LA SPAGNA RIAPRE. E L’ITALIA?
La Spagna ha revocato lo stato d’emergenza e anche il coprifuoco che scattava alle 23 ed era stato imposto a causa del Covid. La gente in queste ore festeggia nelle piazze la ritrovata libertà di movimento, anche notturno.
L’effetto combinato della primavera (che già l’anno passato ridusse la pandemia ai minimi termini) e delle vaccinazioni, sempre più numerose, permette agli spagnoli di “riveder le stelle”.
Lo potrebbe (e lo dovrebbe) permettere anche a noi italiani. Ma il nostro governo tentenna. Ne parla da settimane, ma tergiversa. Si discute per giorni di portare il coprifuoco dalle 22 alle 23. Poi si ipotizza di andare un pochino oltre. Ma si resta sempre alle parole. Non se ne capisce il motivo, perché la situazione spagnola non è diversa da quella italiana.
Cos’è che ferma la riapertura da noi? Nemmeno si è fatto un vero approfondimento scientifico sugli effetti reali delle chiusure (più o meno drastiche) sulle quali vi sono, tra gli esperti, pareri molto difformi.
Sembra che a bloccare la decisione di riapertura del governo italiano siano due fattori: il primo è l’“istinto chiusurista” che alligna a sinistra. È un’ideologia che ha poco interesse per le libertà personali e anche per i problemi che le chiusure e il coprifuoco provocano alle attività economiche e commerciali private. E’ un’ideologia che considera gli italiani più sudditi che cittadini responsabili e sovrani.
Il secondo fattore sembra essere partitico: non darla vinta a Salvini. Siccome è soprattutto il leader della Lega che da aprile incita l’esecutivo a riaprire ed esorta a far ripartire l’Italia, si dice che qualcuno tenga il punto con ostinazione per non dare alla Lega una tale vittoria politica.
A sorprendere un po’ è la “timidezza” di Draghi. Per capacità di guida e autorevolezza egli è di gran lunga preferibile a Conte. Ma una curiosa indecisione si manifesta talvolta nel suo agire da premier.
Anche non aver dato netti segnali di discontinuità, rispetto all’esecutivo precedente, lo sta penalizzando, perché è lui che finisce (ingiustamente) per accollarsi le conseguenze della cattiva gestione della pandemia del governo Conte.
Invece Draghi avrebbe dovuto spiegare – con chiarezza – che ereditava una situazione catastrofica. Il suo governo sta portando il Paese in sicurezza, ma le macerie che ci sono (e che peseranno a lungo) non possono essere addebitate a questo esecutivo.
Il premier ha scelto un approccio ecumenico ed evita ogni conflittualità, ogni protagonismo e personalismo. Questo ha i suoi pregi ed è certamente un tratto da statista di grande spessore. Ma da colui che, come governatore della Bce, fu capace di “ribaltare” la disastrosa gestione precedente dell’euro con una sola frase (“Whatever it takes”) e fu capace di mettersi in urto con la Germania, ci si aspettava un piglio decisionista più forte, una volta arrivato a Palazzo Chigi.
Che Draghi ne sia capacissimo è risaputo, peraltro ne ha dato anche dimostrazione (sia in patria che all’estero) in certi interventi di questi tre mesi di governo, nei quali ha cambiato diverse cose. Ma probabilmente ha voluto evitare, finora, strappi che suonassero come smentite troppo clamorose dell’esecutivo precedente. Inoltre ha voluto ridare centralità al Parlamento e questo è meritorio. Tuttavia sulla riapertura c’è bisogno da tempo di una marcia in più. Sebbene il peso del “partito chiusurista” sia grosso, Draghi, anche restando prudente, avrebbe potuto esporre al Paese un cronoprogramma per una riapertura a tappe come fece Boris Johnson a febbraio. Questo ci si aspettava da un governo come il suo.
Così, con un calendario preciso, avrebbe fornito delle certezze agli operatori economici e, in particolare, al turismo che in Italia è una fondamentale voce del Pil. L’incertezza infatti rappresenta un costo aggiuntivo molto pesante.
E’ vero però che il premier si trova a dover combattere su molti fronti, nazionali e internazionali, e che il suo è un compito immane. Resta un fuoriclasse, ma non può farcela da solo: per questo è fondamentale chi, nella coalizione di governo, gli dà un sostegno intelligente e fattivo, un contributo di idee, una spinta propulsiva, facendo arrivare nel Palazzo la voce del Paese, che francamente non pensa allo Ius soli o alla legge Zan, ma vuole superare la tragedia del Covid e riprendere la vita e il lavoro.
C’è bisogno infatti che sia l’Italia a risollevarsi. Non basta un governo capace, occorre un popolo che si rialza vigorosamente.
Antonio Socci
Da “Libero”, 10 maggio 2021