Per il filosofo francese Michel Onfray (La Stampa 31/7) Macron ha fatto della cerimonia di apertura delle olimpiadi “un grande specchio narcisistico che ha esibito in mondovisione con i miliardi del contribuente prelevati dalle casse di un Paese in fallimento… una baracconata vanagloriosa del sistema… una parata oscena e sprezzante”. Continua

Se c’è un libro che ha cambiato la storia, nella nostra generazione, è sicuramente “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solzenicyn. Non a caso Raymond Aron definiva lo scrittore-dissidente russo – morto 15 anni fa – “l’homme du siècle”. La sua opera monumentale sull’immane macello del comunismo sovietico (e sulla menzogna dell’ideologia marxista dilagante nel mondo), fu pubblicata esattamente cinquant’anni fa, nel 1973. Continua

Con la guerra in Ucraina d’improvviso nei talk show e sui giornali è apparso un particolare tipo umano che impartisce lezioni a tutti: uno che era comunista al tempo dell’Urss (compagno del Pci o della sinistra extraparlamentare) e oggi sfoggia un atlantismo fervoroso e luccicante come un F-35.

Questi neo-atlantisti, dopo la piroetta da Est a Ovest, pretendono pure di insegnare l’atlantismo a chi è sempre stato anticomunista e dalla parte dell’Occidente. Inoltre sono i più zelanti cacciatori di presunti “putiniani” che vedono dappertutto, un po’ come negli anni Settanta i compagni accusavano di “fascismo” chiunque osasse dissentire da loro.

Di recente, in un talk show, Federico Rampini ha testualmente affermato: “negli anni Settanta non c’erano così tanti filorussi come oggi”.

Dove Rampini veda oggi tutti questi filorussi che vorrebbero vivere sotto Putin è un mistero. Ma ancora più misterioso è il fatto che non abbia visto le masse che negli anni Settanta sventolavano la bandiera rossa, applaudivano i compagni rivoluzionari di ogni latitudine e acclamavano i regimi comunisti (in quel decennio il Pci stava sul 30-35 per cento ed eravamo invasi dai gruppi extraparlamentari di sinistra). Continua

Le Metamorfosi di Ovidio? Nulla rispetto alle metamorfosi dei comunisti italici, comprese le più recenti con le quali sono diventati “pasdaran” dell’ortodossia atlantica, severi censori del pacifismo e predicatori umanitari.

E questo senza mai riconoscere l’errore di essere stati comunisti al tempo dell’Urss di Breznev e Andropov. Anzi ritengono di avere tutti i titoli perdare lezioni oggi di atlantismo e umanitarismo.

Prendiamo l’editoriale (sul “Corriere della sera” di venerdi) di Walter Veltroni, il quale è una persona gentile, intelligente e piacevole, ma in quel pezzo ha cucinato un confuso minestrone in cui riesce a cantare le lodi del Nord Vietnam comunista che combatteva contro “l’invasione straniera” degli Usa e – al tempo stesso – le lodi dei soldati Usa che sbarcarono in Italia e in Normandia per combattere contro il nazifascismo (non furono due “invasioni” per la libertà?). Continua

L’analisi più intelligente e realista, per capire la tragedia in corso fra Russia e Ucraina è uno straordinario articolo di Henry Kissinger, To settle the Ukraine crisis, start at the end, pubblicato sul Washington Post il 5 marzo del 2014 (eccolo QUI tradotto dal blog di Massimo Borghesi). Alla luce degli ultimi eventi questa analisi è ancora più attuale. E non a caso lo stesso Kissinger cita positivamente il pensiero di Solzenicyn, sulla vicenda Russia/Ucraina.

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Oggi tutti siamo sconcertati dalla drammatica scelta bellica della Russia e ci chiediamo cos’ha in mente Putin. Eppure, quando arrivò al potere, nel 1999, tese la mano all’Occidente, ipotizzando perfino l’adesione alla Nato. Ci fu l’accordo di Pratica di Mare con Bush, propiziato da Berlusconi, nel 2002, e l’ingresso della Russia nel G7.

Ma subito dopo gli Usa chiusero quella porta e capovolsero l’atteggiamento verso la Russia. Perché?

Anche una personalità di grande statura morale come il Premio Nobel Aleksandr Solzenicyn (1918-2008), provò a farci capire il tragico errore dell’Occidente. Basta leggere il suo libro “Ritorno in Russia. Discorsi e conversazioni 1994-2008” (Marsilio). Continua

In questi tempi di pensiero uniforme e preconfezionato, sui media e nella rete, quindi nelle relazioni sociali, sembra tornata di grande attualità la canzone di Giorgio Gaber, “Il conformista”.

E’ la perfetta rappresentazione del mondo dei semicolti e dei cosiddetti intellettuali di oggi, seguiti e imitati pedissequamente da greggi che pascolano sui social e nei media:

Il conformista

è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta

ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa

è un concentrato di opinioni

E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire

forse da buon opportunista

si adegua senza farci caso

e vive nel suo paradiso”.

Ovviamente “il conformista” che un tempo fu “fascista” poi è diventato “marxista-leninista/ e dopo un po’ non so perché mi son trovato Americanista” (il testo dice: cattocomunista, ma lui cantando dice “americanista”).

Ma soprattutto – dice Gaber, facendo una carrellata degli ultimi decenni – è stato “un po’ sessantottista”, da qualche tempo “è ambientalista”, per un po’ è stato “come un po’ tutti socialista”, ma in sintesi oggi è “progressista,/ al tempo stesso liberista antirazzista” e pure “animalista” (non più “assistenzialista”). E naturalmente è “ottimista europeista”, “femminista” e “pacifista”. Continua

Cent’anni fa, fra l’estate 1920 e il gennaio 1921, nasceva il Partito Comunista Italiano. Non è storia passata. Perché proprio dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) e il cambio del nome del partito (1991), la sua classe dirigente è arrivata al potere in Italia e ci resta da anni sebbene minoranza nel Paese e sconfitta alle elezioni.

Al centenario del Pci hanno dedicato un libro Mario Pendinelli e Marcello Sorgi, “Quando c’erano i comunisti” (Marsilio). Stenio Solinas, sul “Giornale”, si è chiesto “come è possibile che, tranne qualche frangia lunatica e qualche intellettuale freak, nessun politico oggi ex o post comunista parli più del come e del perché lo fu convintamente fino a ieri, uno ieri che arriva sino al 1989.

E’ stato il più grosso Pc d’occidente, ma sembra che in Italia nessuno sia stato comunista. Non è stata fatta nessuna seria revisione autocritica. Quella classe dirigente non si è ritirata e non ha mai riconosciuto il marxismo-leninismo come un’ideologia malefica, né ha ammesso la vergogna di aver appoggiato totalitarismi orribili. Nessuno ha chiesto scusa. Continua

Proprio in questi mesi l’inferno compie cento anni. Ma è un centenario che non troverete ricordato quasi da nessuna parte, infatti parlare del Gulag sovietico è tuttora scomodo e imbarazzantein un Paese come il nostro, in cui il comunismo è stato così pervasivo, un paese le cui élite affondano le loro radici generazionali perlopiù in un passato comunista mai criticamente elaborato e mai sostanzialmente condannato

Eppure è quello il grande abisso che ha inghiottito il Novecento e che – specialmente in Asia – perdura anche nel XXI secolo. Il Gulag comunista resta la grande rimozione collettiva

Anche il recente documentario “Women of the gulag”, che pure è stato candidato all’Oscar nella categoria Best Documentary, non ha ricevuto quasi nessuna attenzione (è una struggente testimonianza di sei donne russe che vissero quell’orrore).

Perché questo silenzio imbarazzato sul centenario del Gulag?Un motivo può essere questo: perché cento anni ci riportano al 1918-1919, cioè un’epoca in cui non era Stalin a dominare, ma erano Lenin e Trockij.

Il fatto che proprio a loro vada ascritta l’invenzione del Gulag e del Terrore, come i sistemi di dominio del regime comunista, spazza via completamente l’idea – affermatasi in questi anni sui media – che il Gulag sia una perversa creazione di Stalin e che tutte le colpe ricadano su di lui.

Questa mistificazione passa anzitutto dal linguaggio. Basta fare attenzione e ci si accorgerà facilmente che sui media, nelle rare occasioni in cui si parla dei crimini del comunismo, si tenderà sempre ad evitare la parola “comunismo” e si userà invece la parola “stalinismo”.

Dando così ad intendere che se vi furono orrori (e oggi non è più possibile contestarli) essi furono dovuti alla perversa degenerazione di un uomo, di un tiranno, Stalin, non al comunismo in quanto tale che – a sentire il coro dei salotti illuminati – sarebbe comunque un nobile ideale, un’utopia buona, purtroppo tradita o non realizzata.

No. Ripercorrere l’instaurazione del comunismo in Russia significa, fin dall’inizio, imbattersi nel sistema del Terrore generalizzato

E’ connaturato al comunismo stesso. Infatti si è poi replicato nello stesso modo totalitario e stragistaa tutte le latitudini, dovunque sia stato impiantato(dalla Cina a Cuba, dalla Cambogia alla Polonia, dal Vietnam all’Ungheria, dalla Corea del Nord alla Germania Est, dall’Albania al Tibet).

Il Terrore ha forse la sua radice nella natura gnosticadel comunismo che disprezza la vita (altrui)e pensa di poter rovesciare la natura umanain qualsiasi modo: “Dell’uomo si può fare quel che si vuole”, diceva Lenin. 

E’ stato il più gigantesco tentativo planetario di costruire il Paradiso in terra senza Dio e in odio a Dio (Lenin soleva “sputare sul crocefisso e calpestarlo”). Per instaurarlo occorreva il Gulag.

Certo, omicidi e stragi iniziarono subito, con la rivoluzione d’ottobre, ma, ancor prima di consolidare il potere bolscevico, uno “spietato terrore di massa”viene “istituzionalizzato”, diventa un “terrore rivoluzionario eretto a istituzione di Stato”.

Attraverso il lager, il campo di concentramento. “Spetta a Trockij l’onore di aver utilizzato per primo questo termine. In un suo ordine del 4 giugno 1918” (Nekric-Geller).

In agosto anche Lenin usò quella stessa espressione in un telegramma ai commissari di Pensa, per reprimere una rivolta anti bolscevica, ordinando di “applicare spietatamente il terrore su vasta scala contro i kulaki (i contadini), i preti e i bianchi”rinchiudendo “tutti i sospetti… in un campo di concentramento fuori dalla città”.

Quindi lo stesso Lenin, nel Memorandum del 3 settembre 1918, proclama essere “necessario preparare in segretezza e con urgenza il terrore”

Due giorni dopo i “campi di concentramento” sono citati – scrive Anne Applebaum – “nel primo decreto in assoluto sul terrore rosso, in cui si ordinava non solo di arrestare e incarcerare‘eminenti rappresentanti della borghesia, latifondisti, industriali, commercianti, preti controrivoluzionari, ufficiali antisovietici’, ma anche di isolarli in ‘campi di concentramento’. Anche se non esistono dati certi alla fine del 1919 in Russia c’erano 21 campi registrati, mentre un anno dopo erano 107, cinque volte di più”.

Nella primavera del 1919 “furono pubblicati i primi decreti ufficiali sui campi speciali”.Iniziava così il vero terrore di massa, nasceva quel Gulag che inghiottirà la vita di decine di milioni di persone

Non era necessario neanche un motivo per essere arrestati. Negli anni di Stalin il tiranno decideva un certo numero di vittimee lo si doveva raggiungere. Per questo si poteva incappare nell’arresto senza ragione o per futilissimi motivi, sparendo nel nulla siberiano senza alcun regolare processo.

Questo sistema di “sacrifici umani”serviva sia per paralizzare nel terroretutto un popolo perché qualunque rapporto (anche tra familiari), poteva essere pericoloso. Sia per avere una grande massa di lavoro schiavisticoa disposizione con l’obiettivo dell’industrializzazione dell’Unione Sovietica.

Qua in Italia il più grande partito comunista d’occidente, per anni, ha indicato nell’Urss la patria del Socialismo e il paradiso dei lavoratori, alimentando per decenni il suo incrollabile mito.

Poi, una volta venuto alla luce il fallimento del sistema e l’orrore che aveva prodotto, con milioni e milioni di vittime, grazie alle opere di giganti come Aleksandr SolzenicynVarlam Salamov, si è evitato di fare i conti con la dolorosa verità.  

Anzitutto (come ho detto) si è cercato di scaricare tutto sulla personalità di Stalin. Poi si è preteso di imputare il Terrore al cosiddetto dispotismo asiatico, come se il comunismo fosse paragonabile all’autoritarismo zarista.

Questo è smentitonon solo dall’inferno provocato dal comunismo a tutte le latitudini, ma anche dalla realtà della Russia prerivoluzionaria.

Scrive Paolo Sensininell’introduzione al “Terrore rosso” di Sergej Mel’gunov: “un’altra favola tenacemente radicata in Occidente è quella che descrive l’epoca zarista come un ‘mondo avvolto nelle tenebre’, in cui regnavano padroni incontrastati l’‘oscurantismo’ e l’‘assolutismo’ più totali. Nulla di più falso. La realtà è invece che nella Russia prerivoluzionaria la società civile esisteva e stava strutturandosi anche grazie a una libertà di stampache si estendeva ogni giorno di più”.

Nel 1912 Lenin fa uscire “La Pravda”, “vi erano i sindacati, i partiti politici e il parlamento, la Duma”. L’incremento della produzione industriale era straordinario. E il 4 aprile 1917, il giorno dopo il suo rientro in patria (prima di prendere il potere), Lenindichiarava: “La Russia è oggi il paese più libero del mondo”.

Scrive Solzenicyn

“Se agli intellettuali di Cechov, sempre ansiosi di sapere cosa sarebbe avvenuto fra venti-quarant’anni, avessero risposto che entro quarant’anni ci sarebbe stata in Russia un’istruttoria accompagnata da torture, che avrebbero stretto il cranio con un cerchio di ferro, immerso un uomo in un bagno di acidi, tormentato altri, nudi e legati, con formiche e cimici, cacciato nell’ano una bacchetta metallica arroventata, schiacciato lentamente i testicoli con uno stivale e, come forma più blanda, suppliziato per settimane con l’insonnia, la sete, percosso fino a ridurre un uomo a polpa insanguinata, non uno dei drammi cechoviani sarebbe giunto alla fine, tutti i protagonisti sarebbero finiti in manicomio”.

Perché – aggiunge Solzenicyn – “nessun russo normale dell’inizio del secolo… avrebbe potuto credere” che questo orrore sarebbe stato il futuro.

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Antonio Socci

(Nella foto: Aleksandr Solzenicyn)

Da “Libero”, 3 febbraio 2019

Raymond Aron giudicò Aleksandr Solzenicyn “l’homme du siècle”. E l’autore di “Arcipelago Gulag” continua ad essere ben presente perché fortemente ispirata a lui è la Russia di Putin.

Quest’anno siamo nel decennale della sua morte (il 3 agosto) e nel centenario della nascita (l’11 dicembre) e in Russia e all’estero si annunciano tanti convegni sul gigante del Novecento che ha smascherato gli orrori e la menzogna del comunismo (come pure la menzogna dell’Occidente).

Il suo “vivere senza menzogna” è il messaggio che resta e che esalta la grandezza della coscienza personale contro i mostri del potere. Ma l’Italia sarà il paese che meno lo ricorderà, perché – dominato per decenni dall’egemonia comunista –si è distinto, fin dagli anni Settanta, per freddezza e ostilità verso Solzenicyn.

Pierluigi Battista, in un suo saggio, ricordava che “mentre in Francia la pubblicazione di ‘Arcipelago Gulag’ di Aleksandr Solzenicyn aveva squassato la cultura di sinistra innescando un drammatico ripensamento tra gli intellettuali che avevano intensamente creduto nel ‘dio che è fallito’, in Italia, nel 1974, gli intellettuali accoglievano quel libro con freddezza, magari accompagnando la gelida accoglienza con la divulgazione (com’è accaduto) della leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet, oppure semplicemente ignorandolo.

A nome del Pci il compagno Giorgio Napolitano, quando l’Urss decise di espellere Solzenicyn mandandolo in esilio, vergò un plumbeo polpettone dove si leggeva fra l’altro: Continua

E’ curioso lo slancio umanitario che ha colto d’improvviso la Sinistra italiana di fronte all’inedita marea migratoria di questi mesi. Perché storicamente non ha proprio le carte in regola in tema di “accoglienza”.

Su queste colonne più volte è stato ricordato l’atteggiamento comunista nei confronti dei profughi di Istria e Dalmazia, nel dopoguerra.

La vicenda – quasi assente dalla storiografia ufficiale – riguarda 300 mila profughi italiani che dovettero fuggire dalle loro case, dalla terra dei loro padri, perdendo tutto.

Verso di loro – che scappavano dal comunismo titino – avevamo un doppio dovere di accoglienza e di solidarietà perché erano italiani e pagavano loro per tutti noi, per la guerra persa.

Eppure la sinistra comunista non accolse questi nostri connazionali come fratelli, ma come avversari, con manifestazioni ostili, insulti e sputi. Una vergogna.

C’è poi un’altra vicenda, più vicina nel tempo, che io stesso ricordo di aver vissuto personalmente: la tragedia dei cosiddetti “boat people” vietnamiti e cambogiani che scappavano dal “paradiso comunista” fra il 1975 e il 1980.

La Sinistra italiana, dal ’68, per anni aveva manifestato nelle piazze in favore dei Vietcong e della guerriglia comunista indocinese. Quando costoro trionfarono in Vietnam e in Cambogia, imponendo la loro disumana tirannia, centinaia di migliaia di disperati scapparono dai “liberatori” comunisti o via terra o sulle barche. Molti finirono annegati, ammazzati dai pirati o mangiati dagli squali. Ci furono anche tanti bambini tra le vittime.  Continua