“Io credo che senza il coronavirus Trump non avrebbe perso”, ha osservato Massimo D’Alema, riconoscendo così l’importanza decisiva del “virus cinese” nell’abbattimento di Trump, il gran nemico della Cina.

In effetti a gennaio scorso, prima del Covid, tutte le rilevazioni dicevano che Trump era di gran lunga vincente, visti i successi di politica economica e di politica estera (Trump è il primo presidente Usa da decenni che non ha fatto guerre, ma trattati di pace).

Si è spinto oltre l’affermazione di D’Alema un altro che nel Pci è nato e cresciuto, Giuliano Ferrara, quando – a urne aperte – è arrivato a dichiarare: “forse finiremo per ringraziarlo, questo virus maledetto, se almeno porterà via Trump dalla Casa Bianca”.

Una frase terribile che mostra a che livelli polemici si è arrivati, perfino qua. D’Alema ha ricordato che “c’è un video dei Democratici, diventato virale, in cui Trump è paragonato a Hitler. Non mi sembra certo un messaggio moderato”.

La veemente demonizzazione di Trump va avanti da quattro anni e la quantità di intolleranza e di odio che il fronte “progressista” ha messo in circolazione sta letteralmente avvelenando la democrazia americana.

Quando Nancy Pelosi arriva a dichiarare, prima del voto, che “Biden sarà presidente qualunque sia il conteggio finale dei voti”, non esibisce solo un formidabile rancore ideologico, non si mostra solo inadatta al suo ruolo di speaker della Camera, ma fa anche sospettare che nello schieramento Dem non ci sia grande sensibilità democratica (i repubblicani hanno giudicato molto inquietante questa dichiarazione).

D’altra parte – se Biden diventa presidente – lo deve anche ad altre ragioni, oltre al Covid. Anzitutto i grandi potentati economici volevano abbattere Trump (proprio come gli estremisti di sinistra delle manifestazioni di piazza).

L’insospettabile Federico Rampini, su “Repubblica”, parla di “sproporzione nei mezzi economici” e di “un fiume di denaro” che, nella campagna elettorale, “si è rovesciato su Biden” il quale ha speso in spot tv “quasi il doppio di un presidente in carica, uno squilibrio senza precedenti”.

Mentre per Trump è “il popolo trumpiano, la classe operaia del Midwest” che “ha continuato a sostenerlo”. L’analista conservatore Victor Davis Hanson nota che così i Democratici sono diventati “il partito degli ultra-ricchi, in guerra con la borghesia”, cioè contro il ceto medio e i lavoratori, quel popolo che hanno impoverito e che disprezzano e che per questo vota Trump.

C’è poi l’intero circo mediatico che da quattro anni ha demonizzato e delegittimato Trump e che ieri è arrivato a proclamare Biden presidente (come se spettasse ai media).

Ma com’è possibile che in una democrazia pressoché tutti i media siano schierati da una sola parte? Eppure è accaduto nel 2016 come in questa campagna presidenziale. E pure in tutti i quattro anni della presidenza Trump.

Un centro studi dell’Università di Harvard, ha valutato la copertura giornalistica dei primi 100 giorni di Trump rilevando che l’80 per cento era negativa.

Hanson cita “la bufala della collusione russa”. I media hanno amplificato per anni le accuse dei Dem e mai Twitter o Facebook si sono sognati di “censurare” queste accuse senza prove (a proposito com’è che stavolta nessuno più parla degli hacker russi?).

La campagna presidenziale 2020 ha mostrato al mondo intero con quale spavalderia i media arrivano a oscurare i repubblicani e specialmente il presidente degli Stati Uniti: la continua “censura” di Twitter e Facebook alle esternazioni di Trump (nel senso della nota di biasimo e delegittimazione) si somma all’incredibile caso della conferenza di Trump che tre dei principali network (Abc, Cbs e Nbc) hanno deciso di oscurare sostenendo che Trump “ha fatto affermazioni false” (come se spettasse a loro decidere sui reclami che Trump sta presentando in relazione al voto). Lo stesso Rampini parla di “censura”, ancor più surreale “nel Paese dove vige la più estrema libertà di espressione” per chiunque.

Del resto dopo che Nancy Pelosi ha fatto la strana affermazione che ho citato nessun giornalista ha ritenuto di farle domande e chiederle di chiarire, così come hanno evitato, durante la campagna presidenziale, di mettere Biden con le spalle al muro su certi scottanti argomenti.

Con un tale schieramento dei media si può parlare di corretta competizione elettorale? Secondo Hanson i social media, con il loro comportamento, “hanno fatto un regalo di enorme valore a Biden”.

Hanson aggiunge: “La Silicon Valley, come le società petrolifere, ferroviarie e dello zucchero del XIX secolo, non vede alcun motivo per nascondere la sua partigianeria e il suo potere”.

Ma – spiega l’analista – “una repubblica non è solo una nazione basata su leggi. Si affida anche ai suoi cani da guardia in buona fede, come i sondaggisti onesti, i media e le istituzioni bipartisan”. Ebbene, “ci sono molte ragioni per preoccuparsi che qualcosa in America sia andato terribilmente storto”.

Hanson cita anche molti dei principali sondaggi elettorali che per settimane hanno continuato a bombardare “prevedendo” un crollo elettorale di Trump, come avevano fatto nel 2016. Ma dopo aver sbagliato quattro anni fa, la loro previsione si è rivelata sbagliata anche stavolta. Come si spiega un tale disastro? Secondo Hanson molti operatori, che sono “progressisti”, perseguono uno scopo politico. Tutto questo può incidere sull’esito elettorale.

A ciò si aggiungono le grandi zone di opacità sul voto del 3 novembre. Spetterà alle sedi istituzionali valutare le contestazioni mosse da Trump e dai repubblicani, soprattutto sugli sconcertanti aspetti del voto postale, così come spetterà alla revisione degli scrutini definire vincitori e vinti di ogni stato. Di fatto sembra che già siano stati riconosciuti dei problemi, per esempio, per quanto riguarda il bug scoperto nel software per la tabulazione dei voti che aveva alterato i risultati: si tratta di capire in quanti stati si è usato tale software. Per il resto ci saranno le sedi competenti (dovrebbe essere interesse anzitutto di Biden dissolvere ogni ombra e dubbio).

In ogni caso, il fatto che ci vogliano così tanti giorni per conoscere l’esito del voto dimostra obiettivamente che questa elezione è stata molto, molto strana.

Nella sua ultima conferenza stampa Trump, con una espressione molto seria, si è pacatamente rivolto a Biden sottolineando che alla base della democrazia ci sono la trasparenza e la correttezza delle elezioni.

D’altra parte la grave crisi della democrazia, in America, si manifesta anche nel clima di intolleranza ideologica (nelle piazze, nelle università, sui media) che si è visto in questi mesi.

Riccardo Cascioli ha scritto: “Anche negli Stati Uniti si è ormai affermato un totalitarismo culturale e politico che non ammette repliche e voci fuori dal coro”.

Ma forse la partita non è ancora finita.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 8 novembre 2020

(Nella foto: la notizia dal portale Libero 24×7 del 31 ottobre 2020)

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