Quando muore un amico carissimo, con cui hai condiviso la vita, gli ideali, l’impegno e soprattutto il senso dell’esistenza resti attonito, ammutolito, pensi a lui, alla sua famiglia, ai tanti amici e ai tanti ricordi, a tutte le cose che avremmo voluto fare ancora…

Se poi questo dolore si rinnova nel giro di pochissimo tempo per la morte di altri amici carissimi non trovi più le parole. Sembra che Dio stia chiedendo ai suoi in questo momento storico un sacrificio totale…

Allora ho riletto queste parole, quelle che papa Benedetto XVI disse ai funerali di Manuela Camagni, una delle Memores Domini che faceva parte della sua casa, che improvvisamente morì per un incidente.

Io la ricordo con affetto infinito perché fu proprio lei che il 12 settembre 2009 parlò al papa di quello che stava accadendo, in quelle ore tragiche, alla mia Caterina…

Le parole che papa Benedetto ha detto per Manuela sono così consolanti:

“(…) Il distacco da lei, così improvviso, e anche il modo in cui ci è stata tolta, ci hanno dato un grande dolore, che solo la fede può consolare.

Molto sostegno trovo nel pensare alle parole che sono il nome della sua comunità: Memores Domini. Meditando su queste parole, sul loro significato, trovo un senso di pace, perché esse richiamano ad una relazione profonda che è più forte della morte. Memores Domini vuol dire: “che ricordano il Signore”, cioè persone che vivono nella memoria di Dio e di Gesù, e in questa memoria quotidiana, piena di fede e d’amore, trovano il senso di ogni cosa, delle piccole azioni come delle grandi scelte, del lavoro, dello studio, della fraternità.

La memoria del Signore riempie il cuore di una gioia profonda, come dice un antico inno della Chiesa: “Jesu dulcis memoria, dans vera cordis gaudia” [Gesù dolce memoria, che dà la vera gioia del cuore].

Ecco, per questo mi dà pace pensare che Manuela è una Memor Domini, una persona che vive nella memoria del Signore. Questa relazione con Lui è più profonda dell’abisso della morte. E’ un legame che nulla e nessuno può spezzare, come dice san Paolo: “[Nulla] potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39).

Sì, se noi ricordiamo il Signore, è perché Lui, prima ancora, si ricorda di noi. Noi siamo memores Domini perché Lui è Memor nostri, ci ricorda con l’amore di un Genitore, di un Fratello, di un Amico, anche nel momento della morte. Sebbene a volte possa sembrare che in quel momento Lui sia assente, che si dimentichi di noi, in realtà noi siamo sempre presenti a Lui, siamo nel suo cuore. Ovunque possiamo cadere, cadiamo nelle sue mani. Proprio là, dove nessuno può accompagnarci, ci aspetta Dio: la nostra Vita”.

Sappiamo che lì, dov’è Gesù, ritroveremo tutti i nostri amici e sarà una grande festa, senza fine e senza più il dolore e la morte…

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“In principio era il Verbo, alla fine le chiacchiere”. L’aforisma di Stanislaw Lec sembra adatto al Sinodo appena iniziato che è stato definito “il Concilio di Francesco”.

Basti dire che quello cominciato il 10 ottobre a Roma e ieri, in tutte le diocesi cattoliche del mondo, è un Sinodo sulla “sinodalità”. Un tema che sembra un cortocircuito, soprattutto se si pensa che papa Bergoglio, fin dall’inizio, ha (giustamente) tuonato contro la Chiesa “autoreferenziale”, cioè la Chiesa che si occupa di se stessa.

Adesso proprio lui ha deciso un Sinodo sul Sinodo che “si articolerà in tre fasi, tra l’ottobre del 2021 e l’ottobre del 2023, passando per una fase diocesana e una continentale, che daranno vita a due differenti Instrumentum Laboris, fino a quella conclusiva a livello di Chiesa Universale”.

E non è finita, perché tale Sinodo universale – che abbraccia tre anni – si interseca con l’esplosivo Sinodo della Chiesa tedesca e con il cammino sinodale della Chiesa italiana, che è cominciato a maggio e si concluderà nel 2025, nonché con i Sinodi locali che sono iniziati in diverse importanti diocesi.

Davanti alla montagna di documenti che saranno partoriti da tutte queste chiacchiere sinodali potremmo dire – restando al Prologo del Vangelo di Giovanni – “e il Verbo si fece carta”.

Ma, fra tanta carta, cosa resterà del Verbo? Dove gli uomini del XXI secolo troveranno concretamente il consolante abbraccio del Figlio di Dio, il vero Samaritano che comprende, sostiene, guarisce le ferite e salva? A quale angolo di strada si trova la compassione di Dio? A quale indirizzo reale si può incontrare? Con quale volto? Continua

Il nostro popolo deve far memoria della tragedia vissuta con la pandemia. Fra l’altro proprio in questa dura prova si sono riscoperti valori come la fraternità, l’eroismo, la compassione, un patrimonio da non disperdere oggi con divisioni, conflitti e settarismi insensati alimentati dauna piccola minoranza.

Gli italiani non dimenticano anche perché quella tragedia è tuttora in corso e deve essere definitivamente superata.

Non dimenticano mesi e mesi di bollettini di guerra, con 600 morti al giorno, migliaia di contagiati e ricoverati negli ospedali che scoppiavano, mentre tutti eravamo reclusi in casa e il Paese era paralizzato. Continua

I (NON) FONDATORI

Francesco Agnoli, nel libro “Alcide Degasperi. Vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre” (Cantagalli) spiega finalmente cosa intendeva davvero per Europa lo statista trentino.

Oggi, infatti, gli entusiasti dell’attuale Unione europea, usano ripetere i nomi di Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman, come i “padri fondatori” della UE.

In realtà questi statisti (morti rispettivamente nel 1954, nel 1967 e nel 1963), non hanno affatto fondato

l’Unione Europea, istituita a Maastricht nel 1992, la quale è diversa pure dalla Comunità economica europea nata nel 1957 con il Trattato di Roma. Diversa per gli stati che la compongono, per ciò che dicono i Trattati istitutivi, per le finalità e per l’ideologia su cui è basata.

Agnoli sostiene che De Gasperi – come Schuman e Adenauer – aveva una concezione anzitutto “spirituale” dell’Europa, legata all’identità e alla storia cristiana dei suoi popoli. Ben diversa dunque dalla UE tecnocratica e laicista di oggi. Continua

“Che implicazioni ha la svolta autoritaria dello stato italiano? Tutto va secondo le procedure della democrazia, e alla fine ci sarà la ratifica parlamentare, esiste la libertà di stampa e di critica, ma bisogna dirlo: la sostanza è quella di una democrazia illiberale”.

Chi ha scritto queste cose a proposito del Green pass? Giorgio Agamben? Massimo Cacciari? Carlo Freccero? No. L’ultragovernista Giuliano Ferrara. Ha esagerato col paradosso. Ovviamente il Green pass può essere criticato, ma non è certo la morte della “democrazia liberale”.

In questi giorni pure Giorgio Agamben è tornato sull’argomento, in audizione al Senato, arrivando a dire: E’ possibile che cittadini di una società che si pretende democratica si trovino in una situazione peggiore di quelli dell’Unione Sovietica di Stalin?” Un pensiero assurdo. Evidentemente si ignora cosa era il comunismo staliniano. Continua

NOBEL E NOVAX

Festeggiando il premio Nobel per la Fisica all’italiano Giorgio Parisi è utile ricordare oggi – alla luce dell’attuale pandemia – un passo della sua allocuzione inaugurale dell’Anno accademico 2018-2019 all’Accademia dei Lincei di cui era presidente: “ci sono forti tendenze antiscientifichenella società attuale, il prestigio della Scienza e la fiducia in essa stanno diminuendo velocementele pratiche astrologiche, omeopatiche e Continua

Il risultato delle elezioni del 3-4 ottobre per il Centrodestra forse non è una Caporetto, ma di sicuro è un fortissimo segnale di allarme.

Prima di vedere le ragioni dell’allarme però va detto che tale risultato, pur avendo anche un significato generale e alcune conseguenze nei palazzi della politica, non può essere proiettato automaticamente, con le sue percentuali, su scala nazionale.

Anzitutto perché le amministrative riflettono sempre uno scenario locale, ma soprattutto perché – là dove si votava – si è presentato ai seggi solo il 54,7 per cento degli aventi diritto. Continua

Un grande della diplomazia internazionale, Henry Kissinger, disse: “Per capire Putin, si deve leggere Dostoevskij”. Così anche Alejandro Jimenez sulla Harvard Political Review: “Per capire veramente Putin dobbiamo rivolgerci agli scritti di Fëdor Dostoevskij”.

Dunque oggi, nel bicentenario della nascita dello scrittore russo, ci si deve interrogare anche su quale sia il segreto della Russia di Putin che in Dostoevskij è espresso così genialmente.

Può aiutare il Fëdor Dostoevskij scritto da Vladimir Solovev e pubblicato in questi giorni da Cantagalli (sarà presentato il 5 ottobre in Vaticano, presenti il Segretario di Stato card. Parolin e il Metropolita Hilarion, Presidente del Dipartimento  relazioni esterne  del Patriarcato di Mosca). Continua

OMBRE ROSSE

La tragedia del Covid 19 (di cui tuttora non è stata chiarita l’origine) è solo un esempio di quanto è pericoloso per il mondo un totalitarismo comunista come quello cinese.

Si comincia a capirlo. Il recente caso dei sottomarini e dell’alleanza anti-Cina, fra Usa, Gran Bretagna e Australia, ha fatto parlare infatti di nuova guerra fredda.

Contro tale prospettiva è andato il convegno “Occidente e Cina: dialogo e collaborazione tra XX e XXI secolo”, aperto (non a caso) da un messaggio del ministro degli esteri Luigi Di Maio e da un altro messaggio del Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin. Entrambi dialoganti col regime cinese. Continua