E’ cambiato il vento. D’improvviso la mano invisibile dei padroni del pensiero ha capovolto il pollice su internet e sui i social.

Lorsignori del mainstream hanno deciso che la Rete – fino a ieri simbolo delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità – è diventata la terribile minaccia che incombe su di noi, “il lato oscuro della forza” che può distruggerci.

Addirittura Sean Parker, inventore di Napster, uno che fu tra i primi collaboratori di Mark Zuckerberg a Facebook, spara a zero sui social media: “approfittano delle vulnerabilità della psicologia umana” producendo dipendenza dalla rete e “Dio solo sa cosa sta facendo alla mente dei bimbi”.

Ci va pesante: “si sta sfruttando una vulnerabilità della psicologia umana. I creatori, gli inventori, come me, Mark, Kevin Systrom di Instagram, lo capivamo perfettamente. Ma l’abbiamo fatto lo stesso”.

Non è il primo. Da un anno a questa parte nei Palazzi del potere soffia quest’aria qua. E’ tutto un bau bau, tutto un puntare l’indice sulla rete, tutto un fare piani di guerra. Lo si vede sui media. D’improvviso sono apparsi nuovi bersagli polemici e vengono ripetute nuove parole d’ordine. Basta passare in rassegna i giornali.

C’è per esempio da alcuni mesi l’isterica campagna sulla “minaccia” delle fake news che suscita nei Palazzi del potere progetti di bavagli e censure e alimenta una propaganda allarmistica perfino nelle scuole (come se tutti i poteri e i regimi non avessero da sempre sguazzato nelle fake news).

Poi c’è l’enfatica e lacrimevole crociata contro l’hate speech, le parole di odio, cioè gli insulti via web di cui nel Palazzo si accorgono solo adesso perché qualcuno insulta loro (dimenticando che per decenni si è professata un’ideologia sinistra che è stata egemone e che dell’insulto, della demonizzazione e dell’odio di classe aveva fatto una pratica politica di massa).

Altri temi del nuovo bau bau mediatico: si va dalla mitologica resurrezione della Spectre chiamata “hacker russi” fino dalla comica denuncia delle “interferenze” del Cremlino sulle elezioni Usa (se non lo sapete ci stanno dicendo che dei post “russi” su Facebook avrebbero determinato la vittoria di Trump, roba da scompisciarsi dal ridere).

E ancora: c’è l’invenzione della Web Tax e c’è pure l’improvviso anatema sui telefonini lanciato in questi giorni da un re del selfie come Bergoglio.

I giornali da un po’ sono pieni di guru dell’aria fritta che criminalizzano gli smartphone e mi dispiace annoverare nell’ovvio dei popoli anche il libro “Metti via quel cellulare” di Aldo Cazzullo (il cui talento abbiamo apprezzato in libri un po’ più significativi).

Solo la ministra Fedeli, fuori tempo massimo, non ha capito che c’era stato un “contrordine compagni” e a settembre se n’è uscita con l’idea di autorizzare l’uso dei telefonini a scuola: naturalmente è stata seppellita dai fischi e si è ritirata in buon ordine.

Mi direte: ma non ti rendi conto che si è creata ormai una dipendenza di massa da quegli aggeggi elettronici che portiamo sempre con noi? Certo, me ne rendo conto così bene che queste cose le ho scritte in tempi non sospetti, proprio su queste colonne, cercando di capire il bisogno profondo di “essere connessi”, cioè di esserci, che si agita nell’anima.

Potete controllare: l’articolo uscì il 5 giugno 2016. Ma a quel tempo, circa un anno e mezzo fa, non era ancora scattato il pollice verso su telefonini, social e rete. Si era ancora nell’età dell’oro di internet.

Cosa è accaduto da un anno e mezzo a questa parte per capovolgere il sentimento dominante dei Palazzi su internet? La risposta è molto semplice: la Brexit a Londra e la vittoria di Trump negli Stati Uniti (in Italia forse si potrebbe aggiungere anche il fenomeno M5S).

La Brexit e la vittoria Trump – due svolte storiche totalmente impreviste e inaccettabili per l’establishment – di colpo hanno fatto aprire gli occhi al potere: avevano creato la rete come Grande Fratello globale e funzionava magnificamente per l’omologazione, l’appiattimento e il controllo.

Ma poi d’improvviso la gente ha cominciato a usare la rete in proprio per lo scopo opposto: sottrarsi al pensiero unico, eludere le narrazioni ufficiali, cercare notizie e spiegazioni “diverse” e più esaurienti che possono circolare a costo zero.

Da qui viene fuori Trump. E questo ha scatenato il panico nei palazzi e la demonizzazione della rete.

Avevano creato “la rete” come il nuovo paese dei balocchi prospettandolo come il mondo del futuro. Con essa è decollato il turbocapitalismo – quello che in un batter d’occhio – sposta capitali da un capo all’altro del pianeta decretando la vita o la morte di popoli e stati.

Sono nate le nuove multinazionali di internet, nababbi dell’immateriale che dominano sul pianeta con guadagni stratosferici che magari cercano di pagare meno tasse possibile, però fanno i paladini dell’ideologia “politically correct” che è il nuovo imperialismo ideologico.

Si è imposto così il nuovo modello antropologico: essere globali e digitali, connessi e cosmopoliti. Insomma omologarsi al pensiero unico.

La rete ha messo ko interi settori, dai giornali a certe aree del commercio, ma – ci dicevano – è il progresso, bellezza, è il futuro.

Non è certo scattato l’allarme per questo, anzi: era la new economy, era tutto businnes. Anche l’uso censorio e ideologico dei social ha trovato d’accordo i padroni del pensiero e delle “ferriere”.

Il loro terrore è scattato invece quando si sono accorti di non controllare più il giocattolo. E’ arrivato Trump, la Brexit e c’è perfino Putin.

Orrore! Così ora tutti gridano “al lupo! Al lupo!”.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 12 novembre 2017

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