A 30 ANNI DAL CROLLO DEL COMUNISMO. L’INCREDIBILE PARADOSSO ITALIANO…
Trent’anni fa, in questi giorni, crollava il comunismo dell’Est europeo. E – guardando alla storia successiva del nostro Paese – ci si chiede come sia stato possibile che, da allora, i (post) comunisti abbiano preso il potere in Italia.
Infatti, in questi trent’anni, a fare il bello e il cattivo tempo e tuttora a comandare è proprio quella Sinistra politica e intellettuale sulla cui testa crollò il Muro di Berlino.
Come e perché è potuto accadere? Oggi è un dato di fatto a cui siamo così assuefatti che neanche ci facciamo più domande. Ma se ci si riflette ciò che è avvenuto appare surreale. Dal “socialismo reale” al (post)socialismo surreale.
Ci si sarebbe aspettati, infatti, dopo il 1989, che uscisse totalmente di scena quella Sinistra di obbedienza moscovita che aveva professato un’ideologia orribile e devastante, sostenendo dittature e tiranni stomachevoli, sistemi che avevano fatto fallimento dovunque in modo plateale.
Era giusto sperare che calasse il sipario su quella Sinistra marxista che nel nostro Paese aveva fatto i suoi danni e che poi si era addirittura moltiplicata, nel ’68, generando gruppuscoli ultracomunisti che hanno inflitto all’Italia anni orribili.
O almeno ci si doveva aspettare che – per tornare ad avere una qualche presentabilità – quella Sinistra (non solo politica, ma anche intellettuale e mediatica) facesse un lungo esame di coscienza ideologico, un mea culpa pubblico, rinnegando radicalmente il comunismo, le sue leadership e tutta la sua storia.
Forse dovevano anche chiedere scusa agli italiani tutti e a quei lavoratori che avevano creduto all’inganno ideologico. Era doverosa insomma una lunga traversata nel deserto alla fine della quale emergesse una ben diversa Sinistra e con leadership che niente avessero a che fare col passato.
Nulla di tutto questo è accaduto. Un veloce e opportunistico cambio di casacca, una rapida autoassoluzione e subito sono saliti speditamente sul carro del nuovo potere “mercatista” ed “eurista”, pronti per andare a comandare – come in effetti fanno da decenni – mantenendo, del vecchio Dna comunista, l’arroganza ideologica, il senso di superiorità antropologica, l’intolleranza, la demonizzazione dell’avversario, la propensione pedagogica (danno lezioni agli altri dopo aver sbagliato tutto) e il presentarsi come salvatori della democrazia dalle minacce oscure, puntualmente impersonate dai loro avversari politici.
Hanno anche aggiunto, a questi vecchi “pregi” della Ditta, quelli nuovissimi della “dittatura politically correct” e del conformismo eurista, per finire col malcelato disprezzo per l’italiano medio e per la sovranità popolare.
Perché loro – ritenendosi la salvezza dell’Italia – sono persuasi di dover sempre e comunque stare al potere – facendo mille capriole tattiche – anche quando gli elettori li bocciano nelle urne o li fanno precipitare ai minimi storici. Si sentono e sono i fiduciari dei governi europei e tanto a loro basta.
Com’è stato possibile? Il Pci aveva mostrato la sua profonda natura comunista facendosi trovare del tutto impreparato all’evento storico del 1989.
Basti ricordare che Achille Occhetto, da Segretario del Pci, nel marzo 1989 – ovvero otto mesi prima del crollo del Muro di Berlino – apriva il Congresso del partito rispondendo duramente a Craxi che gli aveva chiesto di cancellare il nome “comunista”.
Occhetto, fra applausi scoscianti, tuonò: “Non si comprende perché dovremmo cambiar nome. Il nostro è stato ed è un nome glorioso che va rispettato”.
Otto mesi dopo, a novembre 1989, appena il Muro di Berlino viene preso a picconate, Occhetto si precipita a cambiare il “nome glorioso”. Ma resta il partito di prima, lo stesso blocco di potere e lo stesso Segretario (infatti sotto il simbolo della Quercia del Pds era riprodotto quello del Pci con falce e martello). E’ una delle più incredibili operazioni gattopardesche della storia politica italiana.
Tanto che l’insospettabile Arturo Parisi, pur essendo stato uno degli inventori dell’Ulivo e uno dei fondatori del Pd, già Sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Romano Prodi (colui che portò al potere i post-comunisti), questa estate, ha scritto due tweet molti significativi.
Il 21 agosto, riportando la notizia del “Corriere della sera” sull’omaggio della Segreteria Pd a Togliatti (“Orlando e Sposetti al Verano sulla tomba di Togliatti prima della direzione Pd”), Parisi commentava: “Come ogni anno la Segreteria del Pd ricorda col vicesegretario vicario la morte di Togliatti. Come meravigliarsi che invece di un partito nuovo il Partito sia vissuto nel solco di Pci/Pci-Pds/Pds/Ds/Pd?”.
E dopo questo tweet – che di fatto dava ragione a Berlusconi – Parisi, pochi giorni dopo, ne faceva un altro: “8 settembre 2019. Trent’anni dopo il Muro di Berlino alla Festa dell’Unità, ripeto Festa dell’Unità, Zingaretti è accolto al canto di Bandiera Rossa. Io non mi sorprendo Al cuor non si comanda È forse il Pd un partito nuovo?”
Eppure questo è da anni il partito egemone in Italia. Il culmine del potere post-comunista è stata la conquista del Quirinale, nel 2006, da parte di Giorgio Napolitano, uno che per anni aveva ricoperto incarichi di vertice nel Pci, fin dai tempi di Togliatti.
Cosa sia oggi il Pd non è chiaro neanche ai suoi stessi dirigenti. Ma è chiaro che vuole restare al potere e la sua storia è quella descritta da Parisi (“nel solco di Pci/Pci-Pds/Pds/Ds/Pd”). Come conferma – del resto – la gaffe di Zingaretti sull’Urss, l’estate scorsa.
Quando il comunismo è stato sconfitto dalla storia, i (post)comunisti hanno preso il potere in Italia. E lo tengono stretto malgrado gli italiani.
Antonio Socci
Da “Libero”, 27 ottobre 2019