“La giovinezza è la scoperta del corpo e dello spirito… è lo stupore e il desiderio del proprio corpo e lo stupore e il desiderio della propria anima che arde di domande su di sé, sulla vita, la morte, l’amore e Dio. Ma è l’anima, lo spirito, che esplode verso l’infinito desiderio. Il corpo cerca solo, arrancando di stargli dietro”.

Mi folgora così Alessandro D’Avenia. Invece la mentalità dominante vede, esalta e amplifica solo i desideri della carne fino a renderli ossessivi, alla fine malati perché non appagano.

Perché anche il piacere più sublime, lascia alla fine insoddisfatti e soli. L’uomo è l’unica creatura sulla terra che non trovi in natura ciò che esaudisce totalmente il suo desiderio e la sua attesa.

Così bisogna vedere le immagini di quel milione di giovani che sono andati a Madrid per ascoltare il papa, a ferragosto. O quelli che la settimana prossima andranno al Meeting di Rimini.

Portati fin lì da “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, quell’amore misterioso che fa correre vertiginosamente le galassie, che fa ruotare i pianeti e fa vibrare l’infinitamente piccolo. E non ci fa star quieti.

Il desiderio arde nelle fibre più intime di questi ragazzi arrivati a Madrid esattamente come nella carne dei loro coetanei di Ibiza.

Loro, però – che magari stavano essi pure su qualche spiaggia – sono partiti per Madrid e se lo portano in quelle infuocate piazze spagnole, sotto il sole cocente, perché hanno intuito, più o meno confusamente, che ciò che infiamma la carne, che dà fame e sete anche di abbracci e di baci e di amore fisico, che sembra così forte, è solo una piccola scintilla del vero, infinito, Amore che tutti gli uomini cercano.  

Quel “Sommo Piacere” (come Dante chiama Dio) che è finalmente appagante e ristoratore.

Sono pazzi? Il dettaglio più impressionante delle cronache, per me, sono quei 40 gradi di temperatura, sommati alle altissime temperature della carne nella giovinezza.

Cosa ci dicono?

Che cercano davvero il dolce refrigerio, dell’unica sorgente inesauribile di acqua fresca: Gesù, “il più bello fra i figli degli uomini”, il cui volto hanno intravisto fra la folla.

E lo stanno cercando soprattutto perché hanno saputo che Lui sta cercando loro, ciascuno di loro, chiamando ognuno per nome.

Perché sono affascinati da questa notizia?

Alessandro D’Avenia, autore di un romanzo bellissimo, “Bianca come il latte, rossa come il sangue” (Mondadori), che è il vero caso editoriale di questi anni, ama appunto raccontare gli adolescenti, i quali saranno al centro pure del suo prossimo romanzo, “Cose che nessuno sa”, in uscita a novembre: “quella è l’età nella quale le cose sono nude, senza sfumature. Dunque è una straordinaria lente di ingrandimento di ciò che veramente interessa a uomini e donne: la scoperta di sé come corpo e come anima”.

Aggiunge: “ogni stagione della vita è un po’ come la nascita: in ogni stagione veniamo un po’ alla luce e ci facciamo un pianto. Ma mentre il primo pianto, quello della nascita, passa con l’abbraccio della madre, quando si diventa adolescenti si viene alla luce con un dolore ancor più vivo a lenire e confortare il quale non bastano più la mamma e il babbo”.

E dunque?

“Allora sei costretto a toccare con mano la tua solitudine, quindi scopri la bruciante necessità dell’altro, dell’amicizia, dell’amore”.

Anche nella ricerca del corpo dell’altro, che è una scoperta che incanta, si cerca quell’abbraccio che fa sentire “a casa”, che fa ritrovare se stessi.

Ma paradossalmente si trova in realtà un altro “io” che anche lui, brancolando nel buio, cerca di lenire il suo dolore e cerca la sua anima e così è una miscela esplosiva, perché può essere una grande avventura di verità, ma pure un’esperienza che provoca nuove ferite.

O spesso tutte e due le cose insieme.

D’Avenia però sottolinea il positivo: che in questa stagione della vita c’è la verità di noi, siamo allo stato creaturale, nudi, col nostro splendore e la nostra povertà.

“Mi ha colpito” dice “un pensiero di Benedetto XVI che ha detto: la giovinezza è l’età in cui capire cosa mantenere quando la giovinezza finisce. E’ così, perché poi l’abitudine dissecca l’anima e si perde quell’antica freschezza”.

A D’Avenia – che pur essendo un professore e uno scrittore è molto giovane (ha solo 34 anni) e che ha partecipato a due “Giornate mondiali della gioventù” – domando perché i media fanno così fatica a raccontare un evento come quello che porta un milione di giovani a Madrid a ferragosto.

“Perché dall’esterno vedi solo un movimento di masse giovanili simile a quello dei concerti rock. Però dovrebbero almeno cogliere la diversità. Perché qui i ragazzi sono sorridenti e quieti?”

E’ vero, non hanno bisogno di urlare o sballarsi, non lasciano sporcizia e non spaccano, non cercano di lenire il dolore della vita affogandosi nel gruppo.

“Perché qui non si tratta di consumare un’emozione e stop. C’è qualcosa che sfugge al colpo d’occhio”.

Forse perché è una domanda che si agita nella singolarità, unica e irripetibile, di ogni cuore?

“Sì. Perché è un evento di massa, ma è tutto e solo personale. Pur fra un milione di coetanei ti sembra che Qualcuno ti stia dando del ‘tu’ e questo non accade con il cantante rock che urla sul palco. Qui, allo stesso tempo, siamo insieme, ma anche in un solitario faccia  a faccia col Mistero”.

La mia sensazione è che sia proprio questa sincerità, questa nudità personale di fronte alla vita, alla morte, all’amore e a Dio, il materiale altamente infiammabile che i media non sono capaci di trattare.

Li imbarazza. Non sono attrezzati. Fuggono spaventati.

Perciò, come scriveva Rilke: “Tutto cospira a tacere di noi/ un po’ come si tace un’onta/ forse un po’ come si tace/ una speranza ineffabile”.

Dio e la propria infelicità personale sono l’unico argomento di fronte al quale l’intellettuale medio si ritrae scandalizzato come le signorine perbene facevano una volta se si parlava di sesso.

Forse è per questo che anche il successo del romanzo di D’Avenia  – che ha colpito tanti giovani – è stato accolto da un certo imbarazzo dei media e dei salotti letterari. Omaggi frettolosi alla qualità della scrittura, ma poi via a gambe levate a chiacchierare dei soliti romanzetti conformisti su questi nostri anni tristi.

 D’Avenia mi spiega: “alcune persone, addetti ai lavori, molto attenti, mi hanno detto: lei ha scritto un romanzo trasgressivo. Ah, bene, ho detto. E perché? Mi hanno risposto: il libro parla di un professore che ama il suo lavoro, di dolore e di Dio. E’ vero, ho pensato, la vita ordinaria è diventata la vera trasgressione”.

Io ho sentito parlare molto di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. L’ho letto però quando mi è stato consigliato da mio figlio di 14 anni che mi ha detto: “leggilo. Mi ha cambiato la vita!”. E mi ha stupito che tutti i suoi amici lo avessero letto e ne fossero rimasti affascinati. Questi sono fenomeni importanti.

“Anche a me” dice D’Avenia “colpiscono molto le lettere che ricevo dai ragazzi ed è bellissimo incontrarli quando mi invitano a parlare del libro nelle scuole”.

Perché?

“Sono straordinari. Loro si sentono autorizzati ad andare subito al cuore del problema e non si vergognano di chiedermi durante queste assemblee: ‘che rapporti hai con Dio?’, ‘perché mia mamma si è ammalata di tumore?’, ‘perché mio fratello si droga?’. Loro hanno il coraggio di tirar fuori questo. E tantissimi ragazzi dicono di volere un amore grande come quello di Leo per Beatrice (i due protagonisti del romanzo, nda)”.

Malgrado la rappresentazione mediatica della realtà che invita i giovani a prendere, consumare e buttare l’amore come una lattina di Coca Cola?

“Malgrado questo quell’amore che è ‘per sempre’ lo desiderano tutti, è ciò che il cuore di tutti brama”.

E siccome si ha paura di guardare dentro il proprio cuore si evita di fare i conti con chi ti parla di te, fino al punto di protestare  – come fanno gli “indignados”  in Spagna – contro i giovani venuti dal Papa.

Con tutti i problemi che ha provocato Zapatero, vanno a protestare contro la giovinezza. L’ideologia è capace pure di scioperare contro la primavera.

  Antonio Socci

Da “Libero”, 20 agosto 2011

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