Chi ha vissuto gli anni Settanta sa quanto il ‘68 ha fatto per spazzar via dalla Scuola italiana quello che meritava di essere studiato, ovvero quello che il conformismo rosso riteneva un retaggio reazionario del passato. Fra l’altro la Divina Commedia e i Promessi sposi (l’odierna “cancel culture” non ha inventato niente).

I danni del ‘68 sono stati incalcolabili e permangono. Tuttavia è difficile oggi trovare qualcuno che ancora si attardi a ripetere gli slogan e gli argomenti di cinquant’anni fa.

Si assiste addirittura all’entusiastica riscoperta di Dante e della Commedia (anche se nella scuola tale riscoperta non c’è) da quando Roberto Benigni ha trasformato Dante da “reazionario” (come veniva bollato) in simpatica spalla della sua comicità “politicamente corretta”.

Però l’eccezione (un discorso che sembra arrivare dal millennio scorso) c’è. Umberto Galimberti, in una conferenza il cui video circola in rete, afferma: Siamo stati anche educati malissimo. Io sono del parere per esempio che bisogna far smettere di leggere ai ragazzi i Promessi Sposi. Ve lo dico sinceramente. Perché, cosa succede? È un romanzo bellissimo, scritto in una maniera folgorante, una grande letteratura, ma non puoi dare a un ragazzo, a un ginnasiale, il messaggio che quello che conta nella storia lo fa la Provvidenza e tu non conti un tubo. Ma che discorsi sono questi? Tu conti nella misura in cui agisci nel mondo e nella storia! Ecco, questo messaggio che c’è comunque un disegno superiore che risolve tutti i problemi… ma non c’è questo disegno: o ti dai da fare o ti dai da fare!”

Di cosa sta parlando? Non sembra che parli del Manzoni. Bisogna conoscere prima di sentenziare. Sarebbe utile a Galimberti leggere le manzoniane “Osservazioni sulla morale cattolica”. E anche “Il Canone occidentale” di Harold Bloom per capire che non si leggono i classici per cercarvi una pedagogia di “buoni esempi”, cioè per trovarvi incarnate “le insopportabili virtù morali che compongono la nostra presunta gamma di valori normativi e principi democratici”.

Del resto con il banale argomento di Galimberti dovremmo cancellare anche la Divina Commedia che illustra (come la Cappella Sistina) il giudizio ultraterreno del credo cattolico che dovremmo considerare superstizione diseducativa (e l’Agnus Dei di Mozart e Caravaggio e Tasso…). Cosa rimane?

Carlo Dionisotti in “Storia e geografia della letteratura italiana”, scrive: “Bisogna rinunciare alla illusione che la tradizione laica abbia radici ininterrotte e profonde nella storia della letteratura italiana. Soprattutto bisogna accettare il fatto che questa storia è per più secoli inseparabile (…) dalla presenza attiva e responsabile della Chiesa”.

D’altra parte i “Promessi sposi” sono anzitutto il poema civile degli italiani, per secoli invasi e oppressi da potenze straniere. Inoltre l’opera manzoniana ha avuto un ruolo determinante nella scelta e nella diffusione della nostra lingua.

Il padre della cultura laica, Benedetto Croce, scrisse sul “sentimento cattolico del Manzoni…che esso risponde a una concezione morale della vita quale anche un non cattolico ma di alto animo fa sua”.

Croce fece infine notare che raccontando di “un parroco vigliacco”, di un frate che aveva nel suo passato giovanile un omicidio e una monaca (di Monza) dalla vita tenebrosa, il Manzoni non può certo essere sospettato di aver fatto della propaganda clericale. Il suo capolavoro è un pilastrodel “canone italiano” da studiare a scuola.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 3 settembre 2022