QUANDO D’AGOSTINO LANCIO’ KUNDERA E CALVINO POLEMIZZAVA CON LO SCRITTORE CECO SULLA “DEFECAZIONE”
È morto a 94 anni lo scrittore ceco Milan Kundera e qualcuno ha ricordato in che modo divenne un best seller il suo “L’insostenibile leggerezza dell’essere”.
DAGO E ADELPHI
Era il 1985. Nel mitico programma di Renzo Arbore “Quelli della notte”, fra i buffi personaggi che cazzeggiavano, c’era pure Roberto D’Agostino nella parte dell’intellettuale post-moderno che discettava di nuove tendenze e – come un tormentone – citava “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, non perché lo avesse letto, ma perché – ha spiegato – gli sembrava un “titolo capace di racchiudere lo Spirito del Tempo”: gli anni Ottanta.
Racconta D’Agostino: “mi eccitava l’idea di perculare quella cultura editoriale che sfornava libri basati su una formula che illudeva la gente della classe media di appartenere all’alta cultura”. Tuttavia “grazie al can can televisivo” quel libro “rimise in sesto il bilancio dell’Adelphi”.
Quando poi Dago lo lesse si accorse che non parlava dell’“edonismo reaganiano” degli anni Ottanta (come credeva), ma del grigio socialismo reale cecoslovacco degli anni Settanta.
Comunque diventò uno dei titoli più venduti della raffinata casa editrice di Calasso: un successo salvifico dovuto a un programma comico e a un divertente “lookologo” che neanche aveva sfogliato il romanzo. È una vicenda che dice molto del mercato editoriale.
Oltretutto il libro di Kundera – emigrato a Parigi dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia – non narra affatto una storia “leggera”. Italo Calvino vi colse “l’Ineluttabile Pesantezza del Vivere”. Soprattutto sotto il comunismo. Negli anni Settanta non sarebbe diventato un best seller, ma ormai i tempi erano cambiati e “Quelli della notte” potevano permettersi perfino la caricatura del “comunista romagnolo” (Ferrini).
Peraltro Calvino, che era un autorevole intellettuale di sinistra, su “Repubblica” fece una bella recensione del libro. Ma con un’“obiezione metafisica”.
SUL DEFECARE
Eccola: “Riguarda ‘l’accordo categorico con l’essere’, atteggiamento che per Kundera sarebbe alla base del Kitsch come ideale estetico. ‘La differenza che separa coloro che mettono in discussione l’essere così come è stato dato all’uomo (non importa in che modo o da chi) da coloro che vi aderiscono senza riserve’ è data dal fatto che l’adesione impone l’illusione d’un mondo in cui non esista la defecazione, perché secondo Kundera la merda è la negatività assoluta, metafisica. Obietterò che per i panteisti e per gli stilistici (io appartengo a una di queste due categorie, non preciserò quale) la defecazione è una delle più grandi prove della generosità dell’universo (della natura o provvidenza o necessità o cos’altro si voglia). Che la merda sia da considerare tra i valori e non tra i disvalori, è per me una questione di principio. Da ciò derivano conseguenze fondamentali. Per non cadere nei vaghi sentimenti d’una redenzione universale che finiscono per produrre regimi polizieschi mostruosi, né nei ribellismi generalizzati e temperamentali che si risolvono in obbedienze pecorili, è necessario riconoscere come sono fatte le cose, ci piacciano o meno (…). Credo dunque che sia necessario un certo grado di accordo con l’esistente (merda compresa) proprio in quanto incompatibile col Kitsch che Kundera giustamente detesta”.
Era il 1985. Un raffinato intellettuale di sinistra, sull’aulica “Repubblica”, incentrava sulla “merda” una profonda discussione di metafisica (così la definì Calvino) e di politica. Qualcuno si scandalizzò e protestò ritenendolo turpiloquio?
Antonio Socci
Da “Libero”, 15 luglio 2023