L’anno fatale che dette inizio alla tragedia fu il 1917. In questo 2017 dunque cade il centenario della “rivoluzione russa” e il comunismo non russa più in Europa, è proprio morto.

Altrove è ancora vivo e lotta contro di noi (fra Cina, Corea del Nord, Vietnam, Laos e Cuba, sono circa un miliardo e mezzo i sudditi che vivono tuttora sotto il tallone di regimi rossi).

Però sul finire del 2016 ha provveduto ad andarsene Fidel Castro che era l’ultimo simbolo storico del comunismo internazionale ancora in vita. E per una curiosa coincidenza in questo inizio di 2017 in Italia sta (ri)morendo “l’Unità” (o almeno così pare) che era l’ultimo reperto rimasto del partito comunista più grande d’occidente, il Pci appunto.

Del resto se dal comunismo passiamo al postcomunismo e allarghiamo la visuale su tutta la Sinistra, cioè sul cosiddetto campo progressista, la situazione è egualmente disastrosa: le iscrizioni al Pd sono dimezzate – per esempio – sia in Emilia che a Torino e il governo Pd, presieduto da Paolo Gentiloni, sta per diventare l’ultimo dei Mohicani in Europa.

Infatti il socialista Hollande in Francia è stato disastroso e i candidati socialisti alle presidenziali d’oltralpe sono dati per sconfitti in partenza. Poi, come ho già scritto su queste colonne, la Sinistra è in panne pure in Gran Bretagna, in Germania e in Spagna. Ed è crollata rovinosamente nelle roccaforti sudamericane: Brasile e Argentina.

CAPO DANNO

In questi giorni però c’è un’altra disfatta, la più grande: l’uscita di scena – rancorosa e sgangherata – di colui che è stato il vero leader dello schieramento “progressista” mondiale, Barack Obama, detto Sbarack per il “fair play” che dimostra dopo la sconfitta sua e di Hillary. Continua

“Bufale”? Ci sarebbe da chiarire se ce l’hanno raccontata giusta, in Italia, a proposito di euro, debito pubblico e crisi economica.

Perché – nonostante decenni di lacrime e sangue – non se ne viene a capo e anzi il debito pubblico è sempre più grande e la nostra economia sempre più devastata?

Secondo il mainstream perché siamo un Paese di lazzaroni e spendaccioni, sempre fuori dalle regole. Ma non è vero.

I dati dicono che noi siamo in realtà tra i più virtuosi. Tempo fa, un autorevole specialista come il professor Marco Fortis, sul “Sole 24 ore”, spiegava che “nonostante la sua (dell’Italia) fama di economia di sprechi, molto indebitata e poco osservante degli impegni, in realtà il nostro Paese ha una spesa pubblica al netto degli interessi che in termini reali è rimasta quasi invariata tra il 2005 e il 2015 (una delle migliori performance tra i Paesi avanzati). Inoltre, l’Italia è uno dei Paesi più disciplinati nel rispettare le regole europee di finanza pubblica. Ad esempio, durante questi ultimi anni di crisi, già dal 2012, cioè ben prima di altri Paesi, il nostro deficit/Pil rispetta la regola del 3%. Nel lungo periodo, poi, sin dal 1992, l’Italia è sempre stata in avanzo statale primario con la sola eccezione del 2009: un record assoluto a livello mondiale. E, come sottolinea il citato documento del Mef, nel periodo 2009-2015 l’avanzo statale primario dell’Italia è stato mediamente il più alto nella Ue”. Continua

E’ sgradevole per noi toscani trovarci sulle prime pagine dei giornali solo per notizie catastrofiche come sta accadendo da qualche tempo.

Epidemie, fallimenti finanziari, ormai ci manca solo la pioggia di fuoco e l’invasione di cavallette (quella di cinghiali l’abbiamo già e per quella dei lupi, nelle campagne maremmane e sull’Appennino, ci stiamo attrezzando).

C’è un susseguirsi di sciagure diverse che vede il suo epicentro proprio in Toscana. E per chi – come me – ha sempre pensato di vivere nella terra più bella del mondo, è scioccante scoprire di essere nel cratere della sfiga nazionale. Continua

E’ ufficiale. Dante ebbe quattro figli: insieme a Pietro, Iacopo e Antonia vi fu Giovanni. Di lui si parlava da un secolo, da quando cioè saltò fuori il suo nome in un documento del 1308, ma gli studiosi erano incerti. Si ipotizzò pure che si trattasse di un figlio illegittimo. Adesso invece si scopre che il poeta ebbe davvero, dalla moglie Gemma, un quarto figlio, di nome Giovanni.

La scoperta è stata acclarata grazie a un nuovo documento del 1314 scoperto nel 1972 da Renato Piattoli all’Archivio di Stato di Firenze e solo oggi pubblicato nel nuovo “Codice Diplomatico Dantesco” (Salerno) curato da Teresa De Robertis, Giuliano Milani, Laura Regnicoli e Stefano Zamponi.

Il documento mostra Giovanni Alighieri, il 20 maggio 1314, presso un notaio fiorentino, nell’atto di stipulare un contratto relativo alle terre di proprietà del padre a Pagnole (Pontassieve). Dunque Giovanni si prendeva cura degli affari di famiglia, cosa assai delicata visto che Dante era stato colpito da condanna ed era stato messo al bando.

UNA DANZA IN PARADISO

L’arrivo di Giovanni fra i figli dell’Alighieri ha indotto a rileggere con una certa curiosità il Canto XXV del Paradiso, perché i tre apostoli che lì danzano e cantano intorno a Beatrice e a Dante sono Pietro, Giacomo e Giovanni.

Laura Regnicoli, una delle curatrici del “Codice Diplomatico”, in una intervista nota che i tre apostoli hanno proprio gli stessi nomi dei tre figli (Pietro, Iacopo e Giovanni): “come i santi del ‘girotondo’ del canto, una bella suggestione”. Continua

Beppe Grillo per gli auguri natalizi ha rilanciato un vecchio articolo di Goffredo Parise del 1974, intitolato “Il rimedio è la povertà”, ed è stato rimbeccato da Giuseppe De Rita che ha notato come “i cantori della povertà non sono mai poveri”.

In effetti le cronache mondane di Dagospia non ci mostrano un Grillo col saio che mangia pane secco, ma un paffuto signore nella villa sul mare o sullo yacht ancorato in Costa Smeralda.

Buon per lui, ma non sembra il miglior testimonial dell’idea di “decrescita felice” di Serge Latouche, anche perché la decrescita l’abbiamo avuta davvero in questi anni e gli italiani hanno verificato che non è per nulla felice.

E’ anche una gaffe politica quella di Grillo, considerato che il M5S oggi fa il pieno di consensi proprio fra i giovani e gli arrabbiati che sono rimasti vittime del crollo del Pil in questi anni di crisi. Del resto questo pontificare di povertà dallo yacht fa tornare in mente un tornante grottesco della storia italiana: gli anni Settanta. Continua

I “Dubia” dei cardinali (vedi QUI), che – in un modo o nell’altro – sono stati legittimati da diversi altri importanti porporati (vedi QUI ), sono un gesto di grandissima CARITA’, verso il papa argentino e verso tutta la Chiesa.
Purtroppo però l’ostinato rifiuto bergogliano di CHIARIRE qual è la dottrina autentica su questioni così gravi e delicate di fatto delegittima lo stesso suo ministero, perché la funzione fondamentale del vescovo di Roma è proprio quella di dire la parola chiara e definitiva sulla dottrina della Chiesa.
Per questo, dopo settimane di rabbiose invettive bergogliane, nelle omelie di Santa Marta e dintorni, ora pare che il vescovo di Roma si senta nell’angolo (dove si è messo da solo). Soprattutto non sa che pesci pigliare da quando il card. Burke ha prospettato la possibilità di una “correzione formale” nei suoi confronti da parte dei cardinali (per il bene superiore delle anime che è la legge suprema della Chiesa). QUI
Così, dopo quella dichiarazione del card. Burke che prospetta il naturale sviluppo dei “Dubia” in mancanza di risposte bergogliane, è cominciata la strategia papale che punta a DIVIDERE i cardinali dei Dubia e ISOLARE il card. Burke. Continua

Di tutti i luoghi dove si soffre per la guerra, nel discorso di Natale Bergoglio ha deciso di dare particolare spazio – con toni cupissimi – ad Aleppo che invece, in queste ore, è finalmente nella gioia per la sua definitiva liberazione.

E’ curioso che – parlando di guerre – invece di citare, come esempio di sofferenza dei bambini, i crimini di guerra nello Yemen QUI o il caso di Mosul, dove l’esercito iracheno, con l’appoggio degli Usa, sta ancora cercando di liberare con i bombardamenti la città dai terroristi, abbia voluto citare invece Aleppo, dove, grazie al cielo, la liberazione è già avvenuta (ad opera del governo siriano appoggiato dai russi). Continua

L’altroieri, nell’editoriale di “Avvenire”, giornale dei vescovi, Enzo Bianchi assicurava che i terroristi di Berlino non ce l’avevano con il Natale cristiano:

“A Berlino la calamita per l’ attentatore non è stato il Natale in sé, ma la sua commercializzazione diffusa: non certo la celebrazione del mistero cristiano dell’incarnazione, bensì la sua riduzione – sovente lamentata anche dagli stessi cristiani – a gioioso mercato di doni e di regali, di profitti e di buoni sentimenti a basso prezzo”.

Ma è proprio sicuro il Bianchi che i terroristi, pianificando la strage, abbiano distinto (come fini intellettuali) il cosiddetto “Natale consumistico” (da esecrare e colpire) dalla “celebrazione del mistero cristiano dell’incarnazione” che invece loro rispetterebbero?

Ed è sensato fare una simile distinzione di fronte a un massacro tanto crudele e demenziale?

Peraltro è assurdo pensare che un semplice mercatino di Natale, con normali bancarelle dove si comprano cosucce a pochi euro, possa essere considerato un simbolo di consumismo.

Ma il tormentone clericale (e pure laico) contro i regali ci viene inflitto da tempo ed è ormai insopportabile il moralismo che ogni anno, sui giornali o nelle chiese, lancia invettive contro il presunto “Natale consumistico”, di cui oltretutto – e purtroppo – non si vede traccia, considerate la crisi e le ristrettezze delle famiglie italiane. Magari avessimo un Natale consumistico. Continua

C’è chi lo ha definito Grande Orecchiante per il modo in cui tratta temi filosofici, storici e teologici su “Repubblica”. Eugenio Scalfari ci delizia da anni con le sue fantasiose sparate e continua instancabilmente, nonostante l’età.

Domenica scorsa, per esempio, nel suo editoriale sul giornale da lui fondato, ha confuso l’Immacolata Concezione (che abbiamo festeggiato l’8 dicembre) con “l’Assunzione al cielo di Maria” (forse voleva menzionare anche tale “assunzione” fra i meriti del Jobs Act renziano).

Sabato, poi, Scalfari in un nuovo editoriale su “Repubblica” dedicato agli 80 anni del papa, ha lanciato un altro dei suoi caratteristici scoop teologici: “gli apostoli all’ultima cena erano tredici”. Continua

“Io ho allergia degli adulatori” ha detto di recente papa Bergoglio intervistato da Tv2000, aggiungendo che preferisce i suoi critici e addirittura i detrattori agli adulatori. Ha spiegato: “noi, a Buenos Aires, li chiamiamo ‘lecca calze’ e la figura è proprio di quello che lecca le calze dell’altro”.

Parole molto eloquenti. Resta da capire se il pontefice argentino, in questi quattro anni, ha fatto qualcosa per allontanare da sé le (tante) adulazioni. I suoi 80 anni (oggi) indurranno tutti i media alle solite celebrazioni (vedremo quanto adulatrici), ma produrranno anche bilanci e sono stavolta bilanci di fine stagione. Continua