L’11 agosto scorso, sul Corriere della sera, Ernesto Galli della Loggia pubblicò una riflessione molto seria e controcorrente.

IL ROSSO E IL NERO

La sua tesi in sintesi era questa: “la peculiarità della storia italiana è stata quella di aver dato vita al fascismo, ma insieme anche a un fortissimo movimento comunista senza eguali in questa parte d’Europa” e “seppure in modi ovviamente ben diversi entrambi hanno rappresentato due patologie antidemocratiche”.

Secondo lo storico questa è da decenni la persuasione della maggior parte degli italiani, ma non quella dell’establishment e dei media, perché “da noi è già considerato sospetto qualunque accenno di accostamento/confronto tra i due”.

Galli faceva un esempio. Gli atti terroristici di estremisti di destra sono sempre stati qualificati, giustamente, come “fascisti”, ma per quelli di estremisti di sinistra “mai una volta l’ufficialità repubblicana ha parlato o scritto di delitto ‘comunista’. A me sembra di aver sempre sentito parlare ogni volta solo di trame ‘brigatiste’, di delitti ‘brigatisti” e “se non ricordo male su nessuna delle tante targhe che nelle vie e nelle piazze d’Italia ricordano l’assassinio di qualche vittima del terrorismo rosso è scritto ‘vittima delle violenza comunista’”.

Sono solo alcuni esempi di come – secondo Galli – la memoria pubblica e il “discorso ufficiale sul passato del Paese” non corrisponda al sentire comune e questo è “un permanente motivo di grave debolezza delle stesse nostre istituzioni democratiche”.

La riflessione di Galli della Loggia avrebbe meritato un dibattito serio. Invece è stata snobbata, perché mette il dito su una piaga vera. Così l’estate è stata occupata da ben altre discussioni.

STALINISMO?

Tuttavia il 23 agosto su “Repubblica” è uscito un articolo di Roberto Esposito intitolato “Si fa presto a dire totalitarismo”. Sottotitolo: “Una parola associata indifferentemente a nazismo e comunismo. Ma è difficile omologare fenomeni storici così differenti”.

L’autore non citava l’articolo di Galli. Ma il tema era più o meno quello e la sua tesi era molto diversa.

Nella sua “essenza filosofica” secondo Esposito “il nazifascismo è difficilmente comparabile con il comunismo. Non per numero delle vittime – quelle dello stalinismo sono state anzi maggiori di quelle del nazismo. Ma per la radicale differenza dei loro linguaggi concettuali. Qui la categoria di totalitarismo evidenzia i suoi deficit più vistosi”.

Secondo l’autore infatti “il comunismo scaturisce dal ventre della modernità – dalla filosofia della storia hegelo-marxista – per il nazismo è diverso. Non nasce dall’estremizzazione, ma dalla decomposizione della cultura moderna… Il comunismo ‘realizza’ in forme parossistiche una tradizione filosofica moderna – quelle dell’eguaglianza assoluta. Il nazismo rompe con essa in nome dell’assoluta differenza”.

Ancora una volta dunque un importante intellettuale, su un giornale influente della sinistra, non vuole accostare nazismo e comunismo sotto la categoria del “totalitarismo”.

Inoltre colpisce un dettaglio. Giacché proprio Esposito afferma che le parole sono importanti, si nota il ricorso dell’autore al termine “stalinismo” quando si parla delle vittime. Accade spesso sui media. Come se fosse stato solo Stalin a fare vittime e non il comunismo in sé (dappertutto). Come se il termine “comunista” fosse una categoria ideale e filosofica che non deve essere contaminata con l’orrore.

Ma la sinistra, da noi, ha mai fatto davvero i conti con il comunismo? Sembra di no.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 26 agosto 2023

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