UN MESE DA LEONE. LA CHIESA RITROVA L’IDENTITA’ E (INVECE CHE AI MEDIA) GUARDA ALL’ETERNITA’
A un mese dall’elezione di Leone XIV si fanno due valutazioni opposte. La prima è quella del card. Camillo Ruini, il quale, in un’intervista, ha dichiarato che l’elezione del nuovo Papa ha di colpo unito e rasserenato la Chiesa: “Quei non pochi fedeli che, a torto o a ragione, erano a disagio per le – vere o presunte – aperture dottrinali di papa Francesco si sono sentiti rassicurati… Il clima che respiriamo oggi nella Chiesa può definirsi di gioia e di pace”.
Dall’altro lato ci sono i “guardiani della rivoluzione” progressista che, allarmati dalle parole del nuovo Papa, fin dal primo giorno (con Vito Mancuso) hanno cominciato a criticarlo (tanto più ora che Leone XIV, parlando della famiglia, ha osato citare l’Humanae vitae di Paolo VI da loro vista come fumo negli occhi). Paventano “ritorni indietro”.
“C’è un odore di disperazione tra loro”, ha scritto, su Crisis Magazine, Austin Ruse, presidente del Center for Family and Human Right a New York e Washington DC.
Ruse ha ricordato il disagio vissuto durante il precedente pontificato, quando certi insegnamenti della Chiesa sono stati messi in discussione e, paradossalmente, i cattolici sono stati costretti a considerare come “magistero” la (discutibilissima) teoria propagandata da Greta Thunberg sull’emergenza climatica per causa umana.
Ruse ha pure sottolineato quanto poco “misericordioso” sia stato il trattamento riservato a chi esprimeva dubbi e perfino ai cardinali considerati non allineati.
Con Leone XIV l’aria è cambiata subito. Lo ha mostrato “il forte accento posto sulla fede e sulla preghiera” dice Ruini “o anche la stola e la mozzetta che ha indossato”. Pure la decisione di rientrare nell’appartamento pontificiorivela un Papa che vuole tornare alla normalità (e lavorare insieme alla Curia, a partire dalla Segreteria di Stato).
Tanto Francesco, fin dall’inizio, sembrò ansioso di far vedere che lui era diverso da tutti i Papi precedenti, quanto Leone continua a citare e valorizzare tutti i predecessori (compreso Francesco).
Leone rifiuta personalismi e protagonismi: “sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato” (9 maggio). Questo perché “la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri, facendosi padrone delle persone a lui affidate” (18 maggio).
Tanto Francesco era “imprudente” nel parlare, quanto Leone XIV è misurato(in ogni sua parola riecheggia una profonda spiritualità).
Il primo si rifiutò perfino di ricevere i cardinali che gli avevano rispettosamente scritto i loro “Dubia” e di continuo “bastonava” i cattolici. Il secondo ascolta i cardinali e sempre conforta e incoraggia i cristianifacendoli sentire amati.
Il predecessore si è esposto dovunque, dal Festival di Sanremo al programma di Fabio Fazio. Leone XIV rifugge dai riflettori, esorta a coltivare la vita interiore ed evita perfino i selfie.
Ma non è una mera diversità di temperamento. Quello di Leone XIV è “il genio del cattolicesimo” che permette di “riassorbire” anche un pontificato atipico come quello bergogliano, valorizzandone gli aspetti positivi.
Leone XIV – oltre ai papi precedenti – “fa continuamente appello alla tradizione della Chiesa” citando i Padri della Chiesa come maestri per la vita di oggi.
Lo spiega, in un bel saggio, il professor Leonardo Lugaresi, il quale mostra che Papa Leone così recupera “la concezione autenticamente cattolica di tradizione” che non è quella dei tradizionalisti e dei progressisti che, su sponde antitetiche, legano entrambi “la tradizione al passato”.
Invece per lui “la tradizione è sempre vivente: appartiene al presente, non al passato”. Così “è sempre ‘sulla scorta dei Padri’ (intendendo qui in senso lato tutti coloro che ci hanno preceduto nella fede e ce l’hanno consegnata) che la Chiesa legge la Scrittura e comprende la Rivelazione. La tradizione ha dunque un’autorità a cui nessuno nella Chiesa può sottrarsi: meno di tutti il papa”.
Per questo, spiega Lugaresi, “nella storia della Chiesa Cattolica non si danno né rivoluzioni né restaurazioni. Il compito di Pietro è essenzialmente preservare la verità della fede e l’unità del popolo di Dio”.
Dunque “da Leone XIV” secondo Lugaresi “possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro ‘giusto uso’ che, se così posso esprimermi, li ‘rimetta al loro posto’”.
Concordo. Ma le correzioni sono già abbastanza esplicite.
Domenica scorsa Leone XIV ha “corretto” vistosamente il concetto di famiglia della bergogliana “Amoris Laetitia” (rovesciando il senso della parola “ideale”).
Inoltre il 31 maggio, ordinando nuovi sacerdoti, ha ribadito il valore del celibato ecclesiastico messo in discussione dall’entourage papale negli anni scorsi (“‘L’amore del Cristo infatti ci possiede’, cari fratelli e sorelle! È un possesso che libera e che ci abilita a non possedere nessuno. Liberare, non possedere. Siamo di Dio: non c’è ricchezza più grande da apprezzare e da partecipare”).
E lunedì, al seminario sull’evangelizzazione, il Papa ha chiamato tutti i laici (e le famiglie) a un grande slancio missionario in questo tempo “caratterizzato da una crescente ricerca di spiritualità, riscontrabile soprattutto nei giovani, desiderosi di relazioni autentiche e di maestri di vita”.
È sparita dunque la condanna del “proselitismo” che tante volte si è sentita dal predecessore. Anzi Leone ha criticato la “sempre più diffusa ‘privatizzazione’ della fede” che “impedisce spesso a questi fratelli e sorelle di conoscere la ricchezza e i doni della Chiesa, luogo di grazia, di fraternità e d’amore!”
Il Papa ha chiesto “di andare a ‘pescare’ questa umanità, per salvarla dalle acque del male e della morte attraverso l’incontro con Cristo” e per questo “è necessario che prima di tutto coltiviamo e rinnoviamo la nostra identità di credenti”. Ecco: “identità” era una parola tabù negli anni passati. Ora non più.
Un’ultima nota. Personale. Anni fa, lavorando al settimanale cattolico Il Sabato, studiai molto S. Agostino perché facevamo una battaglia culturale contro i pelagiani (chi considera il cristianesimo un insieme di precetti morali o valori sociali da realizzare).
Scoprii una perla di Agostino che pubblicai sul Sabato e che poi don Giussani volle riprodurre in un “volantone”. Proprio il Papa ha citato quella stessa frase di Agostino nel suo discorso: “La fede è anzitutto risposta a uno sguardo d’amore, e il più grande errore che possiamo fare come cristiani è, secondo le parole di Sant’Agostino, ‘pretendere di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio e non nel dono della sua persona’”.
Poco sopra il Papa aveva incitato a dare “l’esempio della vita” cioè a dare testimonianza. Ma non c’è contraddizione. Quando dice “il dono della sua persona” intende la Grazia che passa anzitutto attraverso i sacramenti, la vita della Chiesa, “il dono dello Spirito Santo”. Da lì viene tutto. È il cuore del cattolicesimo.
La Chiesa così riprende il suo cammino e (invece che ai media) guarda all’eternità.
Antonio Socci
Da “Libero”, 4 giugno 2025