GRAZIE AL CIELO IL FASCISMO E’ MORTO. OGGI LA DISGRAZIA E’ AVERE GOVERNI SFASCISTI
Il completo – e anche grottesco – scollamento tra la gente comune e il Palazzo del potere di sinistra, si è reso evidentissimo in queste ore.
Dopo che “Repubblica” ha aperto la prima pagina con l’apocalittico annuncio di un ministro: “Delrio: ‘Il fascismo è tornato, la politica non può più tacere”, dieci milioni di italiani (con picchi del 61 per cento di share) si sono placidamente seduti davanti al televisore per guardare Sanremo. Mentre gli altri sceglievano un film o se ne andavano tranquillamente a dormire.
Non uno che abbia preso sul serio il ministro parolaio, non uno – pure fra quelli che si sentono “antifascisti militanti” – che abbia pensato di fare provviste, calzare l’elmetto, prendere lo zaino e “salire in montagna” a difendere la democrazia minacciata dal fascismo.
Perché la gente comune sa bene – come ha scritto ieri Ernesto Galli della Loggia nell’editoriale del “Corriere della sera” – che “in Italia non esiste alcun pericolo fascista. Non c’è alcuna ‘marea nera’ che sale”.
Il fascismo è finito 70 anni fa.
UN PAESE IN SVENDITA
La cosa che semmai preoccupa la nostra gente è avere un governo fatto di ministri come Delrio. Questa è la vera tragedia. Il fascio è morto e sepolto, ma lo sfascio prodotto da questa classe dirigente sta travolgendo il Paese.
Quindi – in attesa di votare il 4 marzo per mandarli a casa – gli italiani hanno cercato di dimenticare le loro tante preoccupazioni economiche e sociali con qualche ora di canzoni.
Preferiscono guardare la grazia di Michelle Hunziker piuttosto che la disgrazia di governanti come Delrio e Gentiloni. Preferiscono perfino ascoltare Baglioni piuttosto che i politici Sbaglioni.
Delrio, essendo ministro dei trasporti, avrebbe dovuto casomai occuparsi della situazione delle autostrade (e il salato rincaro delle loro tariffe) o del fatto che i treni di Italo sono appena finiti in mano straniera.
Ma né Delrio (noto solo per il suo ridicolo sciopero della fame per lo Ius soli), né altri ministri lanciano l’allarme di fronte all’economia italiana che sta finendo in gran parte in mani straniere.
Ha scritto Paolo Annoni: “La lista di imprese strategiche passate sotto controllo francese è sterminata, è un fenomeno che non ha alcun paragone di sorta tra i Paesi del primo mondo e che non sarebbe stato permesso nemmeno nei Paesi del secondo mondo”.
CECITA’ IDEOLOGICA
Ma l’allarme di Delrio è perché – a suo dire – “è tornato il fascismo”. E meno male che Renzi aveva chiesto a tutti di “abbassare i toni”.
Mentre a Matteo va dato atto di essere fra i pochissimi ad aver usato buon senso, evitando di soffiare sul fuoco, altri colleghi di Delrio hanno preso parte al suo sgangherato “al lupo! Al lupo!”, con tanti media a fare da megafono.
Un episodio che ricorda la tipica paranoia ideologica della Sinistra degli anni Settanta che paventava il golpe fascista da un momento all’altro e dietro ogni angolo vedeva il Fodria, l’acronimo che significa Forze Oscure Della Reazione In Agguato.
Del resto a riportarci con la mente a quei tempi ci hanno pensato ieri anche i Centri sociali che hanno fatto a Macerata una “manifestazione antifascista”.
C’erano pure le bandiere di Legambiente, Libera, Arci, Fiom, No Tav, Potere al popolo, Anpi (non quella nazionale), Prc.
Secondo la cronaca di Repubblica.it hanno partecipato fra gli altri Cecile Kyenge, Gino Strada, Sergio Staino, Adriano Sofri, Pippo Civati e Diego Bianchi (Zoro). “Ancora una volta – ha detto Paolo Cognini dei centri sociali delle Marche – i fascismi e i razzismi saranno battuti dalla gente che si è riappropriata della strada”.
Per la verità è accaduto l’opposto. La gente si è barricata in casa. La città era blindata: scuole chiuse, fermi i mezzi pubblici, negozi serrati.
I marchigiani sono persone pazienti e ieri a Macerata hanno dovuto chiudere le saracinesche per permettere ai centri sociali di manifestare contro fascismo e razzismo.
Come se nelle Marche fosse incombente il pericolo fascista e dilagasse il razzismo. In realtà ci sono molti altri problemi: una crisi economica che morde duramente quei comprensori industriali e le zone terremotate che ancora – a distanza di un anno e mezzo – sono in macerie e spesso perfino senza le casette promesse (basti pensare alla situazione dimenticata di Camerino).
Non c’è un fascismo che dilaga, ci sono invece i guasti di un governo che se ne strafotte della gente comune e dei loro problemi.
Per una coincidenza temporale questa manifestazione è stata fatta proprio il “Giorno del ricordo” delle foibe, una tragedia che mostra la parte rimossa della violenza del XX secolo: quella rossa.
Poteva essere solo un’infelice casualità, ma un gruppo di manifestanti ha provveduto a ricordare l’evento alla sua maniera e – secondo le cronache – ha intonato in coro una canzone della Carrà con queste lugubri parole: “Ma che belle son le foibe da Trieste in giù” (Corriere.it).
Davvero una bella lezione di civiltà, di umanità, di tolleranza e solidarietà. Peraltro ieri mattina, era anche apparso uno striscione con la falce e martello – a Modena – dove si leggeva: “Maresciallo siamo con te – meno male che Tito c’è”.
Siamo proprio sicuri che proprio la Sinistra possa e debba impartire agli italiani lezioni di civiltà, di umanità, di tolleranza e non violenza?
UNA STORIA SINISTRA
E siamo sicuri che gli italiani vogliano ancora sopportare la boria e l’arroganza di questi ambienti ideologici? O il 4 marzo saranno loro a impartire a questi compagni una bella lezione?
Ieri l’editoriale di “Repubblica” di Ezio Mauro aveva questo titolo: “La sinistra che dimentica la sua storia”.
Si poteva sperare che mettesse il dito nella piaga di una storia “sinistra” profondamente segnata dalla violenza, dall’intolleranza e dalla predicazione di un’ideologia dell’odio, ma purtroppo l’editoriale diceva tutt’altro. L’ennesima occasione perduta. Mai un’autocritica vera.
La classe politica, intellettuale e giornalistica della sinistra ha iniziato la sua vita pubblica perlopiù con quello sciagurato ’68 di cui quest’anno celebrano il 50° anniversario.
E a quel ’68 fecero seguito anni di fuoco, in cui la violenza e il linguaggio dell’odio – oltreché praticati – furono ideologicamente giustificati.
L’intolleranza era prassi quotidiana nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro. Chi non aveva opinioni di sinistra non aveva nemmeno diritto di parola, per lorsignori, ma era direttamente qualificato come “fascista”.
Sono personalmente testimone di quello che accadeva – per esempio – agli studenti cattolici (nelle cui fila io militavo). Le aggressioni e le intimidazioni subite furono innumerevoli. Il clima era irrespirabile.
Per ricordarne l’assurdità si potrebbe citare – ed è solo un esempio – la lettera aperta che decine di intellettuali firmarono nel 1971 e che era diretta al Procuratore della Repubblica di Torino che – ricorda Michela Brambilla – “aveva denunciato direttori e militanti di Lotta Continua per istigazione a delinquere”.
In quella lettera aperta si poteva leggere, fra l’altro: “Testimoniamo pertanto che, quando i cittadini da lei imputati… gridano ‘lotta di classe armiamo le masse’, lo gridiamo con loro. Quando essi si impegnano a ‘combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento’, ci impegniamo con loro”.
In questo clima e in questi ambienti – a cui va aggiunto quello del Partito Comunista, che era diverso dai gruppi estremisti, ma professava l’ideologia marxista ed era egemone dappertutto – è cresciuta gran parte della generazione di intellettuali e politici che oggi pontifica sui media impartendo lezioni alla gente comune sulla violenza, la xenofobia e il razzismo.
Il paziente popolo italiano invece di stare a sentire le loro prediche preferisce guardare Sanremo e si prepara a dire silenziosamente la sua il 4 marzo.
Ma se non voterà come vogliono lorsignori sarà sicuramente accusato di aver imboccato una pericolosa deriva populista.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 11 febbraio 2018
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