Il “saccheggio napoleonico” delle opere d’arte in Italia fu gigantesco. L’Imperatore francese pretendeva di essere il “liberatore” della Penisola e la spogliò dei suoi tesori artistici, oltre a infliggerle guerra e devastazioni.

Alessandro Marzo Magno nel libro “Missione Grande Bellezza. Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler” (Garzanti) ha ricostruito questo scempio che oggi sembra rimosso da tutti.

Però Marzo Magno ricorda anche coloro che, in modo geniale, riuscirono a riportare in Italia alcuni dei tesori saccheggiati. Eroi non celebrati quanto meriterebbero.

Uno di loro fu un grande scultore di cui proprio in questi giorni si ricorda il bicentenario della morte: Antonio Canova, “il quale, guarda caso, è pure l’artista più famoso dell’epoca, un divo conteso dai sovrani di tutta Europa, uno che” ricorda Marzo Magno “lo stesso Napoleone aveva coccolato e vezzeggiato”.

Ecco perché il Papa incaricò proprio lui di andare a Parigi per tentare la disperata impresa di farsi restituire, dalla restaurata monarchia, ciò che Napoleone aveva portato via a Roma e allo Stato Pontificio.

L’impresa era disperata perché il re francese oppose un secco rifiuto e il Congresso di Vienna non impose la restituzione. Inoltre il Papa non aveva forza militare e politica per far valere i propri diritti.

Ciononostante Canova, grazie al suo enorme prestigio e alla sua straordinaria capacità politica, trattando con i diplomatici dei vari governi, riuscì a fare il miracolo di riportare a Roma molti tesori.

Purtroppo non tutti: su un totale di 546 opere razziate nei territori pontifici” scrive Marzo Magno “ne rientrano 249, mentre 248 restano in Francia e le altre 49 risultano perdute” (si parla solo delle opere “prelevate” nello Stato Pontificio; poi ci sono quelle degli altri stati italiani).

Ma la cosa sconcertante fu l’atteggiamento dei cugini d’oltralpe. Non si pensi” scrive Marzo Magno “che i francesi abbiano accolto i derubati al Louvre con il capo cosparso di cenere e li abbiano benevolmente invitati a riprendersi ciò che era stato loro sottratto. Proprio no”.

Canova fu trattato con disprezzo: “In una lettera, finita all’asta qualche decennio più tardi, era stato maliziosamente definito: ‘Colui che fu incaricato nel 1815 di dare alla Francia il calcio dell’asino, spogliando i musei del Louvre’. Detta con parole diverse: chi si riprendeva le opere d’arte saccheggiate era a sua volta accusato di essere un saccheggiatore”.

In effetti Canova, in questa sua opera di recupero, fu circondato dall’ostilità dei francesi. E oggi? Marzo Magno riferisce un episodio riguardante una studiosa italiana: “Quando Franca Zuccoli è andata al Louvre per consultarne l’archivio, si è scontrata con alcuni funzionari del museo che tuttora giudicano Canova un personaggio negativo, e ritengono una rapina il suo prelevamento delle opere saccheggiate”.

Del resto i francesi riuscirono a tenersi molti dei capolavori che avevano portato a casa dagli altri paesi. Ma non tutti. I prussiani per esempio “si riprendono il maltolto sulla punta delle baionette” e gli austriaci hanno una “forza militare di occupazione”. Ma il Papa a Parigi ha solo Canova che, per recuperare parte dei capolavori, compì una sorta di miracolo diplomatico.

L’Italia dovrebbe far conoscere i suoi meriti (il bicentenario sarebbe stata l’occasione giusta), dovrebbe celebrarlo e dovrebbe anche cercare di farsi restituire gli altri tesori che i francesi si tennero.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 19 novembre 2022

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