Tempo fa lessi questa straordinaria pagina di Joseph Ratzinger:

“Il male non è affatto – come reputava Hegel, e Goethe vuole dimostrarci nel Faust – una parte del tutto di cui abbiamo bisogno, bensì la distruzione dell’Essere. Non lo sipuò rappresentare, come fa il Mefistofele del Faust, con le parole: ‘io sono una parte di quella forza che perennemente vuole il male e perennemente crea il bene’. Il bene avrebbe bisogno del male e il male non sarebbe affatto realmente male, bensì proprio una parte necessaria della dialettica del mondo. Con queste filosofia sono state giustificate le stragi del comunismo che era edificato sulla dialettica di Hegel vòlta in prassi politica da Marx. No, il male non appartiene alla ‘dialettica’ dell’Essere, ma lo attacca alla radice” (da “Fede, verità e tolleranza” edizioni Cantagalli).

Mi è tornata in mente leggendo il prezioso libro di Massimo Borghesi di cui (qua sotto) pubblico la recensione. Antiche eresie, in varie forme, nel corso dei secoli, hanno presentato Dio e Satana, il Bene e il Male, come due facce della stessa medaglia. Le metamorfosi della gnosi sono state molteplici, fino ad arrivare all’epoca moderna.

Borghesi spiega come tutto questo torna nel pensiero filosofico moderno, nelle ideologie del Novecento e rifluisca oggi – senza che ne siamo consapevoli – nella mentalità e nel pensiero dominante, fino agli eventi più drammatici del presente. L’autore fa comprendere così pienamente anche la posizione della Chiesa sulla guerra che ha suscitato tante polemiche perché è fuori dal meccanismo terribile dell’ideologia e cerca di difendere l’uomo.

Borghesi conclude: “La dialettica del negativo, contrariamente a quello che pensava Hegel, non perviene mai al positivo. Dio non è complice del diavolo, è Dio. Pensare diversamente è segno di una patologia, di uno strano ottenebramento della mente e dell’anima che ha attraversato lo spirito europeo negli ultimi due secoli”.

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Come decifrare il caos dei grandi fenomeni storici e la complessa trama della geopolitica? Interessante è il contributo di Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale all’Università di Perugia, un intellettuale molto vicino a papa Francesco (su cui ha scritto alcuni libri) e che si è formato con personalità come Augusto Del Noce, Luigi Giussani, Armando Rigobello, Cornelio Fabro e Hans Urs von Balthasar.

Ha appena pubblicato, Il male necessario. L’etica del superuomo nel manicheismo romantico (Orthotes Editrice): un volume ricco di spunti di riflessione, anche per chi ha idee diverse.

Il libro ha un filo rosso che, fra l’altro, illumina le ragioni profonde alla base delle (incomprese) posizioni della Chiesa sulla scena internazionale. All’origine di tutto c’è “un terreno in larga misura inesplorato, quello della giustificazione ‘razionale’ del male operata dalla filosofia del XIX secolo”.

La “svolta” sta in quell’interpretazione (errata) di Machiavelli “che si instaura con l’affermarsi del pensiero dialettico”. Qui inizia “qualcosa di inedito, qualcosa che, come scriveva Meinecke, ‘nascondeva in sé anche il grave pericolo di ottundere il sentimento morale’. La morale, cristiana o kantiana che fosse, veniva retrocessa a gradino inferiore (…). Per il nuovo Vangelo il male era necessario, fecondo, generativo. Il ‘patto con il Serpente’ stipulato da una nuova stirpe di titani è il ‘segreto’ dell’eredità romantica, di quella germanica in particolare. Un segreto svelato nelle infinite distese dei morti delle due guerre mondiali, nel disprezzo per le vittime, per i deboli, i senza nome”.

Un segreto svelato dai totalitarismi del Novecento: “Il manicheismo assurto a ‘visione del mondo’ rendeva possibile l’uccisione, quella fredda, senza odio. Filosoficamente è stata la dialettica, quella di Hegel non di Platone, che ha costituito la giustificazione del ‘negativo’ che da due secoli ha ottenebrato la coscienza europea”.

Dopo il crollo dei totalitarismi ha assunto nuove forme. Borghesi ripercorre tutta la parabola della storia moderna (e del pensiero) da Milton, Kant, Hegel e Marx a Nietzsche, Heidegger, Schmitt e Croce. E poi Deleuze, Foucault, Derrida fino a Fukuyama. Anche interpretando fenomeni come la globalizzazione e le nuove culture gnostiche che hanno segnato il costume, come la New Age e quello che ne è derivato nella concezione del sé.

Infine “l’11 settembre segna il ritorno del mondo al manicheismo ideologico-politico” che azzera la politica e rilegittima la violenza, fino ai conflitti attuali e al pensiero oggi dominante secondo cui – sintetizza Borghesi – “non c’è amico se non c’è un nemico, non c’è unione se non c’è pericolo di guerra, non c’è il bene senza il male. La dialettica è tornata e, con essa, la giustificazione del negativo”.

Ma “la dialettica del negativo, contrariamente a quello che pensava Hegel, non perviene mai al positivo”. Borghesi sottolinea che questa non è solo una valutazione morale e filosofica, ma anche di realismo politico, come dimostra la storia dei secoli XX e XXI.

L’autore ricorda infine un importante discorso tenuto nel 1962 da Romano Guardini, che spiegava come l’Europa, per la sua storia, aveva “il compito di mediare tra i continenti” ed essere il katechon che frena il dispiegarsi dei deliri del male.

Ma l’Europa ha perso la sua anima e quindi non ha più un’identità né una politica, infatti “ha rinunciato a svolgere un suo ruolo di equilibrio etico-politico nella scena del mondo”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 23 marzo 2024