Mentre ringrazio lo splendido popolo ciellino per aver sonoramente fischiato il signor Fini (vedi nelle news l’articolo del Corriere della sera), ecco qua i due articoli dello scandalo sull’ ingenua mitizzazione del personaggio di Cervantes e una lettera al Foglio. Le risposte intolleranti e denigratorie che ho ricevuto aprono il vero grande problema su cui si dovrebbe riflettere: la libertà.

Viva don Giussani (non Don Chisciotte)
Lettera al Meeting
Il Meeting riminese quest’anno comincia con un autogol che fa sorridere. Ottima idea usare le parole di Cervantes per mettere a tema la libertà (vedremo poi lo svolgimento: anche all’interno di CL). Ma gli organizzatori sono incorsi in un clamoroso infortunio prendendo a prestito dallo scrittore spagnolo non solo le parole del titolo, ma anche il suo squinternato personaggio – Don Chisciotte – e promuovendo questo straordinario imbecille a “eroe” del Meeting stesso, come un Cavaliere che “rappresenta fondamentalmente la lealtà verso un ideale che corrisponde infinitamente al cuore dell’uomo” (così si legge sulla rivista di CL).

In realtà Don Chisciotte non è un cavaliere è piuttosto la grottesca caricatura dell’antico cavaliere medievale. Possibile che non se ne siano accorti? Tanto valeva allora evocare pure Brancaleone da Norcia. E’ incredibile indicare come modello di umanità un picchiatello di quelli che si mettono lo scolapasta in testa e a cavallo della scopa gridano “carica!” contro un mulino a vento.

A dire il vero, però, quella di Don Chisciotte non è una follia clinica individuale, paesana e innocua. No. E’ una follia sopravvenuta dai libri. E’ diventato questo monumento immortale dell’imbecillità umana perché la sua è una follia speciale, universale e molto moderna, che a ben vedere è l’imbecillità dell’ideologia. Non è lui a essere cretino, è l’ideologia che è stupida e – lui restandone prigioniero – lo rende matto, lo rende la persona meno libera che esista perché prigioniero di fantasmi.

Riassumiamo. Alonso Quijano il Buono è una brava persona, finché non si butta fanaticamente a leggere romanzi cavallereschi e tanto se ne riempie la testa da perdere completamente il senso della realtà e poi il senno. Fa di quel passato la sua utopia e col nome di battaglia di Don Chisciotte della Mancha si immagina e si fa cavaliere errante e intraprende la sua avventura (rivoluzione, battaglia, milizia) con lo scopo – che appare sempre “nobile” nella vita di tutti i pericolosi ideologi – di “cancellare offese, raddrizzare torti e riparare soprusi”. Come capita a tutti i dottrinari che si sono imbottiti il cervello con un’ideologia libresca, la realtà ai suoi occhi non esiste più, o meglio la realtà è quella che ha in testa lui. Così scambia una locanda per un castello, dei mulini a vento per dei pericolosi giganti, il catino di un tizio a cavallo di un somaro per l’elmo d’oro di Mambrino, la racchia Dulcinea per un’angelica bellezza.

Ogni tempo ha gli emuli di don Chisciotte. Anche intelligenti, colti, nient’affatto stupidi. Cosa può trasformare una persona intelligente in un pericoloso folle? L’ideologia. La storia lo ha dimostrato. E’ possibile imbottirsi la testa di mitologie e teoremi rivoluzionari (vecchi libri, anche in quel caso…) e favoleggiare di una rivoluzione inesistente e, pistole alla mano, scambiare un povero poliziotto o un giornalista che cammina inerme per strada o un professore universitario che torna a casa la sera, per il terribile “Stato imperialista della multinazionali” e vedere la Cia dietro a tutte le locande e i mulini a vento e scambiare sanguinari dittatori per luminosi eroi dell’umanità. Anche oggi – a varie latitudini e con diversi libri di indottrinamento – si trovano di questi fanatici, pericolosi e violenti.

Si obietterà che Don Chisciotte in fondo non è che un innocuo mattocchio, anche simpatico. Vero. Ma la grandezza di Cervantes sta nel cogliere quel meccanismo di perdizione che scatta con i libri o comunque con un “medium” esterno. Quell’estraniamento dalla realtà e dalla ragione. Quello smarrimento di sé.

Secondo lo storico-economista Carlo Cipolla “si sottovaluta sempre il potenziale nocivo degli supidi”. Secondo me si sottovaluta il potenziale nocivo dell’ideologia che rende stupidi, ciechi. E che insidia tutti. Nessuno ne è immune (a cominciare dal sottoscritto). La seduzione di questa stupidità spesso arriva sottoforma di “nobile slancio”. Ogni generazione ha le sue follie. Se c’è stato un uomo che ha salvato tanti di noi, quelli della mia generazione, dalla pericolosa infatuazione dell’ideologia e dell’utopia (sia utopia progressista del futuro che utopia reazionaria del passato, come quella di Don Chisciotte), è stato don Giussani. Fin dal 1976 – quando riprese le redini di CL – si scagliò contro l’utopia del progetto sociale, poi nel 1981 quando – passato il referendum sull’aborto – demolì l’utopia del ritorno alla cristianità e alle “crociate”. Ha continuato a richiamare sempre alla realtà come grande criterio di razionalità e a Cristo come “Colui che è presente”, sperimentabile ora e qui (e non come un passato da riattuare) fino ai suoi ultimi giorni quando ha indicato ai suoi un’altra insidia da cui guardarsi: l’utopia della compagnia. A Giussani, credo, sarebbe piaciuta molto la lettura di Don Chisciotte che fece René Girard. Il personaggio di Cervantes sembra un tipo originale e anticonformista, ma – nota Girard – non è così, la sua malattia è assai diffusa nella Spagna del Seicento, “perfino gli osti trascurano i fornelli per leggere avventure di nascosto”. Era cioè la moda. Girard demolisce così il mito del ’68: la pretesa spontaneità del desiderio. In genere i peggiori conformismi vengono vissuti dai singoli come l’espressione massima della propria “spontaneità”. La formula “fare ciò che voglio” in genere è usata non da chi è libero, ma da chi obbedisce in tutto a un ferreo ordine di omologazione (è evidente, tutto questo, nell’abbigliamento). Anche altri grandi personaggi letterari, penso a Emma Bovary e Paolo e Francesca, proprio come Don Chisciotte, saranno perduti da dei “libri galeotti”, da quel diabolico meccanismo.

Perché – spiega Girard – l’uomo è fatto di un desiderio infinito e indefinito, a cui non sa dare nome. E per cercarne l’oggetto ciascuno mutua dall’esterno, dai “media” esterni (libri o i giornali o tv o cinema, la moda, la pubblicità, la propaganda politica…), l’oggetto dei propri desideri che però inevitabilmente – essendo un oggetto finito e deludente – è abusivo, sbagliato e porta all’alienazione, alla follia e alla perdizione. Ecco perché “tra don Chisciotte e il piccolo borghese vittima della pubblicità” conclude Girard “non vi è quella lontananza che il romanticismo vorrebbe far credere”.

In sostanza don Chisciotte incarna proprio quel tipo d’uomo, alienato e rintronato dalla propaganda e dalla moda, da cui don Giussani ha tentato di liberare tanti giovani permettendo loro di fare l’esperienza della vera libertà. Infatti solo quando qualcuno ti fa intuire che tu sei più grande dei miti che ti fanno vedere, che sei fatto di un desiderio infinito e sempre insoddisfatto, che addirittura sei fatto del desiderio di Dio (per questo Giussani amava leggerci Leopardi, il suo pastore errante, il canto alla sua donna), solo lì cominci a essere libero da tutti i propagandisti e gli imbonitori e perfino libero da te, dalle facili “identità” del conformismo e dell’istinto. Perciò vorrei dire ai miei amici di CL: per favore teniamoci stretto don Giussani e abbiamo pietà di Don Chisciotte. Che era l’esatto opposto.

Fonte: © il Giornale – 23 agosto 2005

Ma la vita non è sogno
“Ti hanno messo al rogo come la strega, l’eretico!”, mi ha preannunciato ieri mattina un amico. Ma no, erano solo le reazioni stizzite, sui giornali, di alcuni ciellini (di vertice) al mio articolo su Don Chisciotte. Altri si sono divertiti e me l’hanno scritto. Non conosco invece la Testa Giuditta che ieri sul Foglio ha sparato a zero contro di me. Mi è simpatica e sono certo che esista veramente. Nessun uomo libero si nasconde dietro l’anonimato o dietro pseudonimi o nomi altrui. Io firmo sempre col mio nome le cose (fossero pure bischerate) che penso. E pazienza se ieri Luigi Amicone sul Corriere insinua che io critichi don Chisciotte per ordire un nefando complotto interno a CL. Rispondo: non c’entro nulla con i corridoi che frequenta il mio amico Gigi, né mi piacciono quei pettegolezzi; lascio a lui dunque interpretare gli attacchi obliqui e le lotte fra di loro. Gli voglio bene anche se dice baggianate.

Io mi sono preso solo la libertà di sorridere dell’ingenua mitizzazione di don Chisciotte, precisando che il titolo del meeting invece è bellissimo. E’ una libertà che ho imparato innanzitutto da don Giussani e che lunedì ho riascoltato dal mio splendido amico Julian Carron. “Libertà” è il clima che ho respirato nell’ambiente in cui sono cresciuto: Comunione e liberazione. La nostra giovinezza è fiorita lì proprio per questa curiosità di scoprire e capire, con il gusto e la passione di rischiare se stessi, di confrontarsi senza pregiudizi, di ascoltarsi con simpatia, magari di sbagliare e perfino di mettersi in discussione o avere idee diverse sulla letteratura (per esempio sul Don Chisciotte) e addirittura sul calcio.

Mentre i nostri coetanei politicizzati vivevano in un’atmosfera settaria e dogmatica e arrivavano a odiarsi per la loro diversità di posizioni (Fgci contro Ms, Lotta Continua contro Il Manifesto, trotzskisti contro stalinisti), io incontrai una compagnia di uomini appassionati che amavano la libertà altrui, che non guardavano in cagnesco come un Nemico da detestare o un Traditore da infamare chi – poniamo – preferiva Mozart a Beethoven o chi si appassionava alla Scuola di Francoforte o a Pasolini o criticava Don Chisciotte (libro che – peraltro – non ho mai sentito citare da don Giussani, che pure è stato sempre prodigo di spunti letterari).

La libertà non è un pericolo. Don Giussani amava dire che c’è solo una parola degna di stare accanto alla parola Dio: la libertà. E ricordava i bei versi di Péguy che fa dire a Dio: “Tutte le prosternazioni e le sottomissioni del mondo non valgono il bell’inginocchiarsi diritto di un uomo libero./ Cosa non si farebbe per essere amati da uomini simili!/ Non hanno paura di contrariare nemmeno il re, nemmeno il santo./ Quando parlano si sa che parlano così come sono. E che dicono quello che pensano./ Cosa non si farebbe per essere amati da uomini simili!”.

Carron nella bellissima lezione di lunedì diceva: “La libertà oggi è un bene tanto prezioso quanto scarso. Basta domandarsi quanti uomini veramente liberi conosciamo. Ci troviamo di fronte a un desiderio enorme di libertà, ma allo stesso tempo all’incapacità di essere veramente liberi, cioè noi stessi, nella realtà”

Quanto è vero! E per cominciare a essere liberi Carron non ha certo indicato come modello don Chisciotte. Anzi, non l’ha neanche rammentato una volta. Perché è uno dei “tanti che fuggono nell’immaginazione”, dice Carron invitando invece a seguire don Giussani: lui ci ha insegnato a tenerci alla larga da tutte le utopie, a diffidare dei sogni e dei teoremi ideologici. Apro uno dei suoi ultimi libri e leggo il titolo di un capitolo: “L’importante è la realtà”. Vado oltre e leggo il titolo della prima parte del volume: “Il primato della realtà”. E’ piena di attrattiva, di bellezza, di domande e di dolore, la realtà. Porta all’infinito. E’ lei che ci rivela a noi stessi.

Giussani ci ha insegnato ad avere il coraggio di essere noi stessi. Dunque dovremmo temere di dire la nostra sulla mitizzazione di don Chisciotte fatta al meeting? Dovremmo negarci la libertà di discutere di letteratura? Segnalo peraltro che la libertà sarebbe pure il tema (bellissimo) del Meeting. E allora perché non riconoscere che è stato ingenuo trasformare Chisciotte in un simbolo da imitare? Del resto se ne sono accorti tutti. Infatti già ieri, fingendo di polemizzare con me, dal Meeting facevano una rapida retromarcia. Luigi Amicone sul Corriere lo rinnega addirittura come eroe del Meeting (dopo che Tempi e Tracce gli hanno dedicato paginone e il Meeting lo spettacolo di esordio). Luca Doninelli sul Giornale, pur fingendo di credere che il Meeting sia stato riconosciuto infallibile da qualche concilio e che quindi si deve lasciare Don Chisciotte come “simbolo”, propone di declassarlo da ammirabile eroe a cretino da compatire. Renato Farina su Libero insinua perfidamente che Carron “è spagnolo come l’eroe che non piace a Socci”, ma non spende una parola in sua difesa. Giuditta Testa sul Foglio per lanciarmi un insulto sanguinoso mi chiama “donchisciottesco” finendo così per abbracciare la mia idea (negativa) del Chisciotte. Resta solo Davide Rondoni su Avvenire a ritenerlo ancora “un grande cavaliere”, ma ne ha tutto il diritto. Va bene così. Non sarò certo io a sferzarlo per questo con un corsivo come lui ieri ha fatto con me. Io stimo Davide, che è pure un buon poeta.

Oggi però arriva al Meeting Giuliano Ferrara che è uno strenuo ammiratore di don Chisciotte e che tenterà di risollevarne le quotazioni in picchiata. Ferrara (un mio amico, ma grazie a Dio non ancora leader di CL) ama proprio la teatralità del Chisciotte pazzo, il suo solipsismo, le fole che gli riempiono la testa. Eppure Chisciotte è proprio un simbolo della “dittatura dei desideri” da cui Ferrara ci mette in guardia dai tempi del referendum. Infatti è un falso Cavaliere medievale: è la caricatura che Cervantes compie nel Seicento di chi faceva il verso ai cavalieri medievali abbindolato da brutti romanzi d’avventura. Cervantes è come uno che – dopo aver fatto il ‘68 – da vecchio coglie il lato tragicomico di quell’utopismo. C’è chi ha paragonato il don Chisciotte che sogna di essere Amadigi ai giovanotti che sognavano di diventare Che Guevara o, oggi, in versione innocua, Pietro Taricone.

Naturalmente ognuno è padrone di amare Don Chisciotte o imitarlo, ma per quanto ne so io non è mai stato fra le passioni letterarie di don Giussani o di CL, né fra i simboli positivi come Cavaliere cristiano. L’artista contemporaneo di Cervantes che invece straripa nella storia di CL e di Giussani è piuttosto Michelangelo Merisi da Caravaggio. Sono i suoi capolavori che corrispondono meravigliosamente all’intuizione del cristianesimo di don Giussani: non la nostalgia di un passato cavalleresco, sia pure nobile, ma lo stupore di quello che sta accadendo nel presente. Caravaggio è geniale perché rappresenta Gesù proprio come una persona in carne e ossa che si può incontrare adesso, in questo preciso istante, che entra nelle buie taverne della sua Roma seicentesca (la Vocazione di Matteo), un uomo risorto veramente nella carne a cui è possibile mettere le dita fin dentro le ferite (la grandiosa “Incredulità di Tommaso”). Ciò che frega tanti laici (come il mio amico Ferrara) è lo spiritualismo e il fideismo. Invece il cristianesimo è carne, è realismo, è razionalità e stupore, è occhi per guardare e mani per toccare. E’ resurrezione della carne. Non è sogno.

Fonte: © il Giornale – 25 giugno 2005

Lettera al Direttore
Al Direttore,
vedo che al Foglio c’è chi mi prepara un rogo per le mie ironiche considerazioni sulla mitizzazione di don Chisciotte al Meeting di quest’anno (che l’anno prossimo forse si chiamerà Meeting per l’amicizia fra i poli). Tutto bene, ma neanche chi ha il paraocchi dovrebbe attribuire all’eretico (per bruciarlo a dovere) idee non sue. La lettrice Testa giovedì sostiene che avrei criticato “il brano scelto come titolo della manifestazione”. Falso: ho scritto e ripetuto che il brano è bellissimo e il tema della libertà dovrebbe essere approfondito assai di più. Ieri poi Ricciardi mi fa passare per un demolitore dell’opera di Cervantes lodata nel Miguel Manara. Falso anche questo: è una pietra miliare. Molto importante. Ma è Cervantes stesso che ridicolizza quel povero matto, ne fa una caricatura. Quello che contesto, come hanno capito quasi tutti, è l’idea ingenua venuta a qualcuno del Meeting di fare di un imbecille che si mette una scodella in testa e insegue sogni un modello da imitare. Almeno per i cristiani mi sembra assurdo (come infatti dirà il don Chisciotte rinsavito nella fine del romanzo). Non a caso Don Giussani non ha mai parlato così del cavaliere dalla triste figura. Anzi non ne ha mai parlato proprio. Così come Julian Carron, nella sua splendida lezione di lunedì: né l’ha proposto come modello, né l’ha mai rammentato. Chiedo a certi ciellini: ci sarà un motivo?

antonio socci
Fonte: © il Foglio – 26 agosto 2005

Fonte: AntonioSocci.it

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