A un anno dall’elezione di Bergoglio a “vescovo di Roma” si resta perplessi nel vedere il giornale delle banche e della finanza – il “Corriere della sera” – che acclama il “papa dei poveri” il quale tuona contro “il Nord ricco” a cui “più volte in quest’anno ha gridato ‘vergogna’ mettendolo sotto accusa”.

Ci si sente presi per il naso. Che gioco stanno facendo? E che dire della “Stampa-Vatican Insider”? Il giornale torinese è il più affetto da quella “francescomania” che  Bergoglio deplora.

Il quotidiano della Fiat è arrivato addirittura a suonare le fanfare per Gustavo Gutierrez che è stato “riabilitato” in Vaticano: Gutierrez è il padre di quella “Teologia della Liberazione” che mescolava cristianesimo e marxismo e che fu seppellita da Giovanni Paolo II e da Ratzinger.

Si sente puzza di bruciato se i giornali delle multinazionali osannano la Teologia della liberazione. Ma ancor più se il Vaticano la riabilita. E proprio nei giorni in cui Ratzinger – in un libro intervista su Giovanni Paolo II – spiega:

“La prima grande sfida che affrontammo (con Giovanni Paolo II) fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma era un errore. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico(…). A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per  amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro”.  

Di recente un importante esponente della Tdl, Clodoveo Boff, ha dato ragione a Ratzinger per quello che (a nome di Wojtyla) fece trent’anni fa:

“egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza della fede… Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa”.

Invece “nel discorso egemonico della teologia della liberazione”, riconosce Clodoveo Boff, “ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il ‘cristianesimo anonimo’ di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali”.

Oggi però il Vaticano riabilita quella Teologia della liberazione. E lo strappo rispetto a Wojtyla e Ratzinger riguarda anche altro.

 

ABOLIZIONE DEL PECCATO ?

 

Il 29 dicembre scorso il titolo dell’editoriale di Eugenio Scalfari, sulla Repubblica, diceva: “La rivoluzione di Francesco: ha abolito il peccato”.

In effetti questa, vagheggiata da Scalfari (e anche dai poteri mondani, da logge e lobby anticattoliche) sarebbe la più grande delle rivoluzioni perché significherebbe l’abolizione della Chiesa stessa: Gesù ha predicato e praticato il perdono dei peccatori, mentre l’abolizione del peccato è l’esatto opposto, è qualcosa che renderebbe inutile e perfino ridicolo il sacrificio della Croce.

Perciò quella del fondatore di “Repubblica” sembrò a tutti una boutade dovuta al suo proverbiale dilettantismo teologico. I media cattolici lo liquidarono sarcasticamente.

Invece oggi bisogna riconoscere che aveva in parte ragione. Non riguardo al Papa (che ancora non si è espresso), ma riguardo al cardinale Kasper, autore dell’esplosiva relazione al Concistoro (richiestagli dal Papa) su divorziati risposati e sacramenti.

Kasper rappresenta quella sinistra martiniana che vorrebbe fare come le chiese protestanti del Nord Europa: calare totalmente le brache davanti al mondo (infatti quelle chiese si sono suicidate e oggi sono pressoché inesistenti).

Per questo la relazione di Kasper sovverte completamente nella pratica ciò che Gesù (Mt 5, 32 e Mt 19, 9) e la Chiesa hanno sempre insegnato.

Con l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati (che ribalta tutto il Magistero, specie quello di Giovanni Paolo II) di fatto si prospetta l’abolizione del peccato.

Che “ospedale da campo” è questo? Così noi poveri peccatori crepiamo. Come se il ministero della Salute decretasse che – invece di curare gli ammalati –  tutti fossero dichiarati sani per legge.

Infatti la prospettiva sulla quale Kasper e compagni vogliono spingere la Chiesa implica l’inutilità del sacramento della confessione e la sua abolizione.

Perché mai ci si dovrebbe limitare ai divorziati risposati? Sarebbe una “legge ad personam”. I conviventi o i fidanzati che hanno rapporti sessuali, perché dovrebbero confessarsi per accedere all’eucarestia? E l’uomo o la donna sposati che hanno una relazione extramatrimoniale?

 

O KASPER O GESU’

 

Il “tana liberi tutti” riguarderebbe di fatto tutti i peccati. Tutti perdonati d’ufficio. Kasper infatti dice: “ogni peccato può essere assolto”. Ma omette di dire che occorrono pentimento e ravvedimento.

Al contrario di Kasper, Gesù affermò che “il peccato contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna” (Mt 12, 31-32). Questo peccato imperdonabile riguarda proprio “la presunzione di salvarsi senza merito”, “l’ostinazione nel peccato” e “l’impenitenza finale”.

A ben vedere poi Kasper non si limita ad abolire il peccato (e la confessione): abolisce l’inferno stesso. Lo ha detto con una frase passata inosservata, ma che contraddice totalmente quanto Gesù e la Chiesa hanno sempre insegnato.

Il prelato dice: “non è immaginabile che un uomo possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa più tirarlo fuori”. Falso. Questo “buco nero” c’è: è l’inferno in cui noi possiamo scegliere di andare. Dio – per rispetto della nostra libertà – non può salvarci contro la nostra volontà.

E’ molto pericoloso non credere all’inferno. Santa Faustina Kowalska – che di misericordia era molto più competente di Kasper – riferisce nel suo Diario che quando fu portata misticamente a vedere il regno di Satana scoprì che “la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno”.

 

I GESUITI

 

Storicamente furono i padri gesuiti ad essere accusati dal grande Pascal di aver  abolito il peccato con la scusa di perdonare il peccatore. E nel nostro tempo sono tornate in auge quelle loro idee.

Lo ricordò l’allora cardinale Ratzinger in un celebre discorso del 1990:

si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: ‘Ecce patres, qui tollunt peccata mundi’! Ecco i padri che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi ‘moralisti’, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato”.  

In un libro precedente Ratzinger criticò quel “pensiero pelagiano secondo il quale basterebbe in fondo la buona volontà dell’uomo per salvarlo”.

Poi aggiunse:

“In questa luce non era in ogni senso in torto il rimprovero mosso dai Giansenisti ai Gesuiti di portare con le loro teorie il secolo all’incredulità”.

Ma ci sono anche le correnti sane della Compagnia di Gesù. Se infatti da una parte c’era il gesuita Rahner, dalla parte opposta c’era il grande gesuita De  Lubac.

Francesco è davanti a un bivio: da una parte la demolizione della Chiesa a cui vogliono spingerlo poteri, logge e lobby mondane. Ma io penso (e spero) che lui sceglierà l’altra, quella del vero Concilio, di De Lubac, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, una via gloriosamente ortodossa ed evangelica, che porta all’odio del mondo e a volte al martirio.  

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 marzo 2014

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