“L’Espresso”, il magazine di De Benedetti, distribuito con “La Repubblica”, ha avuto un’ideona. Una pensata così geniale e risolutiva che ci si chiede perché mai – nella storia dell’umanità – non si sia escogitata prima.

Sta nella copertina dell’ultimo numero: “Le frontiere uccidono… l’unica speranza è un mondo libero dai confini”.

Non è meraviglioso? Non vi pare la pensata del secolo o addirittura del millennio? A ispirare questa geniale copertina è l’antropologo Michel Agier, intervistato dal settimanale (il titolo della conversazione è: “L’unica speranza per il mondo è liberare i confini”).

Agier è l’autore del libro “La Giungla di Calais”, uno studio di quell’immensa distesa di tende e baracche che si è formata, davanti al Canale della Manica, sulla costa francese, dove nel 2016 vivevano più di 10 mila migranti.

Questo intellettuale – dall’astrazione ideologica facile – sostiene “la libera circolazione delle persone”, “l’ospitalità come regole giuridica” e afferma che “se oggi (le frontiere) fossero aperte avremmo una situazione molto più pacifica”. E “L’Espresso” sposa questa surreale utopia facendo la copertina che si è visto.

Basta rifletterci un attimo per capire cosa accadrebbe. Lo Stato d’Israele, per esempio, sparirebbe, circondato com’è dall’odio arabo e dall’estremismo islamico (tanto è vero che in questi anni, per proteggersi, ha dovuto erigere un formidabile muro in Cisgiordania).

Ma la stessa cosa vale per l’Italia e per l’Europa. Basti considerare l’afflusso irregolare di centinaia di migliaia di persone degli ultimi anni: se abbattessimo davvero le frontiere e fosse possibile emigrare liberamente, a proprio arbitrio, l’Italia diventerebbe la banchina di sbarco di milioni di persone solo dall’Africa(continente diun miliardo e 200 milioni di abitanti).

Con effetti devastantinon solo per l’Italia e l’Europa, ma anche per l’Africa stessa. Sarebbe il caos. La stessa cosa si può facilmente immaginare per gli Stati Uniti.

Non si capisce, del resto, per quale motivo si dovrebbero abbattere le frontiere spazzando via, così, gli Stati e anche i popoli stessi con le loro identità.

Agier accenna ai morti nel Mediterraneo in questi anni di immigrazione irregolare. Tuttavia nessuno ha ancora risposto al ministro dell’Interno Salvini il quale, citando i dati dell’Unhcr, ha mostrato il crollo del numero di vittime da quando si è fatta una politica di blocco delle partenze.

D’altronde è facile immaginare che un sommovimento gigantesco di milioni di persone verso l’Europa, da Africa e Asia, sarebbe tanto traumatico da provocare reazioni, rivolte e guerre civili davvero tragiche per moltissimi anni.

Basta un minimo di realismo per rendersene conto. Ma certi intellettuali e certe aree politico-ideologiche sembrano vivere lontano dalla realtà. Ed è per questo che sia la sinistra immigrazionista che papa Bergoglio, eludono sempre la domanda: “quanti?Quanti immigrati vorreste far entrare prima di chiudere le frontiere?”

Nel loro mondo immaginario c’èun Eden simile alla vecchia utopia ideologica degli anni Settantaa cui John Lennondette voce col brano “Imagine”, del 1971, il quale rappresenta – come ha scritto Eugenio Capozzinel libro “Politicamente corretto”– “l’inno ufficiale del pacifismo… uno dei monumenti del catechismo politicamente corretto, ancora oggi imprescindibile collante emotivo e propagandistico”.

In quella canzonetta – tuttora celebrata – c’è già disegnato quell’Eden. Essa, osserva Capozzi, “elenca in maniera chiara quali sono i mali che bisognerebbe rimuovere per restaurare quella condizione: la religione trascendente e le Chiese (‘no heaven’, ‘No hell below us’, ‘Above us only sky’, ‘no religion’…), le nazioni (‘no countries’, ‘Nothing to kill or die for’), la proprietà (‘no possessions’, ‘No need for greed or hunger’). In pratica, i fondamenti della modernità euro-occidentale. Con una intuizione fulminante, Lennon si sintonizzava sulla stessa lunghezza d’onda del dilagante ripudio dell’eredità dell’Occidente”.

Il cantante riprendeva “in pochi icastici versi tutta l’eredità delle utopie di liberazione, da Rousseau a Marx fino al terzomondismo e alla rivolta hippie: comunione dei beni, secolarizzazione integrale, sradicamento di ogni identità politica e culturale sono… le chiavi per l’accesso (o meglio per il ritorno) a una naturale fratellanza”.

L’esito della stagione hippy degli anni Settanta è nota ed è stato tutt’altro che paradisiaco. La sua perfetta caricatura si può trovare in Ruggero, il comico “figlio dei fiori” di “Un sacco bello”interpretato da Carlo Verdone, quello che si avventura nella campagna e vede che “un sacco di fiori si aprivano al mio passaggio” e “un sacco di uccelli scendevano dagli alberi per parlarmi”. Con il santone che gli dice “Love, love love!”, che passa la notte con lui “sotto questa frasca” e lo indirizza a “un grandissima casale bianco con una grandissima piscina dove un sacco di ragazzi di tutto il mondo stanno formando una grandissima comunità… ragazzi un sacco simpatici, cileni rhodesiani, tedeschi inglesi… tutta gente che aveva fatto un certo tipo di scelta: la scelta dell’amore”.

L’altra realizzazione, stavolta tragica, di quell’utopia “universalista”è stata il comunismo sovietico, con laguerra a tutte le identità nazionali e religiose (oltreché alla proprietà privata)e la deportazione di intere popolazioninella prospettiva di un mondo tutto sovietizzatoe – a quel punto – davvero “senza confini”. Tutto profondo rosso. Senza altri colori.

L’Urss non c’è più. Né gli hippy. Cambiano le ideologie e i tempi. Ma resta qualcosa di inquietanteanche nelle nuove utopie ideologiche.

Si ha la sensazione che dietro tutto questo “amore” per le migrazioni di massa – che viene proclamato anche negli alti organismi internazionali– si possa cogliere un’inconfessata ostilità per le nazioni e le identità, un’utopia “ecumenica” che porta all’appiattimento di ogni diversità e storia. Sarebbe un futuro inquietante, certamente tragico e non prospero.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 15 luglio 2019