SPROFONDO ROSSO PER CL: IL MEETING 2015 DIVENTA FESTA DELL’UNITA’ (E BENEDETTO XVI….)
Il titolo del Meeting di Rimini si presta quest’anno a molte battute: “Di che è mancanza questa mancanza?”. Imperversano le risposte più fantasiose, da quelle sarcastiche (“di sponsor”) a quelle irriverenti (“di senso del ridicolo”), da quelle volgari (che non riporto) a quelle serie (“di fede”).
Ma io vorrei dare una risposta ragionata. E allora per capire non solo di cosa è “mancante” il Meeting 2015 e l’attuale CL, ma, in questo momento storico, anche la Chiesa (e il mondo), vi invito a considerare un fatto, apparentemente marginale, accaduto ieri: Benedetto XVI, a Castelgandolfo, ha ricevuto due lauree honoris causa.
A conferirgliele è stato il cardinale Stanislaw Dziwisz, già segretario di Giovanni Paolo II e oggi arcivescovo di Cracovia. Il dottorato honoris causa gli è stato assegnato dalla Pontificia Università “Giovanni Paolo II” di Cracovia e dall’Accademia di Musica di Cracovia.
In questa circostanza dopo un lungo silenzio il papa ha dette alcune cose: ha parlato del grande amico, il pontefice polacco (“Senza di lui il mio cammino spirituale e teologico non è neanche immaginabile”) e poi della musica che era l’oggetto del dottorato.
Papa Benedetto – pur nella brevità del discorso – ha incantato (come al solito), ma – a saperle comprendere – ha detto cose di vera attualità.
Non si è occupato di condizionatori d’aria, vermi, rettili e spazzatura differenziata come l’enciclica “Cantico di frate sòla” firmato da Bergoglio, ma ha dispiegato il mistero di bellezza della musica.
AMORE, MORTE E DIO
Ha detto che sono specialmente tre i luoghi da cui la musica sgorga: “l’esperienza dell’amore” che apre alla creatura “una nuova grandezza e ampiezza della realtà”; poi “l’esperienza della tristezza”, specie quando si viene toccati “dalla morte e dal dolore”. Infine il terzo luogo “è l’incontro con il divino”.
Osserva il papa:
“Forse è possibile affermare che in realtà anche negli altri due ambiti – l’amore e la morte – il mistero divino ci tocca e, in questo senso, è l’essere toccati da Dio che complessivamente costituisce l’origine della musica (…) Si può dire che la qualità della musica dipende dalla purezza e dalla grandezza dell’incontro con il divino, con l’esperienza dell’amore e del dolore. Quanto più pura e vera è quell’esperienza, tanto più pura e grande sarà anche la musica che da essa nasce e si sviluppa”.
A questo punto Ratzinger ha messo il dito su una piaga. Ha ricordato che con la riforma liturgica postconciliare è riemerso l’“antichissimo contrasto” tra chi vuole la musica sacra nella liturgia e chi privilegia la partecipazione attiva dei fedeli.
Benedetto XVI ha risolto il conflitto genialmente, dicendo che proprio la liturgia celebrata da San Giovanni Paolo II nei suoi tantissimi viaggi per il globo, davanti a miliardi di esseri umani, ha mostrato “tutta l’ampiezza delle possibilità espressive della fede nell’evento liturgico” e pure come la “grande musica della tradizione occidentale non sia estranea alla liturgia, ma sia nata e cresciuta da essa”.
Il papa ha poi sottolineato l’unicità cristiana (per tutti coloro che credono che tutte le religioni siano uguali): “Nell’ambito delle più diverse culture e religioni” ha detto “è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. E tuttavia in nessun altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. Questo ci deve far pensare”.
Dopo questo accenno all’occidente ha aggiunto (e fate attenzione alla drammaticità delle prime parole):
“Non conosciamo il futuro della nostra cultura e della musica sacra. Ma una cosa è chiara: dove realmente avviene l’incontro con il Dio vivente che in Cristo viene verso di noi, lì nasce e cresce nuovamente anche la risposta, la cui bellezza proviene dalla verità stessa”.
Ha concluso:
“Quella musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto l’incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la grande musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente per la fede dell’intera cristianità, anche se non è affatto necessario che essa venga eseguita sempre e ovunque. D’altro canto è però anche chiaro che essa non può scomparire dalla liturgia e che la sua presenza può essere un modo del tutto speciale di partecipazione alla celebrazione sacra”.
Poche affascinanti parole, semplici, ma potenti per intelligenza della realtà e genialità cattolica. Cosa c’entra – vi chiederete – con il Meeting 2015? Niente. Ma proprio questo è il dramma.
MANCANZA
Ciò che manca al Meeting (ma ancor più all’attuale CL e alla Chiesa) è questo sguardo, questa intelligenza della fede: nel baratro aperto da questa “mancanza” stiamo sprofondando tutti.
Per anni, quando c’era Giussani, proprio giganti come Ratzinger e Giovanni Paolo II hanno calcato la scena riminese e hanno portato a queste altezze migliaia di giovani, che poi quella bellezza, quella musica e quella forza hanno fatto dilagare nel mondo.
Al Meeting di quest’anno invece c’è… Galantino. E’ perfino imbarazzante il confronto. Come dire che prima c’erano Bach e Mozart e oggi fanno ascoltare quel tipo che strimpella la fisarmonica al centro anziani “Villa Arzilla”.
Il programma del prossimo Meeting dice che è finita un’epoca non solo per quello che manca, ma pure per quello che c’è.
Sembra la Festa dell’Unità. Parleranno Luciano Violante su un tema che era il titolo del comunicato di CL per le elezioni: “Ripartire dal basso” (che meglio sarebbe suonato: “Volare basso”).
Ci sono poi Luigi Berlinguer a discettare di scuola e (non ci crederete) Fausto Bertinotti che arringherà le folle sul criptico tema: “Al fondo della mancanza” (dove l’unica cosa chiara è che, effettivamente, siamo… al fondo).
Ma c’è pure Piero Fassino, sulle grandi città e l’ambiente. E in questo revival stile festa dell’Unità non poteva mancare il “Workshop in collaborazione con Cooperativa Muratori & Cementisti – C.M.C. di Ravenna” (intervengono presidente e direttore generale) e poi il presidente di Legacoop a parlare di cooperazione.
Il Meeting della CL di Carron – ormai dimentica della sua storia – si sottomette “furbamente” al pensiero dominante proponendo tutte le 50 sfumature del rosso.
Pefino quella che dà sul verde di Carlin Petrini e quella anarco-noglobal di Noam Chomsky.
Ma, insieme al rosso antico, sfileranno le sfumature moderne del rosso fiorentino, anzitutto il premier Matteo Renzi che l’anno scorso – con gli indici di gradimento trionfali – spernacchiò il Meeting e quest’anno invece va a Rimini a cercare applausi.
Con lui saranno applauditi il suo amico Marco Carrai e tutto il governo in pompa magna: il ministro degli esteri Gentiloni, quello dell’ambiente Galletti, quello del lavoro Poletti e quello dell’agricoltura Martina.
Significativi pure gli esclusi eccellenti.
RINNEGAMENTI
Il sito cattolico “Libertà e persona” fa l’esempio del giornalista irlandese John Waters, che era stato invitato a tutte le ultime 17 edizioni del Meeting: “alcuni mesi fa Waters è diventato famoso, anche in Italia, come il leader dell’opposizione ai matrimoni gay in Irlanda. Per questa sua battaglia ha subito un linciaggio mediatico nel suo paese e da gennaio non lavora più per l’Irish Times”.
Che non sia stato invitato al Meeting è solo un caso? Del resto la leadership di CL è stata ostile al Family day del 20 giugno scorso.
I cattolici snob che si sono opposti sono stati elogiati da parte progressista e il vescovo monsignor Negri, antico collaboratore di don Giussani, ha fatto notare che “quando si ricevono elogi di quel tipo lì, se si aguzza bene l’orecchio si sente ancora il tintinnare dei 30 denari”.
Antonio Socci
da “Libero” (5 luglio 2015); Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”
Post scriptum – Durante la cerimonia il cardinale Dziwisz si è rivolto a Benedetto XVI chiamandolo “Santo Padre”. E’ certamente significativo, ma fa parte dell’anomalia della situazione presente. Più singolare è il fatto che poi, nell’intervista che ha dato a Radio Vaticana, il cardinale, anche parlandone in terza persona, abbia chiamato Benedetto XVI “il Santo Padre”, anziché “il Papa emerito”. La cosa è tanto significativa che alla Radio vaticana hanno ritenuto opportuno “correggere” il cardinale polacco. Così potete sentire l’audio dove Dziwisz parla del “Santo Padre” (intendendo papa Benedetto)
e leggere sotto la trascrizione di Radio vaticana che ha cambiato quell’espressione con “Benedetto XVI”. Che vorrà dire?