Ci sono molti libri sulla preghiera, ma quello di Paolo Prosperi, Il canto della vita (Cantagalli) è davvero singolare.

A partire dalla Premessa in cui l’autore – sacerdote e teologo che ha insegnato a Mosca e Washington e oggi in diverse facoltà pontificie – scrive: “un grazie assolutamente speciale agli abitanti del bosco di Cabin Jones che così tanto mi hanno insegnato in materia di preghiera, nel corso delle tante, lunghe ore trascorse a pregare in loro compagnia. Ringrazio i cervi, innanzitutto, maestri di libertà e disinvoltura dell’anima. Ringrazio i raccoon, le volpi e gli scoiattoli, guizzanti e leggeri, agili e giocondi. Ringrazio i falchi e gli aironi, i corvi e le upupe, gli usignoli e le gazze, i picchi e tutti gli altri uccelli di cui ignoro il nome, ma ho imparato a riconoscerne ed amarne le voci. Ringrazio i germani reali e rendo omaggio al gufo reale, che per ben due volte, proprio all’alba, s’è degnato di levarsi in volo davanti a me. Ringrazio il ruscello, dalle acque sempre limpide e trasparenti. Ringrazio gli alberi, le foglie, le rocce, i sassi. Anche e forse soprattutto a loro è dedicato questo libro, poiché per più ragioni, che riposano in Dio, molto di ciò che in queste pagine è scritto non avrebbe mai visto la luce senza il loro contributo”.

Ancor prima di san Francesco, ricorda san Bernardo: “Credi a chi ne ha esperienza: nelle selve troverai qualcosa di più che non nei libri. La legna e le pietre t’insegneranno ciò che non puoi ascoltare dai maestri”.

Ciò detto, Prosperi – specializzato in teologia dogmatico-patristica – costruisce la sua meditazione sul robusto terreno teologico dei Padri della Chiesa, fa echeggiare voci spirituali come Efrem il Siro o Jacopone da Todi o Nicola Cabasilas e la grande teologia del ‘900 di Daniélou, Guardini, Ratzinger, Balthasar. Poi Barsotti e Giussani.

Spazia nella letteratura, da Leopardi a Hölderlin, da Dostoevskij a Jane Austen, da Péguy a Tolkien. Con incursioni nel pensiero moderno, da Eliade a Levinas, da Ricoeur a Lewis. Ma prediligendo il linguaggio mistico della teologia giovannea.

L’autore si chiede perché talora sembra che Dio ignori le nostre preghiere. Così cita il Catechismo: pregare è combattere, pregare è lottare”. E, dopo aver analizzato due episodi evangelici, conclude: “Se il Signore a volte recalcitra, è perché anche a lui piace essere vinto, e proprio così dimostrarsi tanto più generoso”.

Infatti ci onora concedendoci “di arrivare davanti a lui fieri del fatto che la ‘salvezza’ di coloro che amiamo sia stata prodotta non solo dalla sua grazia, ma anche dalla perseveranza della nostra fede. Nulla è più empio, in questo senso, dell’idea che la nostra preghiera non abbia reale potere di ‘cambiare’ alcunché, né in noi né nel mondo attorno a noi. Cos’è il nostro pregare? Flatus vocis, un soffio. Eppure, proprio dalla segreta potenza nascosta in questo esile soffio, le forze del male sono continuamente sgominate”.

Infatti la preghiera cristiana “è anche azione politica, nel senso più letterale del termine. È cioè un’azione dall’incalcolabile (nel senso di non valutabile in anticipo) potenziale di incidenza sociale e cosmica”.

Giussani poi va al cuore del tema: “L’espressione compiuta della preghiera è di essere domanda. E quindi l’espressione originale dell’esistenza umana è domanda. Soltanto così la solitudine è eliminata… L’esistenza si realizza sostanzialmente come dialogo con la grande Presenza che la costituisce, compagno indivisibile”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 gennaio 2024

 

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