Fra i tanti artisti famosi che hanno dipinto un Palio di Siena ci sono Renato Guttuso, Salvatore Fiume, Fernando Botero e Igor Mitoraj.

Il Palio è una sfida unica e affascinante. Infatti, come nel Medioevo (ricordate il Brunelleschi che tutti i giorni, per strada, doveva rendere conto ai fiorentini della cupola che stava costruendo su Santa Maria del Fiore), cimentarsi con il Palio significa sottoporsi al giudizio di un’intera città, abituata a vivere fra grandi capolavori, una comunità che per giorni osserva, valuta, discute e poi applaude il “cencio” dipinto dal pittore prescelto o mugugna e dissente.

IL SOVVERSIVO GASPARRO

Quest’anno il drappellone, per il Palio del 2 luglio che si corre in onore della Madonna di Provenzano (il santuario mariano di Siena), è stato commissionato a Giovanni Gasparro. Pittore, già apprezzatissimo in giovane età, che ha realizzato un’opera incantevole, guadagnandosi il consenso entusiasta della città toscana.

Il requisito essenziale che deve avere un drappellone è l’immagine della Vergine (da secoli sovrana di Siena) perché, nei giorni del Palio, Siena sospende il tempo e torna a essere solo della sua Regina, ritrova cioè la sua grande civiltà medievale, dimenticando la ferita storica – la conquista spagnola e fiorentina – che nel XVI secolo mise fine alla sua indipendenza.

In epoca moderna sui drappelloni la figura della Madonna è talora un po’ marginale. Invece nel dipinto di Gasparro la Vergine – giovane, bella e molto realistica – è la figura dominante.

Questo pittore – che si è imposto negli ultimi anni per la qualità altissima delle sue opere e per il suo stile caravaggesco – è chiaramente e luminosamente cattolico. L’esposizione di alcune sue opere, proprio nel Palazzo pubblico di Siena fino al 27 giugno, lo ha reso evidente a tutti.

Nel tempo della scristianizzazione e delle avanguardie pittoriche, che da un secolo hanno rifiutato la rappresentazione della figura umana, Gasparro è un sovversivo per due motivi: la sacralità dei soggetti e la scelta figurativa, caratterizzata da una vigorosa fisicità che – allo stile caravaggesco – aggiunge l’iperrealismo nella rappresentazione dei corpi, delle carni che – nella loro cadente imperfezione (quella stessa dei nostri corpi) – portano il segno della dolorosa condizione umana.

Qui la carne grida, cerca la redenzione, la liberazione, quindi la resurrezione quando i nostri stessi corpi resusciteranno, glorificati e divinizzati, eternamente giovani e nella bellezza di Cristo.

LA RELIGIONE DEL CORPO

L’arte di Gasparro ci ricorda il nesso strettissimo del cristianesimo con il corpo e ci ricorda che l’arte cristiana è da sempre l’esaltazione della figura umana. Da Giotto e Nicola Pisano (per la pittura e la scultura) fino a Michelangelo che della Cappella Sistina fece – come disse Giovanni Paolo II – “il santuario della teologia del corpo umano”.

Se c’è un’epoca” scrive Tomaso Montanari “in cui il corpo è davvero tutto nella storia dell’arte, ebbene quell’epoca è il Rinascimento quando, potremmo dire, l’arte torna davvero a incarnarsi. ‘E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’. Lo aveva annunciato Giovanni, all’inizio del suo Vangelo”.

Dio che si fa uomo, aggiunge, “è la festa della nostra carne, cioè della nostra realtà, della nostra debolezza, della nostra fragilità. Si celebra il Dio lontano che viene a piantare la propria tenda fra gli uomini, che ne assume la carne e dunque ne condivide il destino. Il Dio che, umanizzandosi, divinizza l’uomo”.

 

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 giugno 2024