Il presidente americano Joe Biden – rinsaldato l’asse Usa-Gran Bretagna-UE – chiede ai Paesi del G7 di rispondere uniti alla sfida cinese. Ci sono infatti delle misure da prendere contro l’espansionismo di questa superpotenza dittatoriale.

La lista dei problemi è lunga e va dalla violazione dei diritti umani alla concorrenza sleale, dalla “Via della seta” fino alla verità sulle origini del Covid 19, il devastante virus che ha messo ko il mondo e che potrebbe essere sfuggito dal laboratorio di Wuhan.

Il nostro premier Mario Draghi è fra i leader del G7 che comprendono le preoccupazioni della Casa Bianca (infatti ha raffreddato i rapporti con la Cina rispetto al precedente governo), ma nella maggioranza che sostiene il suo esecutivo c’è una Sinistra che non concorda con l’obiettivo atlantico di contrastare e contenere la superpotenza cinese.

Fra l’altro è un’area politica che, su questo ed altri temi, prefigura un vero e proprio “partito anti-Draghi”, partito che medita di vendicare il governo giallorosso crollato.

Forse c’è chi, a Draghi, preferisce il Dragone? Di sicuro c’è chi manifesta “amicizia” verso la superpotenza comunista, mentre l’alleanza atlantica la considera un pericolo.

Un vero e proprio “caso politico” è esploso con evidenza venerdì, quando – in concomitanza con l’apertura G7 “anticinese” – il leader del M5S, che esprime il ministro degli esteri e che ha il maggior gruppo parlamentare della coalizione, cioè Beppe Grillo, è andato in “pellegrinaggio politico” dall’ambasciatore cinese Li Junhua.

Avrebbe dovuto essere accompagnato da Conte, come leader in pectore del M5S, ma all’ultimo momento Giuseppi ha rinunciato “per impegni personali”. Non è la prima volta che Grillo incontra l’ambasciatore cinese, oltretutto nel suo famoso blog ha varie volte ospitato articoli filocinesi. Ma il momento scelto stavolta è un pesante segnale politico.

“È un dito nell’occhio a Draghi, il giorno prima che si veda con Biden poi…”: questo trapela dietro le quinte del M5s secondo “Repubblica”.

In effetti è un incidente che imbarazza il presidente Draghi. Anche perché proprio in queste ore è impegnato in una complessa mediazione fra Biden e i paesi europei che seguono la Merkel, i quali, al contrario degli Stati Uniti, non vogliono toni forti contro Pechino nel comunicato finale (né la commissione d’inchiesta sulle origini del Covid 19).

Che emergano nella coalizione di governo simpatie cinesi crea problemi al premier e all’Italia. D’altronde il problema è antico.

Nei mesi del governo giallorosso, il grillino Alessandro Di Battista rivendicò il fatto che l’Italia ha “un rapporto privilegiato con Pechino che, piaccia o non piaccia, è anche merito del lavoro di Di Maio… La Cina vincerà la terza guerra mondiale senza sparare un colpo e l’Italia può mettere sul piatto delle contrattazioni europee tale relazione”.

E non si tratta solo del M5S. Consideriamo Leu, parte del governo giallorosso e dell’attuale. Il suo vero leader, Massimo D’Alema, nel suo libro “Grande è la confusione sotto il cielo”, ha speso parole di elogio per la Cina, al punto che perfino Antonio Padellaro – che certo non è un nemico di D’Alema – ha commentato: “sono rimasto sorpreso dal forte apprezzamento che D’Alema esprime per la Cina di Xi Jinping nell’introduzione al libro, scritta in piena bufera Coronavirus”.

Sempre in piena pandemia, il 12 maggio 2020, ad un convegno, D’Alema indicò il pericolo non nella Cina, ma nell’allora presidente americano Trump che attaccava la Cina: “Già il partito anti-cinese è all’opera anche in Europa, in un clima di nuova guerra fredda. Ho molti dubbi sul protagonismo europeo perché purtroppo noi sappiamo che quando si apre un dissidio con gli americani si disfa anche l’unità Europea. Una parte della destra americana è ormai attratta da uno scenario di una nuova guerra fredda. Io considero che questo sarebbe catastrofico”.

Nel mese successivo, giugno 2020, con il governo giallorosso al potere e Trump alla Casa Bianca, anche l’ex leader dell’Ulivo Romano Prodi, ospite del webinar intitolato “China in the Middle East-Mediterranean (Mid-Med)”, si diceva convinto che fosse “finita” l’attuale globalizzazione, soprattutto a causa dello scontro tra Stati Uniti e Cina sul coronavirus. Poi aggiungeva: “Dobbiamo comunque mantenere aperto il nostro commercio e la Via della seta è un’occasione per guardare al futuro. Dobbiamo sfruttarla per preservare la possibilità di relazioni politiche ed economiche” tra Unione europea e Cina.

Sembra una linea opposta a quella che in queste ore Biden afferma al G7. Anche lui fa parte del “partito anti-cinese” di cui parlava D’Alema?

Il premier italiano Draghi – come rappresentante del “partito italiano” – sta lavorando per trovare la giusta mediazione fra Usa e Germania sulla questione cinese.

Per questo suo ruolo delicato, la posizione di certe Sinistre (che a Roma sono nella coalizione di maggioranza) è un problema politico che prima o poi diventerà dirompente.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 giugno 2021