A PROPRIE SPESE

La “Recherche” di Marcel Proust è una delle opere fondamentali del Novecento. Eppure inizialmente non fu apprezzata dagli editori: “Nel dicembre 1913, la prima parte della ‘Recherche’, rifiutata da vari editori, arrivava finalmente nelle librerie, pubblicata, a spese dell’autore, da Grasset”.

Lo scrive Alberto Beretta Anguissola in “Proust: guida alla Recherche”(Carocci), un prezioso volumetto, utilissimo per apprezzare l’opera di Proust in tutta la sua ricchezza, fuori dai soliti e risaputi clichés.

La notizia del libro auto pubblicato da Proust potrebbe incoraggiare molti – che si sentono scrittori incompresi – a lanciarsi incautamente in analoghe operazioni a proprie spese.

Ma dovrebbe anche far riflettere sui misteri dell’editoria. Perché questo non è affatto un caso isolato. Anche altri classici del Novecento hanno avuto una sorte analoga.

USA E GETTA

“Al New Yorker gli dissero che il personaggio di Holden non era credibile” così scrive Shane Salerno nella biografia di “Salinger” (Isbn edizioni) scritta con David Shields.

“Il giovane Holden” sarebbe diventato uno dei libri più letti e più amatidel dopoguerra. Eppure al “New Yorker” non piacque: “Poi fu il turno della Harper, Brace & Co., che commise uno dei peggiori errori nella storia dell’editoria”.

Non piacque a Eugène Reynald “educato a Harvard e a Oxford”, uno snob “dell’élite newyorkese” il quale “rappresentava esattamente tutto ciò che Salinger – e Holden – disprezzavano”.

Come se non bastasse la Harper, Brace & Co. “di lì a poco scartò anche ‘Sulla strada’, dopo il rifiuto di Jack Kerouac ad apportarvi modifiche. Nel giro di pochi mesi” nota Salerno “la Harcourt disse di no a due dei più amati romanzi americani del Novecento”.

MEMORIA

Una sorte analoga e ancor più incomprensibile è toccata anche a certi grandi libri che, nel dopoguerra, hanno raccontato l’orrore dei lager nazisti e della shoah.

Robert Antelme dovette pubblicare il suo capolavoro L’Espèce humaine” nel 1947 “a proprie spese fondando con la moglie Marguerite Duras una casa editrice fantasma, Les editions de la Cité Universelle, chiusa poco dopo”.

Così scrive Stefano Ciavatta il quale nota che Einaudi nel 1954 pubblica Antelme “in Italia prima che lo faccia persino Gallimard nonostante Antelme ci lavori da anni come redattore scientifico”, ma curiosamente è la stessa Einaudi che non aveva compreso il valore e l’importanza di un altro capolavoro, “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Il manoscritto di Levi fu proposto all’Einaudi nel 1947 e fu letto da nomi importanti di quella casa editrice, ma non ebbe il sì.  Perciò il libro uscì, nello stesso anno, dalla piccola casa editrice Francesco De Silva di Franco Antonicelli. Un’edizione in poche copie. Nel 1952 l’opera fu di nuovo proposta alla Einaudi che ancora una volta rispose con un rifiuto.

Bisogna aspettare il 1958 perché la Einaudi decida di pubblicare “Se questo è un uomo”. Da allora il successo del libro è stato ed è enorme. Pare che siano state vendute quasi tre milioni di copie, con una media – negli ultimi decenni –  di circa 60 mila copie ogni anno. È un simbolo di Einaudi.

INCORONAZIONE

Anche prima della nascita dell’editoria, del resto, il valore non sempre era riconosciuto, basti pensare a Dante: “ricordiamo” scrive Anna Maria Chiavacci Leonardi “che l’incoronazione di poeta fu concessa, lui vivo, ad Albertino Mussato, autore di una tragedia, l’Ecerinis, che nessuno oggi legge più, quando già erano in circolazione Inferno e Purgatorio”.

Va considerato l’inizio dei premi letterari?

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 4 febbraio 2022

 

 

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