Sulla copertina di “Time”, uscita mentre il Santo Padre è in viaggio per il Brasile, c’è una sua foto con questo titolo: “The People’s Pope”. Cioè il Papa della gente o meglio “il Papa del popolo”.

Si può dire in effetti che Francesco incarna, nel suo esempio, nel suo insegnamento, nella sua storia e nella sua figura di pastore quella “vera teologia della liberazione” che per anni Joseph Ratzinger e Giovanni Paolo II hanno annunciato.

Mentre mostravano gli errori della “teologia della liberazione” che si era diffusa negli anni Settanta in Sudamerica, quella di teologi come Gustavo Gutierrez, Camillo Torres, i fratelli Leonardo e Clodoveo Boff, poi Jon Sobrino e altri, che s’illudevano di realizzare il Vangelo abbracciando le analisi marxiste, la lotta di classe e la rivoluzione. Un errore drammatico.

 

LA SVOLTA DI BOFF

 

Di recente proprio uno di loro, Clodoveo Boff, è intervenuto per dare ragione alla Chiesa di Ratzinger, di Giovanni Paolo II e quindi – lo vedremo – di Bergoglio.

L’11 marzo ha rilasciato un’intervista, al giornale brasiliano “Folha de S. Paulo”, annunciata con questo titolo: “Irmão de Leonardo Boff defende Bento 16 e critica Teologia da Libertação”.

Clodoveo Boff, facendo riferimento a quanto scrisse l’allora cardinale Ratzinger, dice: “egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza della fede: non è come la società civile dove la gente può dire quello che vuole. Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa. Fin dall’inizio ha avuto chiara l’importanza di mettere Cristo come il fondamento di tutta la teologia”.

Invece “nel discorso egemonico della teologia della liberazione”, riconosce Clodoveo Boff, “ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il ‘cristianesimo anonimo’ di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali”.

Il teologo ha concluso con un ricordo personale molto significativo: “Negli anni ’70 il card. Eugenio Sales mi ha ritirato la certificazione per l’insegnamento della teologia presso l’Università Cattolica di Rio. Sales mi ha affabilmente spiegato: ‘Clodoveo, penso che ti sbagli. Fare del bene non basta per essere cristiani, l’essenziale è confessare la fede’. Aveva ragione, infatti la Chiesa è diventata irrilevante. E non solo essa, ma Cristo stesso”.

Se dunque “quella” teologia della liberazione è naufragata, insieme ai sistemi marxisti, è cresciuta  la “vera” teologia della liberazione. Proprio Ratzinger ne è stato un forte promotore e Bergoglio ne è il frutto maturo.

E qui si scopre di nuovo il filo rosso che lega i due uomini di Dio. E’ noto infatti che Bergoglio fu in America Latina uno dei più accorati sostenitori di questa via indicata dalla Chiesa, cioè l’abbraccio dei poveri, sia nella vita materiale che in quella spirituale, la denuncia delle ingiustizie profonde che opprimevano tanti popoli, ma con l’annuncio del Vangelo e non dell’ideologia marxista.

Quel legame porta fino al Conclave del marzo scorso. E’ proprio il viaggio di papa Francesco in Brasile, per la Giornata mondiale della gioventù, che permette di scoprirlo. Lo ha fatto notare Lucio Brunelli con un articolo sul sito “Terre d’America” di Alver Metalli.

 

TUTTO COMINCIA CON MARIA

 

Brunelli, sottolineando “l’insolito destino” che “continua a legare il papa regnante e il papa emerito” – oltre all’affetto e alla stima personale – indica un luogo significativo: il santuario mariano di Aparecida, che è il cuore cristiano del Brasile.

E’ lì, ai piedi della Madonna, che papa Francesco andrà a pregare il 24 luglio prima di recarsi all’appuntamento con due milioni di giovani. E proprio in quel santuario si era recato Benedetto XVI il 13 maggio 2007, attorniato da una folla immensa. Perché ad Aparecida era in corso la quinta conferenza generale dell’episcopato dell’America Latina e dei Caraibi.

“Fu quell’assemblea” spiega Brunelli “a consacrare la figura dell’arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio, come leader continentale della Chiesa latinoamericana. La sua reputazione di uomo di Dio era già nota. La sua condotta di vita, lo spazio che riservava alla preghiera, il rifiuto del lusso e l’attenzione evangelica ai poveri, erano tratti ben conosciuti da molti suoi confratelli. Non a caso molti di loro lo avevano già votato nel conclave del 2005. Ma ad Aparecida i vescovi latinoamericani (e non solo loro) scoprirono anche le capacità di ‘governo’ di Bergoglio”.

Egli infatti era stato eletto alla presidenza della commissione che doveva scrivere il documento finale, un compito delicato perché doveva indicare la strada per una Chiesa complessa, nel continente più cattolico del mondo e proprio mentre erano in corso tumultuosi cambiamenti (il baratro del default argentino, l’impetuosa crescita economica brasiliana).

Bergoglio riuscì a far esprimere in armonia tutte le diverse sensibilità e – dice Brunelli – “valorizzò insieme la devozione popolare e le istanze più autentiche della teologia della liberazione, depurata dalla crosta ideologica degli anni 70”.

Nell’omelia che pronunciò lì ad Aparecida il 16 maggio 2007, dopo la partenza di papa Benedetto, si vede davvero in anticipo  – sottolinea Brunelli – tutto papa Francesco:  “Lo Spirito proietta la Chiesa verso le periferie, non solo le periferie geografiche del mondo conosciuto della cultura, ma le periferie esistenziali. Lo Spirito ci giuda, ci conduce sulla strada verso ogni periferia umana: quella della non conoscenza di Dio … dell’ingiustizia, del dolore, della solitudine, della mancanza di senso… ”.

In una successiva intervista a “30 Giorni” ringraziò esaltò papa Benedetto per aver voluto valorizzare il contributo di tutti. Poi concluse: “Il documento di Aparecida non si esaurisce in se stesso, non chiude, non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla missione. L’annuncio e la testimonianza dei discepoli. Per rimanere fedeli bisogna uscire. Rimanendo fedeli si esce. Questo dice in fondo Aparecida ”.

Brunelli osserva: “Non è azzardato affermare che proprio ad Aparecida si nasconda parte del segreto dell’elezione di Bergoglio al soglio pontificio. Furono alcuni cardinali brasiliani, a partire dal suo amico Claudio Hummes, arcivescovo emerito di San Paolo, i primi a promuovere la sua candidatura durante l’ultimo conclave. Molti forse ricordano la foto di Francesco, dopo l’elezione, su un mini bus insieme ad altri allegri porporati. Seduto accanto a lui c’era il cardinale di Aparecida, Raymundo Damasceno Assis. ‘Nel momento in cui scattarono quella foto – ci ha confidato – ricordavamo con il nuovo papa il clima fraterno vissuto durante l’assemblea dei vescovi del continente, e lo stavo giusto invitando a tornare ad Aparecida, in occasione della Giornata mondiale della gioventù’ ”.

Il nuovo papa disse subito sì: voleva tornare lì da Maria, colei da cui tutto comincia.

 

PAROLA DI NEMICO

 

Proprio il nemico giurato di Bergoglio, l’intellettuale argentino Horacio Verbitsky, quello che ha definito il nuovo papa “una disgrazia, per l’Argentina e per il Sudamerica”, fa capire che Francesco, atteso in Brasile da un mare di persone, sarà un vero segno di rinascita cristiana.

Infatti ha irosamente dichiarato al “Fatto quotidiano” che “il suo populismo di destra è l’unico che può competere con il populismo di sinistra. Immagino che il suo ruolo nei confronti del nostro continente sarà simile a quello di Wojtyla verso il blocco sovietico del suo tempo, sebbene ci siano differenze fra le due epoche e i due uomini. Bergoglio combina il tocco populista di Giovanni Paolo II con la sottigliezza intellettuale di Ratzinger. Ed è più politico di entrambi”.

Significa che è e sarà un grande Papa. Né di destra né di sinistra: di Cristo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 21 luglio 2013

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