L’infatuazione marxista dei giovani del ‘68 ebbe un simbolo: il Vietnam, l’Indocina. Una generazione di politici intellettuali e giornalisti di sinistra si formò in quegli anni sbandierando quel simbolo.

È curioso che sia passato pressoché sotto silenzio il 50º anniversario della vittoria dei guerriglieri in Vietnam e in Cambogia che data appunto alla primavera del 1975. Perché nessuno più ricorda l’arrivo del regime comunista a Saigon e la presa del potere da parte dei Khmer Rossi in Cambogia?  

È ovvio. Perché quei paesi, che erano considerati simboli della lotta di liberazione, finirono sotto dure dittature comuniste che, nel caso della Cambogia, fu di una atrocità terrificante. Oltretutto pochi mesi dopo i due regimi cominciarono pure a farsi la guerra…

La generazione sessantottina ha fatto i conti con la propria militanza comunista di quegli anni con moltissima autoindulgenza. Oggi vediamo alcuni di loro che sui media pontificano insegnando a tutti la democrazia e i diritti umani. Ma sarebbe interessante capire quando e come sono passati attraverso un severo esame di coscienza.

Uno dei pochi che fece un’autocritica pubblica fu il giornalista Tiziano Terzani. Il 29 marzo 1985 uscì su Repubblica un suo pezzo intitolato: “Pol Pot, tu non mi piaci più”.

Ricordava la primavera del 1973, i Khmer rossi “partigiani di una Cambogia contadina che si difendeva dall’intervento della superpotenza Usa… Ma chi erano davvero i Khmer rossi? ‘Assassini sanguinari, accecati dall’ideologia marxista-leninista’, dicevano i diplomatici americani e gli agenti della Cia che pullulavano in mezzo a noi. Ma noi” spiegava Terzani “non ci facevamo influenzare. Anzi, proprio perché quei giudizi venivano da loro, tendevamo a pensare esattamente il contrario. Ricordo una volta in cui l’ambasciata americana ci fece sapere che i Khmer rossi erano entrati di notte in un villaggiogovernativo ed erano ripartiti dopo averne uccisi sistematicamente tutti gli abitanti, compresi donne e bambini. (…) Ci andai e ricordo benissimo di aver girato in mezzo a quelle decine di cadaveri (…) cercando di convincermi che non potevano essere stati uccisi dai guerriglieri… L’idea che i Khmer rossi fossero dei brutali e metodici assassini non mi aveva mai sfiorato”.

Poi, dopo l’aprile 1975, tante e tante testimonianze degli orrori, “mi resi conto che quello che i profughi mi dicevano erano solo i dettagli di un grandioso piano dell’orrore… lo capii nella sua totalità solo col tempo”.

Giampaolo Pansa, che anni fa scrisse un libro sul giornalismo italiano, riportò l’articolo di Terzani. Ma riprodusse anche una lettera che sette giorni dopo uscì su Repubblica. Una lettrice scriveva: “Quella che vuol sembrare una onesta autoaccusa è in realtà un facile lavaggio di coscienza. Chi risarcisce tutta quella generazione che credette ai rapporti giornalistici di chi era in prima fila sul posto?”Sinistra,

Va riconosciuta almeno l’onestà intellettuale a Terzani che, anni dopo, fece quell’esame di coscienza pubblico. Anche Giorgio Bocca, in un’intervista con Walter Tobagi, fu sincero: “Andai quattro volte nel Vietnam e feci dei servizi che piacquero alla sinistra italiana: in parte perché raccontavo la verità sulla formidabile guerriglia vietnamita, in parte perché mi autocensuravo”, in quanto “non era possibile raccontare una verità che avesse però il marchio di informazione Usa”.

In ogni caso non tutti i giovani di allora credettero a quei giornali e abbracciarono le mitologie marxiste di quegli anni. Ci fu chi restò libero.

Antonio Socci

Da “Libero”, 7 maggio 2025