Solitamente in questo blog propongo solo articoli miei. Ma stavolta faccio un’eccezione perché ne vale la pena. Franco Bechis – l’autore di questo articolo uscito oggi su “Libero” – è un giornalista noto e stimato per la sua serietà e professionalità. La sua storia personale è tutt’altro che lontana da CL, perché anche lui, come me, è cresciuto dentro al Movimento. Ho lavorato con lui al “Sabato”, quindi ci conosciamo da più di trent’anni. Diversamente da me – che sono un rompiscatole “fazioso”, con mie idee (per così dire) militanti – Franco si è sempre caratterizzato per un profilo molto professionale e distaccato. Ma proprio per questa sua riconosciuta professionalità in questo articolo fa – lealmente, con dolore – il resoconto di un episodio molto spiacevole, di cui è stato testimone diretto, al Meeting di Rimini che si sta svolgendo in questi giorni. Vi prego di leggere bene dietro i suoi toni descrittivi e pacati (i miei sarebbero stati infuocati). Quello che riferisce è la punta di un iceberg che secondo me dà perfettamente l’idea della “trasformazione genetica” a cui CL è stata sottoposta in questi ultimi anni. Avendo lui – come me – partecipato al Meeting fin dalla prima edizione (di cui ricordo la bellissima mostra dei pittori dissidenti russi) e soprattutto sapendo come don Giussani ha sempre educato i giovani del Movimento a una forte simpatia per i cristiani perseguitati (e in genere per tutti i perseguitati), trovarsi davanti una platea che reagisce così alla testimonianza di questo sacerdote iracheno lo ha visibilmente sconcertato. Proprio per il suo personale coinvolgimento affettivo con il mondo di CL si coglie, nella sue parole, l’amarezza di un fatto così insolito. Io lo ringrazio di questo articolo. Aggiungo inoltre, qui, la mia personale opinione: chi, dentro CL, ha voluto e perpetrato questa devastazione educativa e questo tradimento del carisma di don Giussani, stravolgendo la sua straordinaria opera (che poi è un’opera di Dio) ne dovrà rispondere a Dio. Io spero però che non riesca a portare fino in fondo la sua opera di distruzione, spero che sia allontanato quanto prima e prego che il Movimento torni ad essere fedele al carisma di don Giussani, che è quello riconosciuto dalla Chiesa (non il carisma di Carron – di cui non c’è traccia da nessuna parte – ma quello di don Giussani è stato riconosciuto dalla Chiesa ed è quello che la Chiesa dice di seguire). 

Antonio Socci

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Padre Rebwar Basa è un iracheno di 38 anni, nato ad Erbil e ordinato sacerdote nel monastero di San Giorgio a Mosul. Un religioso nella polveriera di questi anni, che ha vissuto in un Iraq dove i cristiani sono sempre più minoranza, perseguitata da tutti i gruppi islamici del paese e con una vita resa difficile anche dal potere ufficiale. Al Meeting di Rimini per tre giorni è venuto a raccontare la sua storia a chi visita la mostra sui martiri cristiani organizzata dalla onlus Aiuto alla Chiesa che soffre.

L’ho visto venerdì protagonista di un episodio che mai si era verificato al Meeting di Rimini: un testimone oculare di stragi che racconta la propria storia e che viene messo in discussione, ritenuto inattendibile dal pubblico che ascolta.

L’ho filmato durante quel braccio di ferro con il pubblico, e lui ha tenuto botta: “Io ho vissuto in Iraq, sono un testimone di quello che racconto. Lì siamo 300 mila cristiani ancora. Qui si racconta una cosa vera, che i sunniti ammazzano gli sciiti e gli sciiti uccidono i sunniti. E’ vero, e ci sono motivi religiosi, politici ed economici in quelle stragi. Ma per gli uni e gli altri noi cristiani siamo il vero obiettivo. Questo bisogna dirlo. Ogni tanto leggo che i cristiani sarebbero vittime collaterali di un conflitto. No, non è così: sono l’ obiettivo principale. C’è una persecuzione che è anche un genocidio, e di questo dobbiamo parlare”.

Il pubblico rumoreggiava, contestava apertamente. Padre Rebwar con calma ha replicato: “Non vi fidate di me? Non ci credete? Potete anche approfondire: ci sono mass media, ci sono libri, ci sono altri testimoni. Potetre informarvi. Però qui spesso si ha paura di parlare per non toccare la sensibilità di altre religioni, di non dire questo, non dire quello. E state vedendo grazie a questo atteggiamento come è diventata la situazione dell’Europa, dove siete la maggioranza come cristiani e vivete in allerta. Immaginate cosa si vive da noi in Iraq, dove siamo lo 0,5% della popolazione. Qui da voi ci sono ragazzi dell’Islam che partono per andare a combattere in Iraq e in Siria, pronti a morire. E i vostri giovani non sono pronti nemmeno più a partecipare a una Santa Messa”.

Ieri sono andato a trovarlo e gli ho chiesto se era stupito di questa incredulità. Mi ha fatto capire di no, che non è la prima volta. Ho sentito le sue parole vibranti sugli errori dell’Occidente, ma lui ora quasi se ne ritrae: “voi in Occidente siete molto più sviluppati che da noi, non posso dirvi cosa dovete fare. Secondo me c’è un solo criterio per giudicare quel che sta avvenendo: la libertà. Dove la libertà è assicurata, non c’è conflitto, non c’è ingiustizia. Ma per esserci libertà bisogna che una minoranza possa vivere in pace, e da noi questo non accade. L’Islam è una religione, che però spesso viene catturata dalla ideologia che lo rende radicale. I giovani che corrono a combattere con l’Isis sono vittime di questi islamici che gli insegnano l’odio, dicono loro di non accettare le diversità, di considerare gli altri infedeli. E quell’odio diventa persecuzione nei nostri confronti. Questo bisogna saperlo…

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Franco Bechis

da “Libero”, 21 agosto 2016

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