CONAN DOYLE, CHESTERTON E GRAMSCI. OVVERO: LA CHIESA CHE SALVA LA RAZIONALITA’
“Il filosofo neo-marxista Ernst Bloch ha visto in Sherlock Holmes e nel suo ‘metodo detettivo’ il frutto migliore del positivismo, l’istanza rigorosa di un metodo che osserva i fatti sfuggendo alle fantasie, che sarebbe stata portata alla sua perfezione dallo stesso Karl Marx. C’è da credere che il povero Bloch avrebbe avuto qualche delusione dagli infortuni di Sherlock Holmes con le fate di Cottingley e con lo spiritismo. Tuttavia, da un altro punto di vista, non vi è nulla di ‘strano’ nella coesistenza fra positivismo e credenza negli spiriti e nelle fate in Conan Doyle”.
Così scrivevano Massimo Introvigne e Michael W. Homer nel 1992, presentando il libro di Arthur Conan Doyle, “The Coming of the Fairies” del 1922 (“Il ritorno delle fate”, Sugarco). Varie pubblicazioni ora tornano a parlarne e “Il Venerdì di Repubblica” ha dedicato loro un articolo intitolato “Conan Doyle lo spiritista”.
Secondo la tesi dell’articolista “la crociata che [Conan Doyle, ndr] intraprese a partire dal saggio ‘La nuova rivelazione’ (1918) in favore dello spiritismo” deriva dalle sue vicende personali, in particolare la morte del figlio e dell’amato fratello (per l’epidemia di spagnola fra 1918 e 1919) e da altre vicende legate a suo padre.
Aluffi sul Venerdì sostiene che “urge riabilitare sir Arthur” pensando che “la sua caduta nelle fumose spire dello spiritismo non fu tanto un calo deplorevole della sua razionalità, ma un innalzamento spropositato dell’amore per i suoi cari”.
È vero, ma riduttivo. Perché lo stesso Aluffi ricorda di sfuggita che “anche menti geniali come quelle di Thomas Edison e Nikola Tesla erano affascinati dal tema” e “provarono a costruire congegni per entrare in comunicazione elettrica con i defunti”.
Però non ricorda che in realtà l’interesse per l’esoterismo e l’occultismo dilagava nelle élite di quegli anni, specialmente nel mondo anglosassone. Era la nuova religione delle classi dirigenti. E si arrivò a credere pure alle fate.
Gilbert K. Chesterton, nato e vissuto in Gran Bretagna, diceva che – quando si smette di credere in Dio – non è vero che non si crede più a nulla: si comincia a credere a tutto.
Un acuto analista della cultura come Antonio Gramsci fece proprio un confronto tra lo Sherlock Holmes di Conan Doyle e il padre Brown di Chesterton e trasse conclusioni sorprendenti: “Padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei protestanti… Sherlock Holmes è il poliziotto ‘protestante’ che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione. Padre Brown è il prete cattolico che attraverso le raffinate esperienza psicologiche” del confessore e del pastore di anime, “pur senza trascurare la scienza e l’esperienza… batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un ragazzetto pretenzioso, ne mostra l’angustia e la meschinità”.
Chesterton – come la Chiesa cattolica – esalta la ragione, ma non quella positivista. La differenza? La mostra Introvigne ricordando che il 1917 è l’anno delle apparizioni della Madonna a Fatima che la stampa laica e positivista riteneva “superstizione” e anche l’anno in cui esplode il caso delle “fate di Cottingley” che “la stampa laica e positivista prende assolutamente sul serio”.
La Madonna di Fatima dimostrò la sua presenza con il “miracolo del sole”del 13 ottobre davanti a 70 mila persone, fra cui giornalisti laici che ne scrissero. La storia delle fate invece si è dimostrata una favoletta.
Antonio Socci
Da “Libero”, 2 settembre 2023