ROSSOBRUNO

Il libro di Claudia Weber, “Il patto (Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale)”, pubblicato da Einaudi, indaga su uno degli eventi più imbarazzanti per l’ideologia dominante in Italia.

Il trattato fra Germania nazista e Unione Sovietica dell’agosto 1939 dette il via libera alla mattanza della Seconda guerra mondiale.

“Il patto” scrive Mirella Serri (La Stampa 4/9) “prevedeva anche un ‘protocollo segreto’ rimasto tale fino al termine degli anni Novanta, in cui venivano definiti i territori che i due tiranni si sarebbero spartiti”.

Infatti mentre Hitler nel settembre 1939 invadeva la Polonia da ovest, Stalin la invadeva da est (si ricordi il massacro di 22 mila ufficiali, professori, giornalisti, industriali polacchi a Katyn, nel 1940, da parte dei sovietici).

Questo basta a confutare la tesi di qualcuno secondo cui Stalin in fondo fu costretto a stipulare quella scellerata intesa dall’attendismo delle potenze europee che non si decidevano a coalizzarsi contro la Germania nazista.

Del resto a rompere poi quel patto, due anni dopo, quando ormai la guerra era scoppiata e le potenze occidentali combattevano contro Hitler, fu quest’ultimo e non fu Stalin.

Si ebbe anche una ricaduta sui comunisti degli altri paesi. Basti ricordare che – quando i tedeschi entrarono a Parigi, nel 1940 – Stalin ordinò ai compagni francesi di festeggiare gli invasori nazisti.

 

FLASH

“Un celebre uomo politico abbreviava i suoi discorsi a misura che la sua prostata cresceva” (Georges Valensin).

 

FREUD E WOODY

Con tutto il rispetto che si deve a una grande personalità come Sigmund Freud, il libro appena pubblicato da Bollati Boringhieri “Gli aforismi”, con la firma del padre della psicoanalisi, non sembra essere proprio un imperdibile capolavoro.

Almeno a giudicare dalle massime scelte dal “Fatto quotidiano” (19/9) che, essendo state selezionate, devono essere fra le migliori del volume.

Ne cito due per tutte. Una che potrebbe stare nei Baci Perugina: “Non tutti gli uomini sono degni d’amore”. Un’altra che – sia pure in termini più crudi – si ha la sensazione di aver già sentito al bar: “I medici dovrebbero abituarsi a spiegare all’impiegato che si è ammazzato di lavoro in ufficio, o alla massaia per la quale la casa è divenuta troppo pesante, che essi non si sono ammalati” per un eccesso di fatica, “ma perché, mentre svolgevano tali mansioni, hanno trascurato e deteriorato in modo grossolano la propria vita sessuale”.

La perla più interessante riguarda ciò che Freud rispondeva a una frequente obiezione dei suoi pazienti “quando promettevo loro aiuto o sollievo”. Spiegava dunque il dottore: “lei si convincerà che molto sarà guadagnato se ci riuscirà di trasformare la sua miseria isterica  in una infelicità comune”.

Allegria. Il padre della psicoanalisi avrà anche avuto ragione, ma leggendo le sue parole vengono in mente le battute di Woody Allen sull’argomento psicoanalisi: “Direi che la mia paranoia è in fase calante. Continuo a credere che la gente mi segua… ma adesso ho l’impressione che lo faccia senza un vero interesse”. Oppure: “Quando ho detto al mio psicanalista che cominciavo ad avere tendenze suicide, mi ha replicato che da quel momento dovevo pagarlo in anticipo.”
La più divertente del comico newyorkese è anche la più nota: “La psicoanalisi è un mito tenuto in vita dall’industria dei divani.”

Ma in tempi di scatenati complottismi come quello attuale è bene non ripeterla, perché qualcuno potrebbe anche prenderla sul serio.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, settembre 2021

 

Print Friendly, PDF & Email