“L’impressione è che l’intera umanità si stia recando a una sorta di appuntamento planetario con la propria violenza”.

Leggendo le cronache belliche di questi giorni, tornano in mentre queste profetiche parole di René Girard, che furono pubblicate due decenni fa nel suo libro “La pietra dello scandalo” (Adelphi).

Il filosofo francese proseguiva così il suo ragionamento: “Quando la globalizzazione si faceva ancora aspettare tutti la invocavano. L’unificazione del pianeta era uno dei grandi temi del modernismo trionfante, e in suo onore si moltiplicavano le ‘esposizioni universali’. Ma, adesso che si è realizzata, suscita più angoscia che orgoglio. Forse la cancellazione delle differenze non è quella riconciliazione universale che si dava per certa”.

Membro dell’Académie française, Girard, morto nel 2015, è stato uno dei pensatori più originali e affascinanti del nostro tempo. Il suo stesso percorso intellettuale è stato del tutto particolare.

Ha infatti cominciato dalla critica letteraria (indagando il carattere mimetico del desiderio) per finire nell’antropologia filosofica (esplorando i temi del capro espiatorio e del sacrificio, della violenza e del sacro). E ha trovato nella figura e nella storia di Cristo la chiave per la ricomprensione globale dell’uomo, dei suoi sommovimenti individuali come delle dinamiche sociali, dalle civiltà arcaiche fino alla nostra.

Le sue considerazioni suonano oggi molto consonanti con le parole del Papa. Per esempio Girard dice: “Noi pensiamo che per sfuggire alla responsabilità della violenza sia sufficiente rinunciare all’iniziativaviolenta. Ma nessuno si accorge mai di prendere questa iniziativa. Perfino i soggetti più violenti credono sempre di reagire a una violenza che proviene dagli altri”.

Ecco la solita diatriba su “chi ha cominciato”, tipica anche di questa guerra. Girard mostra che solo la logica cristiana – di rifiuto radicale della violenza – ci porterebbe fuori dal circolo vizioso, ma oggi “il cristianesimo sembra essere ormai l’unico capro espiatorio possibile”. L’unico bersaglio su cui tutti si possono scagliare senza problemi. In tutto il mondo.

Eppure proprio per questo (e l’osservazione di Girard è ancor più interessante di fronte al conflitto in Ucraina) “paradossalmente si può uscire dall’attuale situazione di disgregazione, di particolarismo ecc. solo scoprendo, ancora una volta, l’universalità del cristianesimo, l’unica forza che possa opporre una barriera a tale tendenza, ma scoprire questo significherebbe inchinarsi davanti al significato universale del messaggio cristiano”.

Parole che fanno comprendere meglio ciò che il Papa sta ripetendo instancabilmente dal 24 febbraio scorso. In un altro libro dal titolo significativo, “Portando Clausewitz all’estremo” (Adelphi), Girard dice: “Oggi la violenza è scatenata a livello planetario, provocando ciò che i testi apocalittici annunciavano… Continuare a ‘pensare la guerra’ sul registro dell’eroismo significherà tornare ben presto, come Clausewitz, a una pretesa sacralità della violenza e credere che sia feconda. Crederlo significa accelerare la tendenza all’estremo. Il peccato consiste nel pensare che dalla violenza possa venire qualcosa di buono. È ciò che tutti pensiamo, perché siamo mimetici, e non vogliamo rinunciare ai nostri duelli. Convertirsi è tenere a distanza questo sacro degradato”.

L’”estremo” da cui metteva in guardia Girard – e oggi il Papa – è l’Armageddon nucleare. È il rischio che stiamo correndo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 8 ottobre 2022

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