LA VITA COMINCIA PRIMA DELLA NASCITA. E FRA MADRE E BAMBINO ACCADE L’INCREDIBILE… (NO ALL’UTERO IN AFFITTO!)
“L’inizio della vita del figlio non si può leggere senza leggere la vita della mamma; e la vita dopo la nascita non si capisce se non si legge la vita prima di nascere”.
Quando si parla di “utero in affitto” – invece di considerare la donna come se fosse un forno intercambiabile in cui si fa cuocere un pane (che resta estraneo al forno) – bisognerebbe tener presenti le parole citate, tratte dal bel libro del neonatologo Carlo Bellieni, intitolato I primi 1000 giorno d’oro (Ancora).
L’autore spiega che la gravidanza e poi la fase neonatale formano un insieme di mille giorni che rappresentano “un’esplosione di colori, sapori, sensazioni, moltiplicazione di cellule, scambi di informazioni… innamoramento, abbandono, nascita, addii. Tutto in mille giorni, che sono i più alti, i più forti, i più drammatici, i più emozionanti di tutta la nostra vita. (…) Dall’embrione al bambino che parla e cammina. Mille giorni esatti passano dal concepimento al compimento del secondo anno di vita. E quello che accade, in questi mille giorni è irripetibile, è fondamentale”.
Bellieni demolisce “il falso mito che feto, embrione, neonato, lattante siano stati inerti, sonnolenti, assopiti”, cioè l’errata idea “che la vita-vita verrà fuori dopo”.
Al contrario, la vita è subito un’avventura, un ciclone. Ci sono straordinarie interazioni fra la madre e il concepito nei mesi della gestazione. Anche a livello biologico. Lo stesso cervello della madre cambia nella gravidanza. E poi stupiscono le cosiddette “lettere d’amore” del bambino alla madre. Si tratta di cellule staminali che il feto, attraverso la placenta, fa arrivare nel corpo materno, fino ai suoi organi (il cervello, il cuore, il fegato, i polmoni) e ne aiutano la riparazione: “sono cellule” scrive Bellieni “che portano un messaggio che la madre tradurrà in ormoni, in cellule nervose, in benessere”. Studi recenti spiegano che queste cellule del bambino concepito causano “cambiamenti cellulari e fisici, con un obiettivo biologico comune: conferire un vantaggio alla maternità”.
Gli autori di uno studio su questo fenomeno concludono: “il feto gioca un ruolo sorprendentemente attivo nel modulare la capacità della madre di amarlo e prendersi cura di lui”.
Bisognerebbe tenere presente tutta questa commovente storia d’amore e di comunione fisica e psichica fra mamma e bambino (che poi ha il suo momento magico nell’allattamento) quando si parla di “utero in affitto” come se si potesse troncare, subito dopo la nascita, un’unione così profonda.
Giorgia Meloni, di nuovo, nei giorni scorsi, è tornata su questo tema. Ha detto: “L’utero in affitto è una pratica disumana”, i figli – ha aggiunto – non sono “un prodotto da banco in un supermercato”, “considero l’utero in affitto non una forma di modernità, ma una barbarie. Penso che uomini ricchi che comprano l’utero di una donna povera per farle portare nel grembo nove mesi un bambino che verrà strappato da quel gremboappena nato non sia una forma di modernità o di civiltà”.
In effetti i primi mesi del concepito nel grembo materno – spiega Bellieni – lasciano “dei segni indelebili”. Il suo “apprendimento” comincia “prima di nascere”.
La dimensione psicologica della questione è altrettanto straordinaria di quella fisiologica, come mostrò, anni fa, lo psicoanalista Franco Fornari in un formidabile suo libro, Psicoanalisi della musica (Longanesi). Fornari spiegò le immense conseguenze che la vita intrauterina e il periodo neonatale hanno sulla nostra psiche, sulla nostra sensibilità e la nostra personalità.
Per esempio, il bimbo, fin dal grembo materno, si trova immerso in un “bagno di suoni” (il ritmo cardiaco e il respiro della madre, la voce della madre e del padre) che formano in lui “una sorta di sensibilità primaria sia per il ritmo che per l’intonazione… Il neonato mostra di riconoscere la voce del padre nella vita postnatale”, purché abbia potuto sentirla di frequente nella vita prenatale, ma “la voce della madre e il suo battito cardiaco si staccheranno tuttavia come struttura ritmico-fonica primaria”.
Fornari spiega che poi, quando il bambino, dopo la nascita, fa i giochi ritmico-fonici delle allitterazioni, delle omofonie e delle filastrocche infantili “apparentemente senza senso”, in realtà “viene parlato da una esperienza precedente, dalla quale emerge un significato legato alla intenzione inconscia di recuperare il senso del paradiso perduto”.
Sono giochi con cui il bambino cerca rassicurazione e protezione oltreché piacere. Il battito cardiaco della madre, già udito nella situazione prenatale, è “l’esperienza musicale originaria” che poi darà anche ritmo alla poppata, momento in cui per la prima volta il bambino riuscirà a mettere a fuoco un oggetto – il volto della madre – che, durante la poppata, è esattamente alla distanza necessaria ai suoi occhi.
Dunque “l’accoppiamento di danza modellato sul ritmo cardiaco della madre è accompagnato anche dalla visione di una scena. Così la fantasia può spingersi a immaginare la poppata come un melodramma in miniatura”.
Fornari aggiunge: “il bambino conosce il mondo esterno solo in quanto primitivamente ritrova nel mondo esterno riflessi o immagini di qualcosa che ha già conosciuto nella situazione intrauterina”.
Il mondo di sensazioni e di emozioni della gravidanza plasma il nostro senso del ritmo, della musica (perfino della danza), dell’intonazione e del linguaggio e arriva al “piacere della rima” in poesia.
Le esperienze primarie del suono e del ritmo sono fondamentali per la nostra psiche ed ecco perché poi, noi, nella musica, come nella vita, intravediamo e cerchiamo inconsciamente il recupero di una condizione paradisiaca.
La conclusione dello psicoanalista è molto suggestiva: “il bambino potrà impiegare i suoni della sua voce per far camminare il proprio desiderio sul suono e sul ritmo della voce della madre. A questo punto diventa evidente che indagare sull’origine della musica diventa la stessa cosa che indagare sull’origine del linguaggio e, quindi, in definitiva, indagare sull’origine della cultura umana in generale”.
Ridurre l’evento straordinario della gestazione (e del rapporto madre/figlio) a una sorta di pratica “tecnologica”, senza particolare significato e importanza, in cui la madre è solo un contenitore, è perfettamente in linea con un’ideologia dominante che cancella non solo la nostra civiltà, ma l’umano.
Antonio Socci
Da “Libero”, 22 luglio 2024