“L’Italia” diceva Anna Achmatova “è un sogno che continua a ripresentarsi per il resto della vita”. Trovo la citazione nel libro di Iosif Brodskij dedicato a Venezia: Fondamenta degli incurabili (Adelphi).

Non è un gran libro, ma, a tratti, contiene preziose intuizioni: “In ogni caso, venga prima il sogno o prima la realtà, l’idea dell’aldilà è tenuta ben viva, a Venezia, dal suo tessuto visivo chiaramente paradisiaco. Nessuna malattia, per quanto seria, riuscirà mai a imporvi, qui, una visione infernale”.

Se Venezia è l’anticamera o il sogno del Paradiso o una sua (pur pallida, ma sempre strepitosa su questa terra) scintilla non può che incantare e attrarre irresistibilmente.

Per questo a Jeff Bezos è venuta l’idea di fare qui la sua festa di matrimonio. Del resto è una città che deve moltissimo ai mercanti veneziani, che sono un bel modello storico per il signore di Amazon, il grande mercante del XXI secolo.

Tuttavia si deve aggiungere che costoro, oltre ad arricchirsi, nel corso dei secoli costruirono bellezza, immensa bellezza, e fecero risplendere nel mondo una forza ideale e spirituale. Una civiltà.

Difficile che riescano a farlo i mercanti di oggi salvo miracoli, sempre possibili. Chissà che la “scoperta” di Venezia di questi giorni non sia per loro un suggerimento in questa direzione.

Il brillante pamphlet di Fernand Braudel, Venezia (Il Mulino), ricostruisce a grandi pennellate la cavalcata attraverso i secoli della città lagunare.

All’inizio c’erano isolotti nella palude (“questo acquitrino solcato da flussi di acque vive”) dove arrivarono le popolazioni venete dalla terraferma “nei giorni lontani delle invasioni barbariche, soprattutto ai tempi dei longobardi tra VII e VIII secolo… vivevano in capanne di pescatori, simili forse ai ricoveri su palafitte che si incontrano ancora oggi errando per la laguna”.

Poi nasce un nucleo urbano attorno a Rialto e Dorsoduro: 117 isole unite da 378 ponti. “Per innalzare le fondamenta di palazzi e di case sono state impiegate intere foreste di alberi…Un milione di fusti sorregge la basilica della Salute”.

Nell’823 “viene ricondotto a Venezia, da Alessandria d’Egitto, il corpo prezioso di San Marco Evangelista, che diviene patrono della città”. Con lui arriva pure il suo simbolo: il leone.

Venezia, scrive Braudel, “trae vantaggio dai due imperi: quello morente che spinge verso di lei i suoi naufraghi…e quello che sopravvive per il quale la città lavorerà, avendo il vantaggio, unito a qualche obbligo, di appartenergli. Agli inizi della sua storia, Venezia vuole dare di sé l’immagine dell’ancella zelante di Costantinopoli, la favolosa città che essa invidia, piena di ori e straripante di sete preziose”.

Ma intanto i mercanti veneziani “penetrano sempre più all’interno dell’impero bizantino” e, con gli anni, “la serva di un tempo diventa padrona”. Così iniziano secoli di splendore che la vedranno regina del Mediterraneo.

Finché Napoleone, nel 1797, metterà brutalmente fine alla sua indipendenza, alla sua antica civiltà, dopo 1100 anni (tanti capolavori italiani verranno portati in Francia). Dopo i francesi gli austriaci. Padroni su padroni. Venezia è un simbolo della tragedia della nostra Italia devastata per secoli dalle potenze “europee”. Ma brilla ancora la sua bellezza. Sedusse pure Ezra Pound:

O Dio, quale grande bontà

abbiamo compiuto in passato e scordata,

da donare a noi questa meraviglia,

o Dio delle acque?

O Dio della notte,

quale grande dolore

ci attende,

da compensarci così

innanzi tempo?

 

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 28 giugno 2025