C’è una vittima illustre del Covid, la più illustre, eppure è passata inosservata: Dio. Non poteva esser “fatto fuori” dal Covid, ma è stato cancellato dagli uomini a motivo (o con il pretesto) del Covid. Non si tratta solo di ciò che è avvenuto nei mesi del lockdown – una sorta di blackout della Chiesa – che è stato clamoroso e non ha precedenti in duemila anni di storia.

La cancellazione di Dio è stata anche più radicale. Fa discutere in questi giorni la “Pontificia Accademia per la vita”, al cui vertice papa Bergoglioha voluto mons. Vincenzo Paglia, della Comunità di S. Egidio.

L’Accademia ha appena emanato un documento dal titolo altisonante, “L’Humana communitas nell’era della pandemia: riflessioni inattuali sulla rinascita della vita”. Un testo di 29.128 caratteri dove non si trovano mai (proprio mai) le parole Dio, Gesù Cristo, fede e religione. C’è cinque volte la parola “salute”, ma non c’è mai la parola “salvezza”.

Come ha rilevato Stefano Fontana, non dice niente di cattolico, vale a dire di ispirato alla Rivelazione di Nostro Signore. In tutto il documento non si fa mai alcun riferimento né esplicito né implicito a Dio.

Eliminato Dio da questa riflessione clericale sul Covid, è però impossibile eliminarlo dalla vita degli uomini, perché lascia un vuoto infinito. Allora il rischio è che lo si sostituisca con la Natura (scritta rigorosamente con la N maiuscola come si addice alla divinità). E’ un po’ la nuova religione ecologista che ha Greta Thunberg come profetessa.

Lo fa pensare un recente intervento di due cardinali molto importanti in questo pontificato, Walter Kasper e Francesco Coccopalmerio.

I due prelati, nella prefazione al libro “Una nuova innocenza” scrivono che “la pandemia ha voluto essere una sorta di immenso campanello di allarme per ricordarci, in sostanza, che il mondo è gravemente malato e che così non può durare; e che, se non cambiamo atteggiamento e visione, altri e più catastrofici cataclismi si abbatteranno su di noi sotto la regia di una Natura sconvolta in primo luogo dal cambiamento climatico. Perché l’origine prima del contagio universale del Covid-19 sta proprio nell’attacco alla Natura”.

Anche “Avvenire” pubblica il testo ribadendo che “la prima origine del contagio universale del Covid-19 sta nell’attacco alla Madre Terra”. E’ assurdo. Tutti sanno che le epidemie ci sono sempre state, dall’età della pietra, e anzi erano molto più virulente proprio perché l’uomo era totalmente in balia della natura, la quale non è affatto idilliaca, ma spietata.

E’ proprio grazie all’aumento del potere umano sulla natura, tramite la scienza e la tecnologia, che le pandemie sono state in gran parte sconfitte. Il Covid-19 non c’entra nulla con “l’attacco alla Natura” da parte dell’uomo, tanto meno col cambiamento climatico (fra l’altro il virus sembra essere indebolito proprio dalle alte temperature).

A meno che non si voglia dire che il virus è stato fabbricato dall’uomo, ovvero dai cinesi nel laboratorio di Wuhan, come ipotizza il professor Joseph Tritto nel libro “Cina-Covid19”, ma questa non è certo la posizione del Vaticano che con la Cina va d’amore e d’accordo e mai direbbe una cosa simile.

Se dunque il Covid-19 è “naturale” che colpa ha l’uomo? E perché dovrebbe essere punito?  Il pensiero implicito di questi ecclesiastici “progressisti” è la vecchia idea di un “dio vendicativo” che torna con un nome diverso: la Natura. La quale punisce l’uomo per i suoi presunti peccati contro la Natura stessa.

I due cardinali sostengono di riflettere la visione di papa Bergoglioespressa nel titolo della “Stampa” del 22 aprile scorso, che ha così riassunto il suo discorso sul dramma del coronavirus: “Il Papa: abbiamo peccato contro la terra, la natura non perdona”.

Se dunque, nel pensiero ecclesiastico, c’è il rischio di sostituire Dio con la Natura, la concreta cancellazione di Dio dalla vita del popolo, nei mesi del lockdown, è un fatto. Proprio nei giorni in cui si poteva pensare che gli uomini avessero più bisogno di Lui, il governo e gli uomini di Chiesa hanno concordato la cancellazione delle messe e di tutti i riti religiosi per il popolo che è stato privato di tutti i sacramenti (perfino quello dei morenti).

Una cosa mai accaduta nella storia cristiana, perché finora per la Chiesa – come proclama il Codice di diritto canonico – “salus animarum suprema lex”, cioè: la salvezza delle anime è (sempre stata) la legge suprema.

Adesso sembra che alla salvezza dell’anima si sia sostituita la salute del corpo come valore supremo, cosicché si può rinunciare a Dio e ai sacramenti che non sono beni essenziali, anzi – è stato detto – rischiano di essere addirittura pericolosi perché andare in chiesa, confessarsi o ricevere la comunione, poteva (può) mettere a rischio la salute. Una nuova prospettiva del tutto immanentista.

Si poteva salvaguardare la salute senza veicolare il messaggio per cui, nei momenti più drammatici, è bene fare a meno di Dio e pensare solo alla salute del corpo affidandosi alla scienza e al governo? Certo che si poteva. Come si poteva e si doveva fare un lockdown diverso, nei tempi e nei modi, un lockdown che non annientasse tutte le attività umane, da quelle economiche a quelli spirituali.

Una delle conseguenze, per la Chiesa, è oggi la scarsa affluenza alle messe  che sono riprese – diversamente dall’attività delle discoteche – con forti limitazioni di presenza. I fedeli si chiedono cosa fare di una Chiesa che parla come il ministero della sanità.

E nel mondo clericale fa scandalo Gesù Cristo che, pur essendo il più grande guaritore dei corpi, afferma che il bene supremo è la salvezza dell’anima e la vita eterna: “chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del Vangelo, la salverà… che giova all’uomo conquistare il mondo intero se poi perde la sua anima?” (Mc 8, 35-36). E il Salmo 62 recita: “la Tua grazia vale più della vita”.

Sembra che nel mondo clericale non circoli molta speranza cristiana, ma ci si affidi semmai a Speranza, il ministro della sanità. Auguri.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 9 agosto 2020