Resta sempre vivo il fascino del ciclo bretone ed Einaudi pubblica “Artù, Lancillotto e il Graal. La ricerca del Santo Graal. La morte di re Artù” (vol. 4).

Un’originale interpretazione di quelle leggende è quella di Cristina Campo: “Il viaggiare del cavaliere tra le illusioni e i duelli è, lo sappiamo, un itinerario della mente in Dio. Ma che cosa adombrano le scene all’interno dei castelli, le notti di veglia d’armi, se non i momenti liturgici della vita: quegli spazi sacri dentro e fuori del tempo dove gli uomini si raccolgono a ricomporre, in una mimesi stilizzata, il loro nesso con Dio? L’apertura della saga di Artù – quel passaggio ipnotico del Santo Graal coperto da un bianco sciàmito attraverso la sala senza respiro di Monsalvato (scena suscitatrice di destini perché, subito dopo, i cavalieri proclamano di voler partire a cercarlo) – ha una fonte che è il suo stesso fine: il transito mortalmente silenzioso del Sacro Calice che non è lecito nemmeno guardare, retto dal sacerdote e celato dal velo purpureo, nei riti bizantini della Quaresima”.

LA SPADA VERA

C’è poi una singolare coincidenza storica da comprendere che riguarda la vera spada nella roccia, quella (vedi foto) di san Galgano Guidotti (1148-1181), giovane cavaliere del contado senese.

Franco Cardini – in “San Galgano e la spada nella roccia” (Cantagalli) – nota che il nome di Galgano “assomiglia stranamente” a quello dell’“eroe arturiano, Galvano”. E il suo “gesto centrale”, la spada conficcata in una roccia che diventa una croce e “che diviene l’umbilicus di uno spazio sacro”, evoca il ciclo bretone.

Com’è noto l’abbazia di San Galgano è un rudere gotico cistercense che, fra l’altro, affascinò Andrej Tarkovskij il quale ne fece la chiave di lettura del suo film “italiano”: Nostalghia.

Accanto all’abbazia troviamo la (vera, non letteraria) spada nella roccia a cui fa da cornice la Rotonda di Montesiepi (che contiene pure affreschi di Ambrogio Lorenzetti). Il parallelismo con il ciclo arturiano è impressionante e inspiegabile perché la “matière de Bretagne” è pressoché coeva alla vita di Galgano e “non giunse nella penisola prima dell’inizio del Duecento”.

È pur vero che quella zona dell’alta Maremma, fino a Castiglione della Pescaia, fu una sorta di Tebaide e fra quegli eremiti troviamo anche un personaggio suggestivo come san Guglielmo che si dice fosse – prima di darsi alla vita di penitenza – un cavaliere dell’Aquitania, Ma lui morì nel 1157.

SUGGESTIONE

La migliore conclusione resta quella di Cardini: “è tanto apparentemente strano quanto sostanzialmente significativo che la sola ‘Spada nella Roccia’ effettivamente visibile e conservata sia lontana da Camaalot e da Glastonbury, e la si possa vedere sotto gli azzurri cieli toscani anziché sotto i brumosi cieli celtici; così come è strano ma al tempo stesso significativo che quell’angolo fuorimano di Val di Merse posto fra Siena, Grosseto, Massa Marittima e Volterra conservi ancora le rovine di un’abbazia che, nelle sue pure forme gotiche, fa sì che l’intero paesaggio respiri una strana atmosfera, che lo fa somigliare più a una campagna dell’Inghilterra o della Francia settentrionale che non a un pezzo di Toscana. I paesaggi, a saperli guardare, inviano sempre messaggi veri, che tuttavia vanno ben interpretati. Tra Monte Siepi e Abbazia di San Galgano, il visitatore si sorprende a chiedersi se veramente Galgano venisse da Chiusdino o da più lontano, se veramente sia un caso che il suo nome assomigli tanto a quello di messer Galvano, il nipote di Artù”.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 28 ottobre 2023

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