UN “PIANO B” PER IL CENTRODESTRA DOPO LE ELEZIONI REGIONALI (PER NON TENERSI GRILLO, CONTE E ZINGARETTI FINO AL 2023)
I risultati delle elezioni regionali si conosceranno domani. Ma una cosa è certa: il Pd stapperebbe lo spumante se la sfida, nelle sei regioni, si concludesse con un 3 a 3 (così perderebbe una sola regione). Questo la dice lunga sullo stato di salute della Sinistra.
Sappiamo infatti da anni che il centrodestra è maggioranza nel Paese: lo sappiamo dalle elezioni europee del 2019 e dai vari turni di elezioni regionali dove la sinistra è uscita sconfitta (e i grillini decimati).
E’ dunque molto probabile che anche il voto di oggi e domani dia la vittoria al centrodestra e veda sconfitta la Sinistra. Tuttavia è altrettanto probabile che anche questa volta il governo resti in piedi e l’Italia continui ad essere (mal)governata da una coalizione che è minoranza nel Paese e che è incapace di affrontare gli enormi problemi dei prossimi mesi.
Perché? Uno dei motivi – bisogna riconoscerlo – sta nel fatto che il centrodestra ad ogni sua vittoria prospetta un solo (impossibile) scenario, le elezioni anticipate, e non ha – per così dire – un “piano B”.
Certo, è comprensibile (e giusto) che il centrodestra, vincendo, voglia sbattere in faccia al governo la realtà, ed è altrettanto comprensibile (e giusto) che si indichi nel voto anticipato la salutare medicina democraticaper ridare rappresentatività e autorevolezza al governo.
Ma è proficuo e utile avere questa unica carta da giocare comunque e sempre (la richiesta di elezioni anticipate)?
Non si dovrebbe – in politica – fare i conti con la realtà, la quale oggi dice che non è possibile avere elezioni anticipate? Se non sono possibili perché impiccarsi a questa unica idea?
Le elezioni sono impossibili perché Pd e M5S – pur divisi su tutto – condividono la paura di perdere il potere e stanno abbarbicati alle poltrone: più sconfitte collezionano, più sono terrorizzati e fanno blocco. Tanto più oggi che – col miraggio dei soldi del Recovery fund – pensano di poter presto disporre di enormi capitali con cui fare cose mirabolanti e riconquistare il consenso degli italiani. Il fatto che poi il megaprestito europeo dovrà essere ripagato non li preoccupa perché il problema si porrà qualche anno dopo le elezioni del 2023.
Naturalmente s’illudono perché il Recovery fund è tuttora molto nebuloso, i progetti italiani ancora di più e non sembra che questi fondi arrivino prima del 2023 (se non in minima parte). Mentre l’economia italiana è già ora in emergenza.
L’obiettivo di Pd/M5S è comunque tirare a campare così da eleggere insieme un presidente della Repubblica di loro gradimento nel 2022 e sperare vagamente nei prestiti europei per giocarsi la campagna elettorale del 2023.
Contro questo ferreo “patto per il potere”, che sembra indifferente alla situazione del Paese, il centrodestra non può nulla. Può vincere tutte le elezioni regionali ed europee che vuole, ma quelli non si schiodano dalle poltrone. Dunque continuare a chiedere (solo) elezioni anticipate è come abbaiare alla luna, mentre il Paese va a rotoli.
Perciò il centrodestra dovrebbe darsi un “piano B”. In fondo che la coalizione giallorossa è divisa su tutto e non ha idee né credibilità è evidente a chiunque. Infatti il blocco di poteri e di forze che ha sostenuto la nascita del Conte bis oggi non c’è più.
Anzitutto non c’è più la sponda americana e, specie se le presidenziali saranno vinte da Donald Trump, l’attuale governo italiano, il più filocinese d’occidente, avrà grossi problemi (vedi l’ennesima visita del Segretario di stato Mike Pompeo in Italia proprio in funzione anticinese).
In secondo luogo c’è un pezzo dell’establisment italiano che ha “mollato” questo governo. Lo provano le parole dello stratega di Zingaretti, Goffredo Bettini, in quale, nei giorni scorsi, ha attaccato proprio quei “potentati” che fino a ieri avevano sostenuto il ConteBis dicendo che sono all’opera “forze che vogliono normalizzare il Paese e colpire un governo libero, che non risponde a nessun potere esterno; che non accetta condizionamenti o diktat” (trattenete le risate).
Secondo Bettini “a questo nostro profilo si oppone il ‘salotto buono’ del capitalismo italiano che agisce anche comprando i giornali. E poi la Confindustria di Bonomi, molto aggressiva”, ma “sarebbe avventuroso provocarne la caduta (del governo): un regalo ai potentati”.
A parte la risibile esaltazione bettiniana del ConteBis è vero che una parte di establishment, che all’inizio lo appoggiava, oggi spara a zero sull’esecutivo.
Perfino Carlo De Benedetti (per dire l’ala più a sinistra di questo mondo) ieri, sul “Corriere della sera” ha bombardato non solo Conte, ma anche il governo, per come (non) affronta l’emergenza economica: “il governo ha dimostrato un’assoluta mancanza di visione su come far ripartire il Paese”.
L’emergere del nome di Mario Draghi – e i tanti consensi trasversali che raccoglie – va letto in questa chiave (anche Salvini, oltreché Berlusconi, tempo fa ha avuto parole di stima e un’apertura per il ruolo che può svolgere).
Se perfino de Benedetti si è espresso in quei termini e – come dice Bettini – l’establishment italiano bombarda il governo, è ragionevole pensare che anche nella Ue si rendano conto dell’estrema inaffidabilità del ConteBis. L’Ue di fatto fu il suo vero sponsor perché aveva bisogno di un esecutivo a Roma che – appunto – “eseguisse” quanto deciso altrove (a Bruxelles e Berlino). Ma adesso?
Dopo la tempesta del Covid, di fronte all’incapacità del governo di Roma anche solo di presentarsi con piani credibili per i finanziamenti europei, siamo sicuri che siano ancora così convinti?
Anche a livello internazionale si è ormai capito che non si può lasciare l’Italia in mano a Grillo e Zingaretti perché un crollo dell’Italia porterebbe a un disastro generale.
Per il centrodestra aprire un dialogo con l’establishment italiano e con quello europeo, rimandando ad altre fasi storiche le discussioni di lungo termine sull’Europa, può contribuire a dare al Paese un assetto di governo più rappresentativo e più adeguato alla drammatica situazione che viviamo.
Significa scegliere il gradualismo riformista anziché il massimalismo. Significa “fare politica”, anziché rivendicare sterilmente elezioni anticipate che mai saranno concesse. E’ il tempo del nodo, non del chiodo: la politica è l’arte paziente che sa sciogliere i nodi, specie quando non è possibile il gesto risolutore del piantare il chiodo.
Ricordando – con Joseph Ratzinger – che in politica la vera moralità sta “nel realismo della ragione”, nell’ “attuare ciò che è possibile”. Non sta nel “reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile”.
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Antonio Socci
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Da “Libero”, 20 settembre 2020