MATTARELLA (CON BERGOGLIO). SUI COLLI DI ROMA IL TRIONFO POSTUMO DEL CARD. MARTINI SU GIOVANNI PAOLO II E SU BENEDETTO XVI
Il bacio della morte al Nazareno (inteso come patto) l’ha dato Giuliano Ferrara che aveva appena sfornato un pamphlet apologetico di Matteo Renzi e del suo “inciucio” col Cavaliere.
Renzi, in un batter d’occhio, l’ha sconfessato asfaltando al tempo stesso Berlusconi e i post-comunisti.
Ferrara, che è sia berlusconiano che postcomunista, è rimasto sotto le macerie di destra e di sinistra.
E oggi tutti coloro che non volevano “morire democristiani” devono rassegnarsi alla riesumazione della Balena bianca, tornata saldamente in sella ai vertici dello Stato, in barba a tutti i becchini.
E – quel che è più divertente – con i nemici di sempre della Dc (dai comunisti a Scalfari) che battono le mani entusiasticamente come per una propria vittoria.
Ma davvero è tornata Moby Dick – come farebbe pensare il “soccorso bianco” arrivato a Mattarella da tutti i democristiani di cielo di terra e di mare sparsi nei diversi schieramenti – o invece è un tonno, o uno squaletto, cioè un monocolore della sinistra democristiana, l’area ideologica da cui provengono sia Renzi che Mattarella, che è una democristianeria atipica?
QUESTIONE CATTOLICA
Di fatto i cattolici son tornati al centro del dibattito. Giulio Sapelli ieri ha scritto di ritenere da tempo che “la questione italiana è niente di più e niente di meno che la questione cattolica”.
Poi ha aggiunto: “Mattarella è il paradossale frutto di questa endiadi, ossia mentre il cattolicesimo, come fede, viene quasi sconfitto dalla secolarizzazione, il cattolicesimo come religione trionfa sotto le spoglie dell’eredità culturale della democrazia cristiana in Italia”.
E ancora: “l’unità politica dei cattolici è finalmente finita, ma chi occupa oggi i centri nevralgici del potere visibile e invisibile in Italia (salvo quelli massonici: in ritirata) son proprio i religiosi cattolici eredi di quell’unità”.
Spunti di riflessione intelligenti, ma forse non tutti centrati. Cosa sta veramente accadendo? E cosa dicono i cattolici?
Nei giorni scorsi un quotidiano cattolico online come “La nuova Bussola”, molto legato alla battaglia sui “principi non negoziabili” dell’epoca di Wojtyla, Ratzinger e Ruini, chiedeva paradossalmente che non fosse eletto un cattolico al Quirinale.
Ieri ha amaramente constatato: “Che un Parlamento in cui i cattolici sono una sparuta e scomposta minoranza elegga proprio un cattolico è la cartina al tornasole di una anomalia ormai strutturale e fuori controllo”.
Dove sta il problema? La “Bussola” fa l’elenco di una serie di leggi molto “drammatiche” per i credenti (su unioni gay, omofobia, famiglia, gender e scuola ec) che sono in dirittura d’arrivo e che domani, presumibilmente, il nuovo “presidente cattolico” dovrà firmare.
Scrive la “Bussola”: “L’Italia cattolica non c’è più, ma i cattolici servono ancora perché sono loro che devono – da ‘adulti’ – completare l’esodo del popolo italiano dall’Italia cattolica. Il modo migliore per fare questo è essere ‘uomini delle istituzioni’. Basta pensare che la Costituzione sia superiore al Vangelo e il gioco è fatto”.
“La Bussola” spiega che questi cattolici “delle istituzioni” sono specialmente i cosiddetti “cattolici democratici”, l’alveo della sinistra dc dossettiana e non: “Scopo del dossettismo e di tutte le correnti della sinistra cattolica” scrive la Bussola “era di operare per la propria estinzione avendo come scopo la perdita di ogni connotato cattolico per accettare pienamente la completa laicità della politica, nella quale tutto è mediazione. Mattarella appartiene a questa storia e a questa cultura ed è quindi significativo che egli emerga ai massimi livelli quando la sua storia e la sua cultura sono defunte, ormai diluite nel secolarismo generale”.
Hanno ragione i cattolici della “Bussola”? C’è molto di vero della loro analisi. Ma ovviamente ogni interpretazione è schematica e può rivelarsi fallace. Infine non è nemmeno giusto buttar la croce tutta e solo sulle spalle dei politici cattolici.
TRIONFO DI MARTINI
Oggi infatti è la Chiesa stessa di papa Bergoglio che ha abbandonato la trincea e ha deciso di non combattere più per quei “principi non negoziabili” che – secondo Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – rappresentavano il crinale di un tragico baratro dell’uomo moderno.
In fin dei conti il vero vincitore di oggi (ma sappiamo quanto sono effimeri certi trionfi) è il cardinale Carlo Maria Martini che fu, nel 2005, il grande sponsor di Bergoglio al papato e che, per decenni, è stato il punto di riferimento di tutta l’area “cattolico democratica”.
Oggi con Bergoglio in Vaticano, Mattarella al Quirinale e Renzi a Palazzo Chigi troviamo “martiniani” in tutti i vertici dei palazzi romani (anche se forse Renzi è un atipico).
Siamo dunque all’archiviazione di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Ma mentre si celebra il trionfo postumo di Martini nei Palazzi romani, nella società la presenza cattolica è diventata pressoché irrilevante e quella che ancora resiste come il movimento delle “Sentinelle in piedi” – per la sua ispirazione wojtyliana e ratzingeriana – è malvista in Vaticano (dove si preferisce ricevere il centro sociale Leoncavallo).
Il recente tentativo del Pd Mario Adinolfi di radunare quest’area ratzingeriana, rimasta orfana, attorno a un nuovo quotidiano, “La Croce”, rappresenta il tentativo renziano di mettere il cappello (solo come portatore di voti) su un elettorato cattolico che finora sceglieva al centro e a destra.
Tuttavia queste analisi non colgono alla fine la cosa più importante.
IL CASO GIUSSANI
Il cuore del problema cattolico non sono anzitutto i “principi non negoziabili”, né il “cattolicesimo democratico”, ma è Gesù Cristo.
Si capisce tutto con un flash dagli anni Cinquanta.
Erano gli anni dei governi democristiani e dello strapotere clericale. La sinistra cattolica, accasata nella DC, leggendo male Maritain con occhiali rahneriani, dà alla democrazia un connotato teologico (quindi non la democrazia liberale di De Gasperi) e si pone un programma: la riforma della Chiesa (da purificare da ogni temporalismo) e la riforma dello stato con la piena realizzazione della Costituzione scritta con il Pci (Costituzione quasi sacralizzata).
Ecco perché nei decenni successivi abbiamo assistito a un pullulare nello Stato di quel tipo di cattolici, anche ben preparati (dall’Iri all’Eni, dal governo alla Corte Costituzionale, dal Csm al sistema bancario) che – sempre “per spirito di servizio”, magari col birignao moralista – si sono “accollati” la missione del potere come una sorta di “religione civile” (anche se per gli avversari era una religione del potere).
In quegli stessi anni Cinquanta un giovane sacerdote lombardo, erede del cattolicesimo di San Carlo, della Scuola teologica di Venegono e uomo di grande carisma personale e grande fede, don Luigi Giussani, si rese conto con dolore che in quell’Italia “cattolica” le giovani generazioni in realtà non sapevano più nulla della fede e letteralmente non conoscevano Gesù Cristo.
La sua passione ardente per Cristo e la sua simpatia per l’umano lo portò a iniziare una straordinaria opera missionaria per far incontrare Gesù, il suo sguardo, la sua amicizia, ai giovani.
Il suo centro d’interesse non era lo stato, ma la società: le scuole, le università, il mondo della cultura, i luoghi di lavoro, ovvero tutte quelle “periferie” dove si formava una mentalità lontana dalla fede cristiana e si perdeva la memoria di Cristo.
Giussani fu pienamente capito nella Chiesa grazie all’arrivo di papa Wojtyla e di Joseph Ratzinger che condividevano la stessa passione ardente per Cristo.
Anch’essi – da uomini del Concilio – ritenevano che proprio questa passione missionaria fosse lo scopo e il cuore del Concilio.
Invece i cattoprogressisti ne davano una interpretazione tutta politica, come fine del temporalismo e resa alle ideologie mondane moderne.
E’ questo lo scontro epocale in atto. Oggi più che mai la Chiesa rischia l’autodemolizione e l’evaporazione come le chiese protestanti del Nord Europa.
Antonio Socci
Da “Libero”, 2 febbraio 2015
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