Le foto (francamente comiche) di Pier Luigi Bersani – ex segretario del Pd – vestito da salumiere, fruttivendolo, cassiere, prete, scaffalista e rider(sono le parti che ha deciso di interpretare in un film) fanno pensare a un remake di Zelig e sono la perfetta metafora dei post-comunisti.

La cui domanda fondamentale, dal crollo del Muro di Berlino del 1989, sembra essere questa: oggi che faccia indosso? Infatti il comunista di ieri è attualmente uno, nessuno, centomila.

Il trasformismo del Pci-Pds-Ds-Pd ha dell’incredibile: sono passati di colpo da Mosca a Washington, dal comunismo alla venerazione dei Mercati, senza mai spiegare la conversione (con autocritica seria), ma pretendendo di continuare a stare in cattedra (esemplare proprio il caso di Bersani che, dal programma di Floris, il martedì, sentenzia spavaldamente su tutti, dall’alto di una storia che è quella del terrificante fallimento comunista).

Il “trasformismo dei comunisti” dovrebbe essere anche il titolo dell’evoluzione di Cina e Russia dove – per restare al potere – le Nomenklature rosse hanno fatto proprie le logiche del capitalismo e di fatto, insieme, costituiscono oggi un blocco molto potente dal punto di vista economico e geopolitico.

Ma poi c’è la sinistra diffusa, quella che in occidente va dai radical chic ai gruppi massimalisti. In questa sinistra gravitano intellettuali, media, studenti, professori, femministe e associazionismo vario. È la sinistra che domina anche negli atenei americani. È importante capire le sue metamorfosi perché si trascina dietro anche la sinistra politica e coinvolge le élite.

È una compagnia che ha componenti molto diverse, in cui però non si ragiona sugli orrori del comunismo, ma si tende sempre a demonizzare i propri avversari.

Luciano Pellicani nell’“Occidente e i suoi nemici” scrive: “La teoria dialettica dell’alienazione porta lo gnostico a vedere nel passato nient’altro che la storia degli errori e degli orrori dell’umanità vittima della falsa coscienza e corrotta dallo spirito borghese. Conseguentemente tutta la tradizione culturale deve essere negata e annichilita, perché l’umanità possa uscire dallo stato di cecità e di corruzione in cui si trova a causa della perversa istituzione, la proprietà privata”.

Niram Ferretti nel libro “Il capro espiatorio. Israele e la crisi dell’Europa”, aggiunge: “La sostituzione del proletariato con i popoli del Terzo Mondo e, quindi, con i neri, i musulmani (con un’indiscutibile preferenza per gli arabi-palestinesi), con i migranti, con gli omosessuali, è stata ed è, a sinistra, la compensazione psicologica per il fallimento dell’utopia redentiva marxista”.

Lo stesso copione si applica a tutti i temi. Per esempio in questi giorni si applica al conflitto arabo-israeliano: Israele è visto come simbolo dell’occidente colonialista e quindi come il male (nonostante i fatti che narrano una storia del tutto diversa).

Si applica al tema della violenza sulle donne che viene imputata in blocco al maschio, bianco, occidentale (e soprattutto italiano), sotto la categoria omnicomprensiva di “patriarcato”, quando la realtà è totalmente opposta.

E si applica – per fare un ultimo esempio – al tema del clima: secondo la vulgata “progressista” i mutamenti climatici sarebbero colpa dell’uomo, ovvero dell’uomo occidentale che porterebbe alla catastrofe planetaria: cosa importa se i dati mostrano un’altra realtà?

È un fenomeno globale ed è stato colto da Federico Rampini (che torno a citare ancora una volta perché è molto eloquente): “l’America resta oggi il laboratorio del suicidio occidentale, per una ragione (…). Stavolta quei pezzi di cultura radicale che demonizzano e demoliscono ogni valore dell’Occidente, sono cooptati nell’establishment. Mai in passato c’era stato un allineamento così totale tra la cultura antioccidentale e i poteri forti del capitalismo, della cultura, dei media, dell’industria dell’entertainment”.

Ogni Paese poi ha una sua specificità. In Italia è evidente che la narrazione dominante, specialmente fra i giovani e nel mondo intellettuale e giornalistico, è quella di sinistra ed è la sinistra che detta l’agenda e determina il clima e la mentalità (anche se poi, alle elezioni, non riesce a vincere).

A dire il vero nel confronto politico attualmente è il governo a dare le carte e la sinistra parlamentare appare divisa, contraddittoria e confusa. Tuttavia, complessivamente, nel discorso pubblico, è la sinistra mediatica a dettare l’agenda e a prendersi la scena.

I motivi? Questa è una riflessione ancora tutta da fare.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 26 novembre 2023

 

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