Forse è l’atmosfera bellica che induce a riscrivere fantasiosamente la storia, come nelle celebrazioni del centenario di Enrico Berlinguer che lo hanno trasformato in un liberale, antisovietico e sostenitore della Nato.

Fra l’altro sorprende anche l’editoriale che Ezio Mauro, già direttore di “Repubblica”, ha firmato sulla prima pagina di questo giornale, il 6 giugno, sotto il titolo: “L’Europa senza mappa”.

AUTOGOL

Vi si legge che quella in corso è “una guerra che mette in gioco la geografia intera dell’Europa così come l’abbiamo ereditata dal tracciato di pace del febbraio 1945 a Jalta. Quell’accordo di spartizione dell’Europa” sostiene testualmente Mauro “è saltato con l’invasione russa dell’Ucraina, perché si basava su una ridefinizione della mappa storica e politica accettata e condivisa da tutte le parti in causa: strappando l’angolo ucraino, l’intera mappa viene messa in discussione e perde la sua funzione di garanzia dell’insieme, lasciando l’Europa senza fondamenta riconosciute e benedette dalla politica”.

E’ stupefacente che Mauro sostenga una tesi del genere perché sono casomai i russi che avrebbero (avuto) interesse ad invocare la conservazione dei patti di Jalta.

Quell’incontro fra Roosevelt, Churchill e Stalin (Usa, Gran Bretagna e Urss) si tenne nel febbraio 1945, quando l’Armata rossa era già in Polonia, Romania, Ungheria e Bulgaria, era entrata in Germania e stava arrivando a Berlino dove i sovietici piantarono la bandiera rossa sul Palazzo dei Reischstag il 2 maggio 1945.

Secondo l’“accordo di spartizione dell’Europa” concluso a Jalta la sfera d’influenza sovietica comprendeva tutta l’Europa orientale (e infatti vi furono instaurati regimi comunisti) e prevedeva la spartizione della Germania (la parte Est rientrò sotto l’orbita sovietica ed ebbe un regime comunista).

Questo “accordo di spartizione” dunque è venuto meno quando – fra 1989 e 1991 – sono crollati i regimi comunisti, la Germania si è riunificata, l’Urss si è dissolta, con la dichiarazione di indipendenza dei suoi stati (come l’Ucraina) e la Nato si è allargata non solo ai paesi dell’ex Patto di Varsavia, ma perfino a stati che facevano parte dell’Urss stessa, come Lituania, Estonia e Lettonia.

Come si può dire che l’accordo di Jalta “è saltato con l’invasione russa dell’Ucraina” se l’Ucraina faceva addirittura parte dell’Urss e già prima di Jalta? Oltretutto nel 1999 c’è stato pure l’attacco militare della Nato contro la Repubblica federale di Jugoslavia che era nel blocco dell’Est… Non è il caso di fare la guerra anche alla storia (e al buon senso).

IDEE SCOMODE

Vladimiro Zagrebelsky, magistrato che è stato per anni un giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo, è intervenuto sulla “Stampa” (25/5) per difendere il diritto di un’associazione pro-life di esporre sui muri un manifesto contro l’aborto.

Fra l’altro ha citato le sentenze di tale Corte sulla libertà di espressione la quale – vi si legge – “vale non soltanto per le ‘informazioni’ o le ‘idee’ che sono accolte con favore o sono considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, colpiscono, inquietano lo Stato o una qualunque parte della popolazione. È questa un’esigenza propria del pluralismo, della tolleranza e dello spirito di apertura senza i quali non esiste società democratica”.

I principi proclamati dalla Corte naturalmente  valgono sempre, anche per il dibattito in corso sulla guerra in Ucraina. In tempo di liste di proscrizione è bene tenerlo presente. Specialmente se ci si proclama liberali.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 10 giugno 2022