Cosa ci insegna il caldo di questi giorni? La narrazione dominante sui media dice che è colpa nostra, del nonno che viaggia con la Panda e della zia che fa il barbecue, perciò la Ue vuole punirci e tassarci.

Sennonché questa ideologia è smentita dalla storia e dalla scienza, infatti sappiamo, con certezza, che il clima del pianeta cambia continuamente, da sempre, secondo cicli naturali, e alterna fasi più fredde a fasi più calde (in passato anche molto più calde di oggi). Quindi lasciamo in pace il nonno e la zia.

Invece questo caldo ci insegna un’altra cosa, questa sì vera: è falso il dogma climatista/ambientalista per cui l’uomo sarebbe il cancro del pianeta. È vero il contrario: l’essere umano è molto più debole e fragile della natura e da milioni di anni – come sapeva Leopardi – si batte strenuamente per sopravvivere in un ambiente molto duro.

Prima della “cura del creato” (di cui parlano certi ecclesiastici che, dimenticata la salvezza delle anime, ora pensano alla “salvezza del pianeta”, oltretutto con ricette sbagliate) occorre anzitutto aver cura della vita degli esseri umani.

Dalla notte dei tempi l’uomo si è attrezzato per proteggersi, con indumenti, con vari manufatti e con la scoperta del fuoco, finché, grazie alla moderna tecnologia, ha acquisito la capacità di resistere al caldo e al freddo estremi allungando molto la durata della sua vita.

Nei campi, fino a 70 anni fa, i nostri nonni si spezzavano la schiena e arrostivano, sotto il cocente sole di luglio, per mietere il grano con le falci. Oggi tutto quel lavoro viene svolto da un solo contadino su una mietitrebbia dotata di aria condizionata per il guidatore.

La tecnologia ha enormemente migliorato le nostre condizioni di vita e di lavoro e ci ha permesso pure di aver cura della natura che è, leopardianamente, la prima grande devastatrice di se stessa (ciò che chiamiamo “paesaggio” è spesso opera dell’uomo).

In occidente, negli ultimi decenni, si è realizzata pure una grande opera di salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento (che non c’entra nulla con il clima): le potenze asiatiche emergenti, come Cina e India, sono invece molto indietro.

Ovviamente resta sempre una sproporzione di forze fra noi e la natura. Ancora oggi dobbiamo difenderci dal clima, perché – data la fragilità dell’organismo umano – caldo e freddo eccessivi danneggiano la salute e possono affrettare la morte in persone già malate o anziane o molto esposte.

Ed eccoci dunque ad oggi. Anzitutto c’è da fornire un dato sorprendente: il freddo è molto più pericoloso e dannoso del caldo.

Luigi Mariani, docente di Agrometeorologia, riferendo una serie di studi scientifici recenti, scrive: “A livello globale dal 2000 al 2019 il 91% dei decessi prodotti da temperature estreme è stato provocato dal freddo e solo il 9% dal caldo. La conseguenza è che per difendere la vita dei più deboli, anziani in primis, è cruciale la difesa dal freddo e dalle patologie conseguenti, pur senza trascurare la protezione dall’eccessiva calura estiva”.

Ma c’è di più. L’aumento (seppure contenuto) delle temperature – di solito raccontato con toni da emergenza apocalittica – fa registrare questa conseguenza: A livello globale, dal 2000-03 al 2 016-19, il tasso di mortalità in eccesso associato al freddo” scrive Mariani “è diminuito dello 0,51% mentre quello associato al caldo è aumentato dello 0,21%, portando a un calo netto dello 0,44%... In sostanza l’aumento delle temperature globali si sta traducendo in una diminuzione della mortalità da freddo”.

Mariani – sempre in base agli studi – sottolinea pure che “la mortalità correlata al caldo è più alta nelle aree urbane, mentre quella correlata al freddo indica un aumento del rischio nelle aree più svantaggiate”.

Inoltre “l’eccesso di mortalità invernale rispetto a quella estiva è più rilevante nei paesi mediterranei (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) e in Gran Bretagna e Irlanda” rispetto ai Paesi del Nord. Questo significa che, per quanto ci riguarda, siamo più impreparati e meno abituati a difenderci dal freddo, che pure rappresenta un pericolo maggiore, rispetto al caldo.

Contatto il professor Mariani per approfondire questi dati. Ha appena tenuto una conferenza su “Clima e isola di calore urbano”. Me ne fornisce una sintesi e mi dà pure altri spunti di riflessione. Scopro per esempio che quando è arrivato il riscaldamento, negli anni Sessanta, la mortalità è crollata. E, per quanto riguarda il caldo, scopro che il maggior disagio climatico dei centri urbani riguarda la notte.

Si può fare molto per migliorare la situazione. Anzitutto occorre tanta energia per i prossimi decenni, sia per il caldo (i climatizzatori, già diffusi, rappresentano il futuro) che per il freddo. Quindi è indispensabile, per l’Italia, disporre dell’energia nucleare.

Inoltre è necessaria una buona politica delle aree urbane e di gestione del territorio. Sono importanti i parchi verdi delle città e gli alberi nelle strade urbane che mitigano la temperatura, però alberi che dispongano di terreno per le radici e di acqua, che serve anche alla vita umana e all’irrigazione rurale (a questo proposito Mariani sottolinea la necessità di nuove dighe perché noi abbiamo tante montagne e tanta acqua).

Il governo della cosiddetta “isola di calore urbano” riguarda pure architettura e urbanistica. Per esempio, c’è la questione dell’albedo: una pavimentazione chiara (come il cemento) produce meno riscaldamento, mentre una superficie scura (asfalto scuro) assorbe più radiazione solare e riscalda di più, contribuendo all’effetto “isola di calore”. Il professor Mariani ha tanti altri suggerimenti…

In conclusione: molto si può fare, senza bisogno di alimentare allarmi apocalittici e accantonando le follie della UE i cui rimedi sono peggiori del male. La tecnologia è nostra alleata, non una nemica.

 

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 6 luglio 2025