È difficile capire lo stato confusionale in cui è precipitata la Conferenza Episcopale italiana guidata dal card. Matteo Zuppi. Trovarsi al contempo in guerra con il Papa e con il Governo italiano – solo per la brama di mostrarsi “progressisti” – è una pessima idea ed è un fatto inedito.

Ma i vescovi continuano con l’autolesionismo. L’ultimo episodio è accaduto ieri: il vicepresidente della Cei, mons. Francesco Savino, senza rendersene conto, ha chiesto l’abolizione del Concordato (che sarebbe una sorta di suicidio per la Chiesa italiana).

Vediamo la successione dei fatti. Non contenti di essersi avventurati in una riforma dell’accesso ai seminari che è stata bloccata dal Vaticano perché era fuori dalle norme stabilite da Francesco e da Benedetto XVI, il 20 maggio i vescovi italiani sono tornati alla carica con il Papa per ottenere il suo sì e lui – irritato da questa insistenza – ha confermato la sua drastica bocciatura con parole inequivocabili.

Incassata la sberla, qualcuno di loro è andato a spifferare a Dagospia le espressioni con cui il Pontefice, nella riunione riservata, aveva formulato quella bocciatura (la famosa battuta sulla “frociaggine”).

Lo hanno fatto per irresponsabile superficialità chiacchierona o per danneggiarlo pubblicamente? Il Pontefice considera entrambe le motivazioni. Sapendo di rivelare cose dette in forma confidenziale, hanno gettato Francesco in una micidiale e imbarazzante tempesta mediatica planetaria che lo ha costretto alle scuse pubbliche.

In questi giorni, secondo il settimanale “Dipiù”, il Papa è comprensibilmente infuriato con la Cei e vuole scoprire chi è stato. Si è sentito tradito da chi gli aveva giurato “affetto, fedeltà e ubbidienza” e ora non si fida più di loro per questa clamorosa prova di slealtà e di inaffidabilità.

Come se questa tempesta non bastasse, i vertici della Cei si sono infilati in un altro pasticcio, dichiarando apertamente guerra al Governo Meloni per il progetto di riforme istituzionali (il premierato e l’autonomia regionale) e gettandosi nella mischia della campagna elettorale.

Lo hanno fatto con argomenti che riproducono pedissequamente quelli del Pd con cui il card. Zuppi, che appartiene alla Comunità di S. Egidio, ha sostanzialmente un rapporto diretto.

La premier Meloni ha obiettato che non vede cosa c’entrino i vescovi con il premierato e le autonomie, riforme che non hanno a che fare con i rapporti Stato-Chiesa.

Del resto le esternazioni Zuppi e degli altri vescovi sulle elezioni europee, proprio in campagna elettorale, sono un’interferenza vera e propria che va frontalmente contro ciò che papa Francesco aveva stabilito, fin dall’inizio del suo pontificato, nel maggio 2015, quando disse basta ai “vescovi piloti” che pretendono di “teleguidare” i cattolici nelle loro scelte politiche.

Ieri la leadership della Cei, ignorando le direttive del Papa (che li aveva invitati a fare solo il loro mestiere di pastori che “consolano gli afflitti” e sono “gioiosi testimoni di Cristo”) è tornata a immergersi nella campagna elettorale delle europee in aperto sostegno al Pd.

Ma il card. Zuppi, per non esporsi troppo di persona, ha mandato avanti il suo vice, mons. Savino, vescovo di Cassano all’Jonio, che ha rilasciato una lunga intervista a Repubblica, surreale fin dal titolo: “Savino: ‘Noi vescovi preoccupati dalle riforme non possiamo tacere’”.

Delle tantissime cose che oggi, nella vita della Chiesa, dell’Italia e del mondo, potrebbero e dovrebbero preoccupare i vescovi, quella che la Cei considera fondamentale è la riforma del premierato e delle autonomie che si discute in Parlamento. Un po’ come nel famoso film di Benigni: “il più grave problema di Palermo? Il traffico”.

Mons. Savino entra nei minimi dettagli tecnici delle riforme istituzionali italiane e da perfetto “vescovo-pilota” dice: “Il nostro è un discorso educativo, di guida del nostro popolo”. Dichiara cioè l’esatto contrario di quanto aveva affermato il Papa ordinando ai vescovi di stare alla larga dalla politica e di rispettare le prerogative dei laici cattolici.

Sulle elezioni europee Savino si attiene fedelmente al programma e agli argomenti del Pd. Soprattutto ne ripete uno slogan che ha dell’incredibile. Deve averlo orecchiato nei discorsi dei politici di sinistra: “mi auguro che l’Europa torni ad essere coerente con lo spirito di Ventotene”.

Questo “spirito di Ventotene” deve essere apparso a mons. Savino, ma non ha nulla a che fare con lo Spirito Santo e allude al Manifesto di Ventotene(scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni) che secondo la sinistra sarebbe all’origine delle istituzioni europee.

In realtà tali istituzioni nacquero nel dopoguerra con ben altro orizzonte ideale e per impulso di tre statisti cattolici – il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi – che guardavano alle comuni radici cristiane dell’Europa come il legame spirituale che avrebbe potuto scongiurare nuove guerre e nuovi totalitarismi.

Il loro riferimento storico-simbolico era l’Europa nata dal Sacro Romano Impero di Carlo Magno. Non a caso il Trattato istitutivo della Comunità Economica europea fu firmato a Roma.

Ma invece di evocare le radici cristiane dell’Europa – ricordando Giovanni Paolo II – o almeno le “radici democristiane” dei tre statisti citati, il vicepresidente della Cei ha chiesto che la UE si ispiri al Manifesto di Ventotene che è così “giacobino-leninista” da attaccare duramente la Chiesa “come naturale alleata di tutti i regimi reazionari”.

Si legge, fra l’altro, nel Manifesto: “il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile”.

Ecco “lo spirito di Ventotene”. La Cei vuole questo? Vuole l’abolizione del Concordato? A ben vedere la Cei di Zuppi non è solo in lite con il Papa e con il Governo, ma anche con il buon senso.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 5 giugno 2024

 

 

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