva parlare chiaramente della sepoltura dell’apostolo Pietro, in quanto i nemici della Chiesa erano ancora molti. Ai pericoli andavano aggiunte le pretese dell’imperatore Teodosio che sembra avesse chiesto i corpi per portarli a Costantinopoli, la “nuova Roma”, mentre Damaso rivendicava Pietro e Paolo quali cittadini di Roma. Queste testimonianze sostengono l’ipotesi della ripetuta traslazione delle reliquie in luoghi diversi e nascosti.

 

Fiocchi Nicolai afferma: “Quanto all’iscrizione, essa può essere considerata l’epitaffio di un omonimo dell’apostolo (il cognomen Petrus è molto diffuso), morto, accidentalmente, il medesimo giorno della festa dei santi Pietro e Paolo”.

Sono ipotesi di lavoro che abbiamo citato nel nostro studio. Esse si basano su una serie di coincidenze curiose: un certo Pietro, morto proprio il 29 Giugno, cui viene dato l’appellativo di dominus, fa incidere una lapide che viene ritrovata proprio nella regione della catacomba dov’è il cubicolo n. 58, quello con l’affresco dedicato all’apostolo Pietro, in un’area cimiteriale di 3 ettari… sembra proprio un volersi arrampicare sui vetri. L’ipotesi alternativa, da noi proposta, è che si tratta proprio di una lapide commemorativa della deposizione dell’apostolo Pietro, come il quadro dei dati sin qui discussi sembra indicare.

 

Vi contestano anche per aver scritto che l’attuale basilica di San Pietro non è costantiniana…

La storiografia contemporanea – si veda il saggio di Alessandro Barbero citato nel nostro articolo – è propensa a considerare la Basilica di San Pietro come un’opera non attribuibile a Costantino, ma ad uno dei suoi figli. Fu costruita verosimilmente sul Colle Vaticano perché quello sarebbe il luogo del martirio dell’apostolo Pietro… Se la Basilica l’avesse fatta costruire proprio Costantino, perché Eusebio e altri storici cristiani del IV secolo non ne parlano, pur ricordando le sue opere a Costantinopoli? Avrebbero dimenticato l’opera più importante fatta edificare da lui?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 3 giugno 2021

 

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