Era stato Donald Trump (nientemeno), a Davos, nel gennaio scorso, a esaltare messer Filippo Brunelleschi, indicandolo come simbolo del genio italiano e – probabilmente – ignorava che proprio quest’anno si celebrano i 600 anni del suo capolavoro: la Cupola di Santa Maria del Fiore.

Fra i tanti interventi e le tante celebrazioni che in questi giorni illustrano il miracolo architettonico del Brunelleschi, si può dire che le cose dette da Trump restano le più suggestive, anche perché rivolte a quelle élite europee e globaliste che detestano le nostre radici cristiane: “Le cattedrali d’Europa” ha detto il presidente “ci insegnano a perseguire grandi sogni, avventure audaci e grandi ambizioni. Ci esortano a considerare non solo ciò che costruiamo oggi, ma ciò che resterà molto tempo dopo la nostra scomparsa. Testimoniano il potere della gente comune di realizzare risultati straordinari quando uniti da uno scopo nobile e grandioso.

Trump ha indicato proprio i costruttori di cattedrali italiani come esempio: “Secoli fa, al tempo del Rinascimento, abili artigiani e operai guardarono verso l’alto e costruirono le strutture che ancora toccano il cuore umano. Tuttora, alcune delle più grandi strutture del mondo sono state costruite centinaia di anni fa. In Italia, i cittadini un giorno iniziarono la realizzazione di quello che sarebbe diventato un progetto di 140 anni, il Duomo di Firenze. Un luogo veramente incredibile. Sebbene non esistesse ancora la tecnologia per completare il loro progetto, i padri della città andarono avanti, certi che un giorno l’avrebbero trovata. Questi cittadini di Firenze non accettarono limiti alle loro alte aspirazioni e così fu finalmente costruita la Grande Cupola.

Sarebbe bello avere governanti, in Italia e in Europa, che sapessero apprezzare egualmente la bellezza della nostra storia e trarne ispirazione. Ma su quella straordinaria cupola e sulla cattedrale di Santa Maria del Fiore – che fu voluta come la più grande chiesa della cristianità – c’è molto altro da scoprire.

Chi più e meglio di tutti ne ha colto i significati e il grandioso simbolismo è uno studioso americano, fra i massimi esperti dell’arte italiana del Rinascimento, Irving Lavin, docente a Princeton (l’università di Einstein). Il suo libro “Santa Maria del Fiore. Il Duomo di Firenze e la Vergine incinta” (Donzelli) è davvero prezioso.

Anzitutto Lavin spiega come nasce il progetto della grande cattedrale che, nel 1296, nella cerimonia di benedizione, fu intitolata alla Vergine e le “fu attribuito con un misterioso gioco di parole l’epiteto ‘del Fiore’ che fuse insieme la maternità universale della Chiesa con alcuni riferimenti più locali”.

Infatti “il fiore alludeva allo stesso tempo al nome della città e al suo stemma araldico, il giglio, simbolo della purezza della Vergine. Il giglio” ricorda lo studioso “era tradizionalmente associato all’Annunciazione che segnava l’inizio della nascita verginale, il giorno della festa cittadina e la ricorrenza del Capodanno fiorentino. Il fiore si riferiva anche al frutto finale dell’Albero di Iesse, il figlio della Vergine, Cristo stesso”.

Essendo il Figlio di Dio la primavera del mondo, il Fiore è la sua ovvia metafora. La si trova anche in san Bernardo di Chiaravalle secondo cui “Flos est filius Virginis” (il Fiore è il figlio della Vergine).

Ma tutta la storia della Cattedrale celebra questo simbolismo. Lavin cita come esempio la Provvisione del 29 marzo 1412 con la quale “i sovrintendenti istituivano ufficialmente l’Annunciazione come una festa speciale della Cattedrale. Qui l’Annunciazione stessa, come l’incarnazione, è definita il ‘fiore e l’inizio della nostra redenzione’”.

La Cattedrale dunque celebra il momento dell’Angelus, in cui il “sì” di Maria fece sbocciare nel suo grembo il Dio-Uomo, la salvezza dell’umanità. Dante, nella Divina Commedia, canta quell’istante con versi bellissimi: “L’angel che venne in terra col decreto/della molt’anni lacrimata pace,/ ch’aperse il ciel del suo lungo divieto” (Purg. X).

Proprio il capolavoro dantesco contiene la più grandiosa celebrazione del “fiore” come metafora di Gesù. Lavin è colpito da una terzina del canto finale della Commedia, quello in cui proprio san Bernardo, rivolgendosi alla Vergine, dice: “nel ventre tuo si raccese l’Amore/ per lo cui caldo ne l’etterna pace/ così è germinato questo fiore”.

Nella Commedia il tema del “fiore” è centrale e forse tuttora inesplorato. A questo punto Lavin prospetta un’ipotesi suggestiva: Dante, che era una personalità politica influente negli anni in cui Arnolfo di Cambio è incaricato del progetto della Cattedrale (infatti era membro del Consiglio dei Cento) “può ben aver avuto un ruolo nella sua concettualizzazione” (di Santa Maria del Fiore).

Così “è davvero allettante pensare la cattedrale di Firenze, con il grande spazio a cupola della sua crociera inteso come contenitore uterino per il sacrificio di Cristo sull’altare, come una metafora dell’Incarnazione”.

In sostanza “l’esterno risplendente dedicato alla Vergine e ornato per celebrare il matrimonio di Cristo con la sua Chiesa, l’interno cupo che ospita Cristo nella sua forma sacramentale”.

Dunque “il contenitore – la sposa vergine e madre di Gesù; il contenuto – il Salvatore del genere umano… Lo stesso Brunelleschi può aver avuto in mente questo tema” parlando dell’involucro esterno della cupola che l’avrebbe resa “più magnificente e imponente”.

Dunque la cattedrale vestita come una sposa e la grande cupola che allude al grembo gravido della Vergine, davvero sposa dello Spirito Santo.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 26 aprile 2020