Dopo le polemiche sul 25 aprile, spero che venga il giorno in cui questa data non sarà più la celebrazione dei (soli) partigiani comunisti (con i fischi alla Brigata ebraica che combatté per noi).

Spero che festeggeremo davvero la liberazione del nostro Paesedall’occupazione tedesca, dalla dittatura fascista e dalla guerra, com’era nelle intenzioni del presidente del consiglio Alcide De Gasperi quando istituì tale festa il 22 aprile 1946.

Quel giorno onoreremo gli eserciti alleati che hanno liberato il nostro Paese, i partigiani (tutti, non solo quelli rossi), quei 600 mila soldati italiani che, dopo l’armistizio, rifiutarono l’arruolamento con la Germania finendo nei lager a patire fame e malattie (ne morirono 40 mila in prigionia), eroi veri e di solito dimenticati.

Berlusconi, nel famoso discorso di Onna (25 aprile 2009), ricordò “tutti i caduti, anche quelli che hanno combattuto dalla parte sbagliatasacrificando in buona fede la propria vita ai propri ideali e ad una causa già perduta. Questo non significa naturalmente neutralità o indifferenza. Noi siamo dalla parte di chi ha combattuto per la nostra libertà”.

Ma soprattutto onoreremo il popolo italiano che, trascinato in un conflitto folle, pagò, non solo con il sangue dei suoi figli in guerra, ma, dopo l’armistizio, con la devastazione del nostro Paese trasformato in campo di battaglia (morirono circa 66 mila civili).

Altro che zona grigia. Fu un popolo che, indifeso e coraggioso, subì sulla propria pelle, in casa propria, il più rovinoso conflitto della storia umana. Lo ha spiegato Alberto Leoni, nel libro Il Paradiso devastato (Ares).

Ma Leoni ha anche raccontato un capitolo sconosciuto di questa tragedia collettiva che fa capire dove gli italiani attinsero le risorse morali per sopportare questo dramma e poi ricostruire l’Italia facendone uno dei Paesi più prosperi e più liberi del mondo: nella fede cristiana insegnata e testimoniata dai suoi sacerdoti, inermi e coraggiosi.

Nel libro “O tutti o nessuno!” (Ares), Leoni racconta la storia dei 123 sacerdoti e religiosi morti in Emilia Romagna nella seconda guerra mondiale. Il titolo riporta le parole che pronunciò don Elia Comini (uno dei preti trucidati dai nazisti a Monte Sole) quando, potendo salvarsi, scelse di stare con la sua gente.

Leoni ha ricostruito anche le cifre complessive del Martirologio del clero italiano nella seconda guerra mondiale e nel periodo della Resistenza 1940-1946, edito nel 1963 dall’Azione Cattolica.

In tutto si tratta di 729 sacerdoti e religiosi: “172 uccisi dai nazisti, 23 dai ‘neri’, 108 dai ‘rossi’ (italiani o jugoslavi, ndr)”. Uccisi in odio alla fede. Gli altri sono sacerdoti morti nello svolgimento della propria missione. Come i cappellani militari e i preti morti sotto i bombardamenti con la propria gente.

Leoni ricostruisce tante storie eroiche come quella di don Alberto Carozza che – sulla nave colpita da un siluro – “assisteva i feriti” e “vedendo che un soldato non aveva il salvagente gli cedette il suo e affondò con la nave”. O come don Ettore Barucci che, durante un bombardamento “rifiutava esplicitamente di cercare riparo” per “impartire l’estrema benedizione” a due soldati.

Nel caos che seguì all’8 settembre i parroci non fuggirono e furono per le loro comunità l’unico punto di riferimento.

Dettero “la vita per la Chiesa e per il proprio gregge” scrive Leoni. In quelle tonache senti “l’odore delle pecore”, come dice il Papa. È la storia (ignota) di una Chiesa di popolo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 4 maggio 2024

 

Print Friendly, PDF & Email