Spesso don Lorenzo Milani dovette difendersi da coloro – in genere laici e di sinistra – che volevano mettergli la loro casacca, tirarlo dalla propria parte e magari strumentalizzarlo contro la Chiesa.

La rappresentazione di don Milani ad uso e consumo dei progressisti è continuata dopo la sua morte, avvenuta nel 1967, specialmente negli anni Settanta. Era dunque prevedibile che, nel centenario della nascita (2023), si sarebbe riproposta.

Fra i giornali che oggi ripetono le solite cose va segnalato L’Espresso che, nel suo ultimo numero uscito ieri, ha dedicato dodici pagine di apertura alle foto che il giovane Oliviero Toscani fece al sacerdote con i ragazzi di Barbiana. Immagini corredate dalle frasi più note e citate di don Milani.

Tutto banale e scontato. Ma la cosa interessante è quella che non c’è. Infatti L’Espresso fu una testata giornalistica contro cui don Milani polemizzò duramente e – guarda caso – il settimanale, nelle sue dodici pagine su don Milani, si è dimenticato di citare proprio ciò che il prete di Barbiana diceva dell’Espresso che – ricordiamolo – fu fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari ed era a quel tempo la bandiera del laicismo di sinistra.

Sfogliando il bel libro che Neera Fallaci, sorella di Oriana, dedicò al sacerdote – “Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani” – è possibile capire i motivi dello scontro fra il parroco di Barbiana e il potente settimanale.

La Fallaci si interroga sui motivi della conversione del giovane Lorenzo e della sua immediata decisione di farsi sacerdote e ipotizza che “la conversione si sia stabilita sui sacramenti della confessione e dell’eucaristia: punto focale dello stesso suo sacerdozio”. A prova di ciò riporta il contenuto di un nastro “su cui venne registrata una polemica del priore di Barbiana con gli intellettuali”.

Ecco le parole di don Milani: “…per me che l’ho accettata questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica L’Espresso. L’assoluzione dei peccati me la dà un prete. Se uno vuole il perdono dei suoi peccati si rivolge al più stupido, arretrato dei preti pur di averla. (…) E in questa religione c’è fra le tante cose, importantissimo, fondamentale, il sacramento della confessione dei peccati. Per il quale, quasi solo per quello solo, sono cattolico. Per avere continuamente il perdono dei miei peccati. Averlo e darlo. Il più piccolo litigio che io avessi con la Chiesa” proseguiva don Milani “io perdo questo potere di togliere i peccati agli altri e di farli togliere a me. E chi me lo rende questo potere? Arrigo Benedetti [fondatore dell’Espresso, ndr]? Oppure… come si chiama quello là dell’Espresso… Falconi? Me lo rende Falconi il potere di togliere i peccati agli altri e di farmeli togliere? O la comunione e la messa me la danno loro? Sicché devono rendersi conto che non sono… che loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare il giudizio su una cosa in cui il fondamentale è credere o no nel potere di questa Chiesa di togliere i peccati, di salvare l’anima o insegnare la Verità”.

Perché questa polemica di don Lorenzo? Come si spiega? Il fatto è che il mondo laico lo lodava e lo cercava per usarlo in polemica con la Chiesa: “don Milani” scrive la Fallaci “lo capiva benissimo e ci si arrabbiava. Per esempio si ribellava al fatto che la sinistra intellettuale lo inquadrasse nei propri ranghi: ‘è dei nostri!’. ‘Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta!’. Nella registrazione in cui afferma di stare nella Chiesa per i sacramenti, polemizza ironico proprio con certi amici radicali: ‘In che cosa la penso come voi? Ma in che cosa? In qualche piccolissimo particolare esterno della vita politica e sociale’. E subito dopo: ‘Al primo ordine che il vescovo mi dà, se mi sospendesse eccetera, io mi arrendo immediatamente. Rinuncio subito alle mie idee. Delle mie idee non m’importa nulla. Perché io nella Chiesa ci sto per i sacramenti e non per le mie idee’”.

In una lettera scrive: “Ci ho messo ventidue anni per uscire dalla classe sociale che scrive e legge L’Espresso e Il Mondo. Non devo farmene ricatturare neanche per un giorno solo. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono”.

Secondo la Fallaci “era un ‘predicatore di Dio’ e come tale voleva essere trattato”. La biografa riporta  quanto gli aveva riferito Giorgio Falossi: “Quando ormai stava morendo, ho passato tante ore vicino a lui, anche da solo. E tra le molte cose belle, tristi, disperate, ironiche che diceva, ricordo un discorso: ‘L’unica cosa che importa è Dio. L’unico compito dell’uomo è stare ad adorare Dio. Tutto il resto è sudiciume’ ”. Commenta la Fallaci. “Non dimentichiamo (lo dimostrano documenti e testimonianze) che tutta la sua vita di sacerdote era stata accompagnata dalla ricorrente tentazione della clausura”.

Si potrebbe aggiungere un aneddoto a proposito del citato Carlo Falconi, che si occupava di Chiesa sull’Espresso e sul Mondo e che aveva scritto con ammirazione di don Milani sostenendo che “ha finalmente iniziato la rivoluzione del clero in Italia”.

Poi, nel 1965, Falconi andò a Barbiana e lì – riferisce la Fallaci – “nacque un attrito con parecchie scintille”. Infatti, davanti ai ragazzi di don Lorenzo, “Falconi si era detto disposto a parlare di tutto. Allora gli fu chiesto: ‘Parli del perché ha perso la fede’. Falconi, ex prete, si risentì pensando che fosse una questione privata. Si irritò ancora di più a sentir chiedere: ‘Perché non si è messo a far scuola invece di mettersi a scrivere sui giornali borghesi?’”.

Lo scontro fu duro “perché Falconi non condivideva affatto” spiega Mario Cartoni “il giudizio di don Lorenzo sui giornali come L’Espresso. Don Lorenzo diceva che erano giornali arroganti, scritti da una élite intellettuale per una élite intellettuale”.

Naturalmente il risultato fu un articolo, non benevolo, di Falconi intitolato: “Il prete amaro di Barbiana”. Il giornalista – sintetizza la Fallaci – attaccava don Milano “al carretto di La Pira” e poi “arrivava il servizio di barba e capelli per il priore, etichettato disinvoltamente ‘comunista’”.

Ma comunista don Milani non lo era per niente e non capiva il complesso di inferiorità di certi cattolici: “La dottrina del comunismo non val nulla. Una dottrina senza amore. Una dottrina che non è degna di un cuore giovane. Avesse almeno realizzazioni avvincenti. Ma nulla. Un giornale infelice, una Russia che a difenderla ci vuol coraggio. E io dovrei farmi battere da così poco?”

La verità è che don Milani resta ancora da scoprire. Infatti Giuseppe Fornari ha appena pubblicato un libro su di lui con il titolo “Al prete ignoto. L’ecclesiologia implicita di don Lorenzo Milani” (Studium). Una riflessione profonda che fa capire anche l’insistenza del prete di Barbiana sulla centralità dei sacramenti, tema così insolito e assente nel “cattoprogressimo”. E così radicalmente cattolico (addirittura tridentino).

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 5 giugno 2023

Print Friendly, PDF & Email