UN DISGUIDO E DUE RIFLESSIONI
Cari amici, purtroppo la mail del sito è di nuovo fuori uso da alcuni giorni. Per questo motivo quelli di voi che hanno scritto di recente non riceveranno risposta (in quanto io non ho ricevuto le vostre mail). Se credete potete rispedirle appena sarà di nuovo attiva la posta elettronica (spero che i tecnici possano sistemare le cose quanto prima). Mi scuso di questo ennesimo guasto.
Nel frattempo vi propongo due riflessioni. Mi pare che l’inizio di questo anno induca a fare un bilancio e tentare di tracciare uno scenario. Soprattutto mentre tanti strattonano la Chiesa per trascinarla sulle proprie posizioni (da una parte e dall’altra) e il Papa continua a tenere il timone fisso sulla vera stella polare: Gesù Cristo.
2009 CROLLO DEL CAPITALISMO ?
LEGGERE RATZINGER E CAPIRE ….
Il 1989 segnò il crollo dell’Est comunista. Venti anni dopo, il 2009, vedrà il crollo dell’Occidente? Nouriel Roubini parla della “più grande bolla finanziaria e creditizia della storia”. E afferma senza indugio: “Il sistema finanziario del mondo ricco si sta dirigendo verso un crollo”. Non è solo un disastro finanziario, perché il Mercato è stato la moderna religione dell’Occidente: è anche un fallimento ideologico e morale.
La tempesta è appena cominciata e non si sa quando e come ne usciremo. Personalmente consiglio di tener presenti due bussole per non smarrirvisi del tutto. Dirò dopo i loro nomi. Ma prima facciamo un passo indietro. Prima bisogna riconoscere l’enormità del fallimento dell’Occidente. Bisogna evitare di usare lo stesso paraocchi ideologico dei comunisti, che, incuranti delle smentite della storia, continuavano a professare il “dottrina marxista” come la scienza economica e sociale definitiva e infallibile. Certi liberisti puri e duri oggi sono egualmente dogmatici.
Il muro di Ostellino
Ieri, sul Corriere della sera, Piero Ostellino, commentando i recenti dati natalizi sul ribasso dei prezzi e il relativo aumento del potere d’acquisto delle famiglie, ne traeva questa singolare conclusione: “il mercato ha messo le cose a posto da solo. Non c’è stato bisogno dell’intervento della politica. Che avrebbe fatto danni. I prezzi sono scesi a causa della crisi economica”.
Non c’è stato bisogno dell’intervento della politica? Viene da chiedersi in che pianeta viva Ostellino. Forse non gli è giunta la notizia del più gigantesco intervento degli Stati nelle economie americane ed europee degli ultimi 50 anni, intervento che (solo) per ora che ha evitato la catastrofe finanziaria del mondo (facendoci trascorrere un Natale non tragico). Intervento tuttora in corso che molto altro dovrà fare.
Certo, bastava già tener presente la crisi del ’29 e quello che ne seguì per rendersi che lo Stato è un attore fondamentale dell’economia moderna. Forse la novità di oggi è che pure l’intervento pubblico potrebbe non bastare più. Il “rischio Argentina”, la bancarotta, è un fantasma che agita i sonni di tanti. In ogni caso per evitarlo o per limitare il disastro o per rinascere dalle macerie, bisogna disporre di un pensiero della crisi, capire l’errore e trovare una diversa strada.
I due avversari
Il crollo del comunismo del 1989 ebbe un’interpretazione ufficiale, tanto sbandierata quanto sbagliata. Fu il testo di Francis Fukuyama, “La fine della storia e l’ultimo uomo” (1992). Vi si proclamava l’Occidente democratico e capitalistico come universale approdo della storia del mondo. Il “trionfo dell’Occidente” che pretendeva di concludere idealmente la storia fu tradotto dagli Usa di Clinton con il “pensiero unico” del mercato e dell’uomo consumatore (il primato assoluto dell’economia ebbe la sua traduzione tecnocratica anche nell’Europa della moneta unica).
Al regno universale del mercato fu annessa anche la Cina (ufficialmente nel 1994 con l’ingresso nel WTO) e nacque quella che Giulio Tremonti ha chiamato la “Chimerica”, ovvero Cina più America. Con la new economy e con il sistema statunitense che continuava a indebitarsi per finanziare i consumi privati e la Cina che produceva per l’Occidente comprando il debito degli americani. Sono le premesse del collasso odierno.
Nel 2001 ci fu la prima smentita della storia: l’11 settembre, le “Torri gemelle”, così vicine a Wall Street. Cosa significava quel fatto lo aveva spiegato in anticipo Samuel Huntington nel suo “Lo scontro di civiltà” (1996). Huntington criticava il “nuovo ordine mondiale”, in polemica con Fukuyama, spiegando che non esiste solo il mercato e che la storia è fatta di diverse civiltà, culture, religioni e identità. Le quali non si fanno spazzar via dalla religione del produrre e consumare. Huntington ammonì che quella mercatista era una “illusione di armonia destinata ben presto a rivelarsi appunto tale”.
Infatti arrivò l’11 settembre 2001. Confermando l’analisi di Huntington che vedeva la cultura islamica fra le più refrattarie all’omologazione occidentale. Paradossalmente il testo di Huntington fu poi usato (suo malgrado) in chiave “neocon” come premessa ideologica del progetto di esportazione della democrazia, ovvero delle guerre di Bush. Che è stato un altro tentativo – fallito – di omologare il mondo al modello occidentale.
Finché è esplosa definitivamente la crisi del sistema americano. Ma perché siamo arrivati a questo? Dove abbiamo sbagliato? E’ inverosimile che ad accendere una luce siano coloro che hanno provocato la notte. Ma dov’è un intellettuale, un libro, un pensiero che può accendere una luce diversa nella notte?
Buttare Smith
Consiglio un profetico saggio di Joseph Ratzinger del 1985 che annunciava (con anni di anticipo) sia il crollo del comunismo che del capitalismo liberista. E li prevedeva provocati da uno stesso errore filosofico. Da una stessa ideologia. Il saggio sarà ripubblicato su “Communio” di gennaio 2009 e probabilmente rappresenta una premessa dell’annunciata enciclica a cui si dice abbia collaborato pure Giulio Tremonti (che ha citato questo testo di Ratzinger nella sua recente prolusione alla Cattolica di Milano). In sintesi Ratzinger punta il dito sull’idea “risalente a Adam Smith” che sta alla base del pensiero liberista e della rapacità e degli errori che hanno portato gli Usa al collasso. Per questa idea “il mercato è incompatibile con l’etica, giacché i componenti volontaristicamente ‘morali’ sono contrari alle regole del mercato e non farebbero altro che tagliar fuori dal mercato gli imprenditori ‘moraleggianti’. Per questo l’etica economica è stata considerata per molto tempo come un ‘ferro di legno’, perché nell’economia si deve guardare solo all’efficienza e non alla moralità. La logica interna del mercato ci dispenserebbe dalla necessità di dover fare affidamento sulla moralità più o meno grande del singolo soggetto economico, in quanto il corretto gioco delle regole del mercato garantirebbe al massimo il progresso e pure l’equità della distribuzione”. Sebbene si definisca “liberista”, obietta Ratzinger, questa filosofia, nella sua essenza, è “deterministica” perché presuppone che “il libero gioco delle forze di mercato spinga verso una sola direzione, cioè verso l’equilibrio fra offerta e domanda, verso l’efficienza economica e il progresso”, con lo “sconcertante presupposto” che “le leggi naturali del mercato sono essenzialmente buone e conducono necessariamente al bene, senza dipendere dalla moralità della singola persona”.
La realtà dice l’opposto e non solo con la crisi attuale, ma – già prima – con le grandi contraddizioni planetarie prodotte dall’economia capitalistica: la fame e la miseria di tre quarti dell’umanità, squilibri e tensioni sociali crescenti e gravissime devastazioni ambientali. Il marxismo, spiega Ratzinger, è un “determinismo” ancora più spinto, perciò più violento e fallimentare (“promette la totale liberazione come frutto di un determinismo”). Entrambi i casi si basano sull’utopia ideologica di un meccanismo così perfetto – come diceva Eliot – da rendere inutile all’uomo essere buono. Invece, spiega Peter Koslowski, “l’economia non è retta solo dalle leggi economiche, ma è guidata dagli uomini”.
L’eliminazione del “fattore uomo” nel marxismo è stata radicale. Nel liberismo più sfumata, ma simile e alla fine il profitto come regola a se stesso ha prodotto il disastro. Occorre qualcosa che stia sopra al profitto e sopra al meccanismo della produzione. Ma qua la crisi planetaria si intreccia con la scelta individuale, con ciò che rende personalmente “buono” l’essere umano. Quindi con Dio. Tremonti nel suo libro “La paura e la speranza” ha il merito di averlo intuito. E di aderire all’appello della Chiesa – davanti a questa grande crisi di civiltà – di un radicale ripensamento delle nostre scelte individuali e collettive, di un’autocritica e di una grande conversione.
Antonio Socci Da “Libero”, 4 gennaio 2009
IN ATTESA DEL FILM SUL GULAG
SAVIANO S’ISPIRA A SALAMOV, MA EGLI E’ ….
A 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, mentre nelle scuole circolano tuttora libri di testo secondo i quali tale Muro fu eretto dagli Occidentali e fu abbattuto dai comunisti, il comunismo e i suoi orrori rappresentano il grande rimosso della coscienza moderna e della cultura mondiale, il grande buco nero che si è ingoiato perfino la memoria di centinaia di milioni di vittime.
Cosicché oggi, su questa immane rimozione, di fronte al collasso del mercatismo, capita che si parli sui giornali di una “riscoperta di Marx” e addirittura il ministro tedesco delle Finanze Peer Steinbruck dichiara che le risposte di Marx ai problemi attuali “possono non essere irrilevanti”. Allegria!
Non un solo film, in venti anni, è stato dedicato alla sterminata macelleria del Gulag planetario e alle milioni di storie falciate dalla sistematica pratica dello sterminio e dell’oppressione, che ha caratterizzato i regimi marxisti sempre e dovunque, a tutte le latitudini e in tutte le loro stagioni. Neanche un film, né una grande opera teatrale. Qualcuno potrà indicare una pellicola come “Le vite degli altri”, ma questo film, che pure fotografa il clima poliziesco di menzogna e paura dei regimi dell’Est, non è un film sul Gulag. Ed è un lodevole, ma isolatissimo caso.
Alain Besançon, nel suo recente pamphlet “Novecento. Il secolo del male” (Lindau) ha scritto: “Il nazismo, nonostante sia scomparso completamente da più di mezzo secolo, è a giusto titolo l’oggetto di un’esecrazione che non accenna a diminuire. Gli studi carichi di orrore al riguardo aumentano ogni anno di profondità e di ampiezza. Il comunismo, invece, nonostante sia vicino nel tempo e caduto di recente, fruisce di un’amnesia e di un’amnistia che raccolgono il consenso quasi unanime, non solamente dei suoi partigiani – ne esistono ancora – ma anche dei suoi nemici più determinati; e perfino delle sue vittime. Tutti trovano disdicevole trarlo fuori dall’oblio. Qualche volta capita che la bara di Dracula si socchiuda. E così, alla fine del 1997, un’opera (‘Il libro nero del comunismo’) ha osato fare la somma dei morti che gli si possono ascrivere. Proponeva una forbice da 85 a 100 milioni di morti. Lo scandalo è durato poco, e la bara si è già richiusa, senza che questi numeri siano stati seriamente contestati”.
Quando il Mostro era ancora al potere la denuncia dei suoi orrori in Occidente era un tabù per una quantità di motivi, di bavagli e di impedimenti. Basti dire che riuscirono perfino a condizionare il Concilio Vaticano II che – in piena persecuzione rossa – non pronunciò mai la parola comunismo, né la sua esplicita condanna. Fra gli intellettuali, gli anticomunisti erano mosche bianche e isolate. Sartre arrivò a dire (lo riferì Gustaw Herling) che “non si doveva parlare dei lager sovietici perché gli operai di Billancourt non potevano perdere la speranza”.
Quando in Italia arrivò la bomba di Solzenicyn, “Arcipelago Gulag”, a squarciare i veli sull’orrore – era il 1974 – fu accolto con gelida indifferenza o con disprezzo. Pierluigi Battista sottolinea “la singolare esiguità numerica di recensioni per un libro così importante e decisivo” e, per dire il clima, ricorda la diffusione della “leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet”. Quando poi crollò il Muro e travolse quei regimi si disse che essendo – il comunismo – morto e sepolto solo dei fanatici, dei maniaci o gente con doppi fini inconfessabili poteva ancora “accanirsi” e attardarsi nella denuncia dei crimini rossi, che ormai dovevano essere consegnati agli storici. Sennonché quando Giampaolo Pansa, nel 2003, ha disseppellito “Il sangue dei vinti”, ignorato dagli storici, è stato “scomunicato” da quegli stessi storici come revisionista, storico abusivo e peggio ancora. Non doveva osare raccontare la storia per intero.
Negli anni Novanta, peraltro, la rimozione del “comunismo” è stata praticata pure dagli stati occidentali: mentre erano ancora caldi i corpi degli studenti cinesi macellati in Piazza Tien an men, mentre i cristiani sono ancora rinchiusi nel Laogai e il Tibet sanguina, gli Stati Uniti di Clinton e l’Europa tecnocratica integrarono la Cina nel mercato globale facendo finta che non fosse più un regime comunista (comunismo che continua a dominare pure a Cuba, in Corea del nord e Vietnam).
Così, nel senso comune, l’amnesia del comunismo è stata un’amnistia. Facciamo un confronto. Consideriamo il successo oceanico del libro “Gomorra” di Roberto Saviano. Nelle ultime ore perfino Ronaldinho ha fatto sapere di aver letto l’opera. Ormai siamo al gran completo. Personalmente apprezzo Saviano e il suo libro, ma trovo singolare questa passione planetaria, con relativa indignazione civile, per i crimini camorristici della provincia di Caserta, da parte di un’opinione pubblica e di un’intellighentsia che per decenni ha deliberatamente ignorato il clan criminale più potente, sanguinario e vasto della storia, quello comunista, che aveva in pugno metà del pianeta, da Trieste fino ai confini dell’Alaska, da Cuba alla Cina, dall’Angola all’Albania.
Come si spiega tutto questo interesse, anche fuori d’Italia, per il malaffare di Secondigliano o Casal di Principe mentre si continua a (voler) ignorare l’oceano planetario di crimini, oppressione e menzogna che, dalla rivoluzione bolscevica, ha investito miliardi di persone, ha avallato lo scatenamento della Seconda guerra mondiale e poi, con la sfida atomica, ha messo a repentaglio le stesse sorti dell’umanità?
Quanti dei milioni di lettori di “Gomorra” hanno mai letto “Arcipelago Gulag” ? Quanti ne conoscono almeno l’esistenza? Quanti, fra gli intellettuali, i professori, i giornalisti lo hanno mai letto? Quando si pubblicherà in Italia tutta l’opera di Solzenicyn? Quando vedremo una grande produzione cinematografica ispirata a una delle tante storie che egli ha raccontato? Penso che dovremo aspettare ancora a lungo. Mentre il libro di Saviano, uscito nel 2006, è già diventato un film, che ovviamente ha già riscosso enorme successo, che ha sbancato gli “oscar europei” (5 premi su 5 candidature) e ora sembra prepararsi a prendere pure l’Oscar americano. Qualcuno mi obietterà: ma che c’entra?
L’aspetto singolare è che proprio Saviano, che è un uomo serio, ha dichiarato di ispirarsi, sul piano etico, nella sua battaglia civile, a un bellissimo racconto di Varlam Salamov, contenuto nell’opera “I racconti di Kolyma”. Sarebbe interessante sapere quanti dei lettori (anche colti) di Saviano sanno qualcosa di quel libro e di quell’autore. Salamov trascorse venti anni nei lager comunisti, nell’inferno ghiacciato di Kolyma. La sua opera fu pubblicata nel 1978 a Londra e New York e lui nel 1982 viene chiuso in un ospedale psichiatrico dove muore solo come un cane, nell’orrore. Il suo è un capolavoro letterario del Novecento. La prima edizione italiana (parziale) nel 1976 fu del tutto ibernata: “attorno al libro si stese un silenzio pressoché assoluto e il volume fu per noi uno degli insuccessi più clamorosi” dirà Dino Audino.
Invece in America e in Europa l’impressione fu enorme. Quando finalmente, nel 1999, la Einaudi ha pubblicato l’opera (che aveva rifiutato di pubblicare nel 1975), è accaduta una cosa singolare. Fu chiesta una prefazione a Piero Sinatti e Gustaw Herling (che ha vissuto due anni nel Gulag e scrisse, fra i primi, nel 1951, una testimonianza su questo). Ma la loro prefazione ovviamente trattava a fondo del comunismo, così la Einaudi la rifiutò perché “eccessivamente sbilanciata sul versante storico-politico”. Infatti l’opera è uscita con una prefazione che si diffonde sulla “struttura narrativa”, ma non parla di comunismo. Ed ha molte altre cose incredibili. L’assurda vicenda è stata ricostruita da Herling e Sinatti nel bellissimo pamphlet “Ricordare, raccontare”.
Questa è ancora la situazione da noi, nella nostra cultura e nei media. Non resta che attendersi da Saviano il coraggio di rompere finalmente l’omertà che da sempre circonda l’orrore criminale chiamato: “comunismo”. Noi siamo con lui.
Antonio Socci
Da Libero, 11 gennaio 2009