La scoperta di un testo inedito di san Francesco d’Assisi (ne ho scritto ieri su “Libero”), merita – per la sua importanza – un approfondimento. Il testo, in latino, si trova nel manoscritto L. 1258 conservato presso l’Archivio Historico Nacional di Madrid e non era stato mai pubblicato.

Nel 1974 padre Angel Uribe dette notizia dell’esistenza del manoscrittoe ne descrisse le caratteristiche. Segnalò pure che alle carte 286rb-287ra vi era una breve preghiera latina preceduta dalla scritta in rosso “Oratio composita a beato Francisco”. Ma nulla di più. Sono molti i testi attribuiti al santo che in realtà sono ritenuti falsi. Anche l’esperto Kajetan Esser classificò questo componimento tra “gli opuscoli dubbi e certamente non autentici”. Non aveva potuto studiarlo e riteneva di non poter dare un giudizio definitivo.

Nessuno studioso l’ha poi analizzato, né pubblicato. Finché un esperto di manoscritti, Aleksander Horowski, dell’Istituto Storico dei Cappuccini,gli ha dedicato un’analisi specialistica e – anche dopo essersi confrontato con altri esperti – è arrivato alla conclusione che effettivamente questa preghiera è un testo autentico di san Francesco.

Così l’ha edito, pubblicando il suo studio, il testo latino e la traduzione della preghiera su “Frate Francesco. Rivista di cultura francescana” (annata 88, anno 2022, pp. 7-35).

L’EQUIVOCO

In una video-intervista che la Libreria Internazionale Francescana di Assisi ha appena pubblicato sulla sua pagina facebook, padre Horowski spiega: “È una preghiera nata probabilmente nel contesto del Natale, infatti sottolinea molto il tema dell’Incarnazione di Cristo. Il testo si apre con un’invocazione a tutti i cori degli angeli e a tutti i santi, invitandoli a lodare il Signore. Forse proprio questo incipit è il motivo per cui questa preghiera è rimasta per secoli nascosta. San Francesco (nel mio studio ho spiegato i motivi che inducono ad attribuirla a lui) ha utilizzato un’antifona liturgica, per cui l’inizio di questa preghiera si confonde con il testo che tutti ben conoscevano perché lo cantavano durante l’ufficio della festa di ‘Tutti i santi’”.

In effetti in questo testo impressiona il continuo ed entusiastico appello di Francesco agli angeli, ai santi “e ogni creatura” affinché tutti lodino, glorifichino ed esaltino “il Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione”, “questo nostro Re pacifico” cosicché “sulla terra sia pace agli uomini di buona volontà”. Continuamente implora: “cantate tutti dolcemente le divine lodi al Signore”, “gridiamogli di gioia”.

BELLEZZA DA CAPIRE

Sono espressioni che certamente riflettono anzitutto le sue esperienze mistiche nelle quali letteralmente vedeva la Bellezza che qui cerca di esprimere, ma che resta ineffabile.

Perciò non si deve pensare a un entusiasmo ingenuo e giovanilistico. Del resto Franco Cardini nel suo “Francesco d’Assisi” (Mondadori), a proposito del celebre “Cantico delle creature”, scrive: “quel che più colpisce noi moderni, figli di una civiltà tesa tutta a negare un senso al dolore, alla malattia, alla morte, è questa capacità di lodare Iddio per il sole e il fuoco da parte di un uomo al quale la luce era rifiutata; questa capacità di lodarlo per le sofferenze non già quando esse erano lontane e tale lode poteva sembrare un esercizio teologico, ma proprio mentre esse gli straziavano le carni. Uno degli inni più belli e pieni alla vita, alla gioia, al mondo, è nato dalle piaghe e dal dolore”.

Gli riempiva il cuore una Bellezza più grande del dolore.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 maggio 2022

 

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