A un mese dalle elezioni europee il fanatismo UE si trova a fare i conti con un dramma imprevisto: sta sprofondando l’Unione Europea (da non confondersi con l’Europa, che è tutt’altra cosa). Le urne elettorali possono diventare funerarie.

A lungo ci hanno ripetuto che la Ue è il futuro. Ora scoprono, sbalorditi, che sta diventando il passato. Emblematici due editoriali, usciti ieri sulla “Stampa”  e sul “Sole 24 ore”, firmati da due entusiasti cantori della Ue.

Maurizio Molinari, che della “Stampa” è anche direttore, fotografa “L’Europa nella morsa dei rivali”. Spiega che la Ue sta subendo un pesante attacco da un fronte interno e da un fronte esterno. 

Il fronte interno è rappresentato dai soliti sovranisticattivi i quali “cavalcano lo scontento della classe media”, dovuto alla crisi economica e ai migranti. 

Molinari non si chiede perché tutti individuano “nell’Unione Europea il responsabile di ogni male”, altrimenti dovrebbe riconoscere che proprio la politica economica di Maastricht e l’euro sono responsabili dell’impoverimento delle classi medie e del peggioramento della “performance economica” dei paesi Ue rispetto al resto dell’economia mondiale.

Poi l’editorialista spiega che c’è pure il fronte esterno: la Ue viene stritolata dall’“accesa rivalità fra Cina Russia e Stati Uniti”, un processo che sta mettendo “fine alla stagione della globalizzazione  iniziata con il crollo del Muro di Berlino”. Cosicché l’Unione Europea è “il protagonista più debole e vulnerabile di questo momento di veloce trasformazione storica”.

Molinari non dice che così, di fatto, stanno venendo meno tutte le basi geopolitiche della nascita della UE a Maastricht

Infatti l’artificiale follia tecnocratica di Maastricht fu resa possibile nel 1992  dall’appoggio degli Stati Uniti che lanciavano la grande globalizzazione (che doveva trasformare il mondo in un unico mercato), dal disfacimento dell’Urss (con la neonata Federazione russa che arrancava per non annegare) e dalla Cina ammessa nel commercio mondiale perché vista come straordinaria fornace di prodotti a basso costo e domani come grande mercato.

Oggi lo scenario geopolitico è capovolto. La presidenza Trump è contro la UEe fa la guerra dei dazi specie alla Germania per il suo gigantesco surplus nelle esportazioni (come pure alla Cina); la Russia  con Putin è tornata ad essere una forte protagonista e la Cina non è più un paese sottosviluppato da “sfruttare”, ma una gigantesca potenza che è lanciata alla conquista del mondo.

Infine l’asse franco-tedesco su cui era costruita la Ue si è dissolto per le colossali difficoltà interne di Macron, che non riesce più a tenere un Paese in rivolta sociale, e per il progressivo ripiegamento nazionalista della Germania.

Su questa svolta tedesca ieri rifletteva, desolato, l’altro cantore della UE, Sergio Fabbrini. Il quale, sul “Sole 24 ore” ha elencato una serie di clamorosi gesti della Cdu e della Merkel  (schiaffi alla Francia – a proposito del suo seggio permanente al Consiglio di sicurezza Onu – e mano tesa ai britannici sulla Brexit e a Orban nel Ppe) i quali fanno sospettare che “la Germania abbia smarrito la propria vocazione europeista”.

Fabbrini ritiene che non sia possibile una radicale svolta sovranista, perché – parole sue – “la Germania continua ad essere il Paese che ha più beneficiato della moneta unica, che ha più massimizzato i vantaggi dei mercati aperti”.

Ma questo è stato vero fino ad oggi e Fabbrini non considera il presente: le gravi crepe dell’economia tedesca che si evidenziano negli ultimi brutti dati sulla produzione industriale e ancor più nella “situazione drammatica del settore bancario tedesco” (Nicola Porro) che pure era stato trattato con i guanti di velluto (a differenza di quello italiano).

Dunque, mentre Robert Kagan prospetta un nuovo nazionalismo tedesco, volano gli stracci tra Parigi e Berlino. 

Maurizio Ferrera, nell’editoriale del “Corriere della sera” di ieri, c’informa che Macron “ha lanciato alcune pesanti accuse alla Germania: risponde sempre di no, eppure è il Paese che ha tratto maggiori vantaggi dall’euro. E, soprattutto,persegue un modello di crescita che è ormai chiaramente contrario all’interesse europeo”.

Così l’UE tecnocratica di Maastrcht è in frantumi. Cosa resta?Resterebbe l’Europa delle cattedrali, la vera Europa millenaria, ma, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia venerdì sul “Corriere”, è proprio quell’Europa delle identità e delle radici cristiane che le tecnocrazie della Ue hanno rinnegato.

A ritrovare e ricostruire quell’Europa dei popoli potrebbero essere proprio i cattivi sovranisti. Infatti, diversamente da quanto scrive Molinari, il sovranismo  (almeno quello italiano) non vuole affatto “smantellare l’edificio dei Trattati di Roma” (che nel 1957 istituirono la Comunità economica europea), ma semmai smontare il Trattato di Maastricht del 1992, quello a cui si deve l’euro e l’affossamento economico dei paesi europei (a cominciare dall’Italia). Si tratta insomma di tornare alla vera Europa.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 29 aprile 2019

Questo è il tempo dell’antagonismo fra democrazia e aristocrazie. Dopo i guasti immensi della globalizzazione, in Europa e in America, con cui il Mercato (o il “mercatismo” come dice Tremonti), dagli anni Novanta ha dettato legge e ci ha portato alla crisi del 2007-2008 (e al disastro delle migrazioni di massa), i popoli (impoveriti)  cercano – col voto – di difendersi e darsi governi rappresentativi dei propri interessi.

Ovvio che le élite, vecchie classi dirigenti, soprattutto degli apparati tecnocratici pubblici e del mondo economico, non intendano mollare la presa sul potere politico. 

Nasce da qui la ricorrente delegittimazione del suffragio universale nei salotti del potere e sui media, insieme alla costante apologia dei “competenti” (i cui “successi” paghiamo salatamente).

Abbiamo visto negli Stati Uniti cosa significa vincere col voto degli elettori contro le aristocrazie: Trump, pur avendo superato il Russiagate, è ancora alle prese con un Deep State che è sempre una grossa zavorra per l’azione di governo.

Anche in Gran Bretagna si cerca in tutti i modi di annacquare o perfino di rovesciare il risultato del voto popolare nel referendum sulla Brexit.

Una conferma arriva pure dalla Francia dove – imparata la lezione – l’aristocrazia è corsa ai ripari anticipando la disfatta dei socialisti nelle urne e costruendo un suo candidato trasversale che ha facilmente prevalso sulla Le Pen, ma che resta un presidente di minoranza, non rappresentativo del Paese, come dimostra la sollevazione popolare in corso.

Il caso francese – peraltro – dovrebbe insegnare a Salvini e alla Lega che si vince non schiacciandosi a destra, ma al centro, con una forza ecumenica e centrista, un “partito della nazione” come era la Dc.

Per l’Italia, dal 2018, la partita è complessa perché al governo sono andate due forze fra loro antagoniste, ma accomunate da una certa avversione alle élite.

Come affrontare la nuova situazione? La prima virulenta risposta delle élite è stata il bombardamento a tappeto da parte dei media  contro questo governo fin dalla sua gestazione: non si è mai visto nulla del genere nella storia italiana.  

Una volta nato il governo, con i sondaggi – e le elezioni amministrative in varie regioni – che hanno continuato a dare livelli altissimi di consenso per i due partiti (ma ribaltandone i rapporti di forza), l’establishment ha cominciato a cercare un modo per disarticolare la maggioranza e stabilire un dialogo con uno dei due “soci” di governo.

C’è stato un momento, all’inizio dell’anno, in cui hanno pensato, anche in Europa, di poter fare affidamento sullaLega. E’ stato quando il M5S ha preso le sue posizioni estreme sulla Tav, sul Venezuela, sul reddito di cittadinanza e poi ha voluto varare la “via della seta” cinese.

L’idea che la Lega – che fra l’altro veniva data dai sondaggi costantemente sopra al 30 per cento – fosse la parte della coalizione gialloverde con cui si poteva tentare un dialogo (perfino riconoscendole una leadership di governo col centrodestra, che ne annacquasse l’antieuropeismo) era rafforzata dalla buona amministrazione delle grandi regioni del Nord, dalla sua passata esperienza di governo, dalle sue posizioni realistiche e occidentali su Tav, Venezuela e “via della seta”.

Oggi, però, pare che le strategie si siano rovesciate: sembra che l’establishment stia puntando sul M5S con la prospettiva – secondo alcuni – di un nuovo governo tecnico, dopo le europee, magari guidato dall’attuale governatore della Bce, Mario Draghi, e appoggiato da PD, M5S e “volenterosi” vari.

Naturalmente non sarebbe un governo Pd-M5S, che al momento  tutti escludono, ma un governo tecnico che si renderebbe necessario per la solita emergenza spread  e per varare la finanziaria.

In realtà oggi tutti, giornali e partiti, parlano di elezioni certe in caso di crisi e si pubblicano sondaggi ottimi per la Lega, ma probabilmente Salvini sospetta che lo si voglia così spingere ad aprire la crisi di governo per poi rifilare all’Italia – appunto – un governo Draghi.

Resta da capire come e perché – anche a livello dell’establishment europeo – si è rovesciata la strategia preferendo puntare sul M5S piuttosto che sulla Lega?

Le ragioni sono tre. La prima è l’inconsistenza politico-ideologica del M5S, una nebulosa facilmente egemonizzabile e facilmente usabile dal “partito del mainstream”, in vista di un riassorbimento del suo elettorato da parte del PD.

La seconda è il cambio di passo del M5S dopo le batoste elettorali alle amministrative. A causa del ribaltamento di forza a favore della Lega, Luigi Di Maio ha cominciato a bombardare quotidianamente Salvini e contemporaneamente a lanciare segnali “di sinistra” verso il PD e segnali “europeisti” verso l’establishment della UE, arrivando addirittura a cercare un dialogo con il Ppe della Merkel.

La terza ragione sta in alcuni errori tattici e strategici della Lega di Salvini: la ricerca di alleanze europee a destra, episodi come il convegno di Verona che ha finito per essere un grosso boomerang per la Lega, lo spiazzamento dovuto ai quotidiani attacchi dell’“alleato” di governo che induce spesso i leghisti a risposte non ponderate o controproducenti. 

Prendiamo il caso del 25 aprile: invece di isolarsi la Lega poteva vivere questa festa come richiamo all’indipendenza nazionale e alla libertà, trattandosi di una giornata che celebra la liberazione del Paese dall’invasione tedesca e il ritorno alla democrazia. 

Anche sul caso Siri, al di là del merito della questione, sarebbe stata molto opportuna una mossa immediata dell’interessato che – facendosi  momentaneamente da parte – avrebbe evitato alla Lega di restare per settimane sulla graticola.

La sensazione è che la Lega si trovi ora sotto schiaffo  (sotto attacco quotidiano) e in una condizione di isolamento politico

Probabilmente subisce un coalizzarsi di avversari dovuto proprio al suo successo nelle urne e nei sondaggi. E probabilmente pure il risultato alle elezioni europee sarà molto buono (anche se è difficile credere a sondaggi troppo sopra al 30 per cento).

Resta però la sensazione che Salvini e la Lega abbiano il fiatone, manchino di una strategia a medio termine e rischino di vincere le europee in Italia, ma subito dopo perdano la centralità  nella partita del governo, magari proprio per l’avvento di un governo Draghi con M5S e Pd (anche le resistenze dei renziani a questo scenario verrebbero spazzate via di fronte alla solita tiritera dell’emergenza spread, del baratro finanziario e del richiamo al “senso di responsabilità”…).

La Lega ha dunque necessità di ridarsi una strategia. Anzitutto comprendendo che è velleitario (e anche sbagliato) illudersi di ribaltare gli attuali equilibri europei con forze di destra: più sensatamente una forza sovranista moderata può diventare determinante nella futura Commissione europea cercando un dialogo col Ppe, anche approfittando del rapporto, in Italia, con Forza Italia e con componenti del Ppe come il partito di Orban. 

In generale la Lega dovrebbe qualificarsi come forza di governo ragionevole e rassicurante, con il profilo del “partito della nazione” e una politica più ponderata e meno istintivamente legata alla velocità di reazione dei tweet. Basta con l’eccesso di social.

Il gruppo dirigente salviniano, a differenza del M5S, ha, al suo interno, personalità dotate di cultura politica ed economica. La Lega avrebbe tutto da guadagnare valorizzando il loro spessore.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 26 aprile 2019

C’è un’esilarante battuta nell’antologia delle “Formiche”. Un tizio, preoccupato per le sorti dell’umanità, dice: “Pensa, ogni volta che respiro muore un uomo”. E l’altro: “Hai provato a fare qualcosa per l’alito?”.

Torna d’attualità a proposito del recente manifesto del PD  che ha fatto scompisciare dal ridere l’Italia perché i famosi “competenti” del partito di Zingaretti hanno confuso l’anidride carbonica (CO2) con il cobalto (Co) scrivendo: “Zero emissioni di Co2 entro il 2050”.

Infatti in questo slogan – perfetto emblema di un partito di grandi intellettuali che è passato dal pensiero di Marx a quello di Greta – è contenuta una “rivelazione” ancora più grossa di quella sul cobalto, in quanto “zero emissioni” di anidride carbonica “entro il 2050” significa che entro quell’anno il PD ha intenzione di convincere sette miliardi di esseri umani, che oggi popolano il mondo, a smettere del tutto di respirare dal momento che ad ogni respiro –maledetti devastatori – consumano ossigeno ed emettono anidride carbonica. 

Si dovrà provvedere anche a convincere tutti gli alberi  del pianeta a suicidarsi in quanto finora, per vivere, si sono nutriti assorbendo enormi quantità di anidride carbonica… 

Adesso si spiega anche il senso dell’altro manifesto programmatico del Pd che sobriamente proclama il proposito di salvare la terra. Il partito di Zingaretti – che, com’è noto, ha già salvato l’Italia – ora dichiara l’intenzione di salvare il pianeta appunto con “zero emissioni” di anidride carbonica “entro il 2050”.

Per raggiungere tale modesto obiettivo – dopo aver convinto tutti gli esseri umani a non respirare e aver spazzato via tutte le piante dalla terra – il problema sarà persuadere i vulcani a non emettere più CO2, dal momento che questi screanzati, incuranti di Zingaretti, continuano a rilasciare ogni anno in atmosfera dai 130 ai 250 milioni di tonnellate di CO2 (e – detto per inciso – è proprio grazie a queste emissioni dei vulcani che sulla Terra poté svilupparsi la vita).

Inoltre, dopo aver fatto spegnere i vulcani o aver provveduto a tapparli con una colata di cemento armato, Zingaretti e compagni dovranno provvedere a convincere pure gli animali a non respirare

Anche loro infatti hanno l’infame vizio di emettere anidride carbonica e non va bene, perché così facendo distruggono il pianeta e sabotano il programma del partito (emissioni zero “entro il 2050”).

Il Pd – per conseguire il suo obiettivo – potrebbe varare un nuovo manifesto diretto a tutti i viventi (uomini, piante e animali) con questo slogan: “Non fate piangere Zingaretti (e Greta): smettete di respirare”. Quanti viventi vorranno dare un dispiacere al Pd e a Greta? Vedremo. 

Ma non basta. Per salvare il pianeta il Pd dovrà anche applicarsi al grave problema delle flatulenze bovineoltreché al meteorismo delle vacche.

In sostanza il PD dovrà convincere questi quadrupedi, e tutti gli altri che alleviamo in grande quantità, a non ruttare e a non emettere altri tipi di gas (come il metano, che aumenta l’effetto serra) dalla parte del corpo opposta alla bocca.

Com’è noto, infatti, molti e autorevoli studi e ricerche hanno dimostrato che “i gas ad effetto serra emessi dal bestiame” sono “responsabili di circa il 10% delle emissioni ad effetto serra globali”

Inoltre“hanno stimato” scriveva l’Ansa, che “le emissioni di gas serra dovute a 11 tipi di bestiame, relative a 237 nazioni e rilasciate nell’ultima metà del secolo… globalmente dal 1961 al 2010… sono aumentate del 51%.Il 74% delle emissioni mondiali è causato dai bovini”.

Il Pd potrebbe forse proporre di collocare una marmitta catalitica al deretano di ogni vacca, ma sono milioni di capi.  

Anche alla defecazione i bovini non sembrano disposti a rinunciare, a meno che Zingaretti e compagni non intendano otturare il loro posteriore con tappi di sughero o altro materiale. 

In effetti il Pd dovrà impegnarsi molto su questo problema perché – come scriveva “Il Sole 24 ore”, riportando una ricerca dell’Università di Boulder, nel Colorado – “gli escrementi delle mucche, e non solo, potrebbero essere responsabili del peggioramento della qualità dell’aria attraverso queste sostanze (ammoniaca e altri composti dell’azoto) quanto le automobili, se non addirittura di più, come scrive il sito di ‘Science’, riprendendo i dati pubblicati da ‘Geophisical Research Letters’ ”.

Riusciranno i nostri Supereroi – Zingaretti e compagni – a salvare il pianeta? Riusciranno a salvare l’umanità?

Per il momento sembra che l’obiettivo in cui sono più strenuamente impegnati sia la salvezza del loro stesso partito che ha perso disastrosamente tutte le elezioni regionali di questi mesi e – stando ai sondaggi – è messo molto male. 

I bovini, per ora, possono tirare un respiro di sollievo (ma solo un respiro, mi raccomando).

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 21 aprile 2019 

Ma almeno nella Settimana Santa potrebbero parlarci di Gesù Cristo? O chiediamo troppo al Vaticano e a Bergoglio?

Non so se oltretevere ci siano ancora cattolici (a parte Benedetto XVI e pochi altri), ma in fin dei conti la ragion d’essere della Chiesa è solo questa e la gente comune ha un desiderio infinito di ascoltare uomini di Dio che parlano di Gesù, del senso della vita e dell’eternità. 

Per discettare di clima e ambiente c’è già Greta Thunberg con i suoi seguaci, non c’è bisogno di Bergoglio che, se ci credesse, metterebbe in guardia dalle fiamme dell’Inferno più che dal riscaldamento globale

Possibile che nella Chiesa sia stata completamente spazzata via la Passione di Cristo che si consegna al massacro per amore nostro, che “si svenerà per voi” come recita un antico canto polifonico, e che risorge, sconfiggendo il male e la morte, aprendo così agli uomini la vita eterna? Quante volte sentite Bergoglio parlare di resurrezione, di eternità, di Inferno, Purgatorio e Paradiso?

Da quando è iniziata la sua stravagante epoca sudamericana (alla messa d’inaugurazione parlò di ambiente), Gesù è diventato il Grande Misconosciuto, ma ancora di più il silenzio assoluto ha riguardato la vita eterna e il mistero di Dio.

Gesù viene ancora, saltuariamente, rammentato, ma solo come pretesto per parlare di migranti. A Natale ci hanno raccontato che Gesù era migrante (anche se non è affatto vero), così – invece della nascita del Figlio di Dio – sono stati celebrati i barconi.

Nella Settimana Santa ecco di nuovo il pretesto della Passione di Cristo per parlare – come al solito – di migranti. Il card. Bassetti, bergogliano presidente della Cei, perfino nella liturgia del giovedì santo ha voluto ripetere le solite baggianate farlocche (“I migranti non sono un problema, sono una risorsa”).

Nella Via Crucis del Colosseo, quella con la presenza di Bergoglio, c’informa “Repubblica”, le diverse “meditazioni contestano porti chiusi e lager dei migranti”.

È chiaro che nella Passione di Cristo è compreso tutto il dolore degli uomini, ma anzitutto, almeno di Venerdì Santo, si dovrebbe parlare di lui, perché per parlare di migranti Bergoglio usa già gli altri 364 giorni dell’anno.

Se poi vogliamo proprio parlare di atrocità ci sarebbero le sofferenze dei cristiani perseguitati che però il Vaticano di Bergoglio non ama considerare perché i persecutori sono spesso i regimi dei “fratelli” islamici o quelli comunisti come la Cina che Bergoglio vuole compiacere ad ogni costo (gli ha praticamente consegnato la Chiesa cinese).

Oppure ci sarebbe da parlare dell’attacco alla vita, a cominciare da quella dei “non nati” (molti milioni ogni anno), ma questo non è un tema politicamente corretto, quindi il Vaticano se ne guarda.

D’altronde la questione migranti è del tutto fuori tempo, perché oggi – chi ha a cuore la loro vita – dovrebbe solo rallegrarsi per la fine delle stragi in mare. Tuttavia non lo fa per non riconoscere i meriti del ministro dell’Interno.

La Chiesa africana considera una sciagura  la partenza di tante energie giovani verso l’Europa. Come ha spiegato il card. Robert Sarah, africano: La Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massaSe l’Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio – a causa della denatalità – che esso scompaia, invaso dagli stranieri, come Roma fu invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo”.

Il cardinale ha anche aggiunto:Come un albero, ciascuno ha il suo suolo, il suo ambiente in cui può crescere perfettamente. Meglio aiutare le persone a realizzarsi nelle loro culture piuttosto che incoraggiarle a venire in un’Europa in piena decadenza. È una falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la migrazione. Dio non ha mai voluto questi strappi”.

Proprio il card. Sarah, grande uomo di Dio, ha spiegato mille volte che la più grande carità verso gli uomini è donare loro Dio, l’annuncio cristiano, ed è questo il compito della Chiesa.

Ma la chiesa progressista ha accantonato Dio e si occupa solo di politica, schiacciata sui temi della Sinistra. Bergoglio è in campagna elettorale permanente

Sui giornali clericali sono spariti i “principi non negoziabili” e la politica “progressista” dilaga. Il giovedì santo, sulla prima pagina di “Avvenire”, giornale della Cei, campeggiava una grande pubblicità dell’ultimo libro del gesuita padre Bartolomeo Sorge (è tornato anche lui in questo revival degli anni Settanta). S’intitola: “Perché il populismo fa male al popolo”.

Capito? Mica spiega che il laicismo  o il relativismo fanno male al popolo, mica ci mette in guardia dal politically correct, mica tuona contro l’islamismo o contro il comunismo  (c’è ancora, nella Cina che sta conquistando il mondo). 

No, il pericolo pubblico è rappresentato dal fantomatico “populismo”. Sono ancora fermi alla copertina di “Famiglia cristiana” con Salvini nei panni del diavolo.

La cancellazione di Dio dalla scena pubblica, di cui ha drammaticamente parlato Benedetto XVI nel suo ultimo intervento, sta avvenendo anzitutto ad opera di coloro che – per mestiere, se non per missione – dovrebbero parlare al mondo di Cristo e dell’eternità.

Lo ha detto con dolore lo stesso papa Benedetto: “Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio… Dio è divenuto fatto privato di una minoranza”.

Eppure gli uomini hanno uno struggente bisogno di ritrovare il senso della vita, di vedere una salvezza e guardano alla Chiesa come nei giorni scorsi, commossi, durante l’incendio della grande cattedrale di Notre Dame. 

C’è fame e sete di Dio, ma chi dovrebbe sfamare e dissetare l’umanità è tarantolato dalla politica, dal fanatismo ambientalista e migrazionista e ha dimenticato Dio.

Eppure nulla come il volto di Cristo arriva al cuore. Come scriveva George Bernanos“Verrà un giorno in cui gli uomini non potranno pronunciare il nome di Gesù senza piangere”

Siamo molto vicini a quel giorno.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 20 aprile 2019

La cattedrale di Notre Dame  è il “punto zero” da dove, in Francia, si dipanano tutte le strade e si misurano tutte le distanze. E’ il punto di riferimento fisico della nazione. Il suo cuore. 

L’incendio che ha devastato Notre Dame, proprio all’inizio della Settimana Santa, sembra anche la tragica metafora dell’agonia che sta vivendo la Chiesa in questo tempo (non solo in Francia, ma a Roma e dovunque).

Mai come quest’anno la Passione di Cristo contiene anche la Passione della Chiesa. Il giovedì santo dell’angoscia, del tradimento, della paura e dello smarrimento. Il venerdì santo della “morte di Dio” e il sabato santo, giorno del “silenzio di Dio”, che sembra mostrare la vittoria definitiva della notte e del male.

Il più stretto collaboratore di Benedetto XVI, mons. Georg Gänswein , di recente ha dichiarato che la Chiesa sta vivendo il suo 11 settembre : il crollo della guglia di Notre Dame lo ha quasi plasticamente rappresentato. 

L’11 settembre è una metafora laica per dire che la Chiesa vive la stessa settimana di Passione del suo Signore.

Il testo che Benedetto XVI ha pubblicato la settimana scorsa dispiega davanti a noi la tragica situazione: il collasso della Chiesa e un mondo che celebra la “morte di Dio”

Però – dice papa Benedetto – “un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso… non vi sarebbero più criteri del bene e del male… avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene l’unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste”.

Nello sgomento generale per il crollo di Notre Dame, inconsciamente, anche negli animi laici, si agita questa inquietudine: un mondo senza la bellezza e senza la verità è un mondo disumano.

Nella conferenza citata, mons. Gänswein diceva testualmente: “È dunque veramente una vera crisi degli ultimi tempi quella nella quale la Chiesa cattolica si trova immersa ormai da tempo”.Poi accennava al “vedere l’abominio della desolazione stare nel luogo santo ” e aggiungeva: 

“In questa sensazione evidentemente non sono solo. In maggio, infatti, anche Willem Jacobus Eijk, cardinale arcivescovo di Utrecht, ha ammesso che, guardando all’attuale crisi, pensa alla ‘prova finale che dovrà attraversare la Chiesa’ prima della venuta di Cristo  – descritta dal paragrafo 675 del Catechismo della Chiesa Cattolica – e che scuoterà la fede di molti credenti’.  ‘La persecuzione – continua il Catechismo – che accompagna il pellegrinaggio della Chiesa sulla terra svelerà il ‘mistero di iniquità’.”

In effetti questo “mysterium iniquitatis” che si sta dipanando adesso davanti ai nostri occhi era stato predetto e si trova nel Catechismo perché proviene non dalle rivelazioni private (le varie apparizioni), ma proprio dalla rivelazione pubblica contenuta nella Sacra Scrittura. E’ dunque verità certa per i cristiani.

Il Catechismo  – citato clamorosamente da questi due uomini molto vicini a Benedetto XVI (il cardinale Eijk e mons. Gänswein) – ha un capitolo che s’intitola “L’ultima prova della Chiesa”.

Vi si legge che

prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti.La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il ‘mistero di iniquità’ sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne

Poi il Catechismo (alludendo alle varie ideologie politiche del Novecento, ma pure a quelle attuali, scientiste e economiche) spiega che “questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica” con i mezzi umani.

Ed ecco infine le parole decisive: “La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione”. 

Dunque la Chiesa è destinata a rivivere la stessa Passione di Cristo e oggi sembra proprio quel tempo.

Nella teologia della storia cattolica l’evento di Cristo è la rivelazione definitivanon esiste un’“epoca postcristiana” a cui adeguarsi cambiando la fede, come oggi molti, anche in Vaticano, vanno sostenendo. 

Scriveva il card. Daniélou“non vi è nulla al di là del cristianesimo” perché Cristo è il fine di tutto e con la sua Ascensione “la fine delle cose è raggiunta”. Perciò la fede cristiana non può mai essere la “fede nel progresso” mondano: è spazzata via all’origine ogni ideologia progressista e cattoprogressista.

Ciò che invece è predetta è l’epoca della “grande apostasia”, l’epoca della battaglia definitiva scatenata contro Cristo da “una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi , al prezzo dell’apostasiadalla verità”.

Accade oggi? Molti fatti lo fanno pensare. Dice il Catechismo: “Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male”.

Qual è questa vittoria di Dio? La croce di Cristo, risponde Benedetto XVI (anche) nel suo testo recente, dove infatti  oppone al male e al peccato, che ormai invadono anche la Chiesa, la testimonianza dei martiri 

La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri e così testimone del Dio vivente… c’è la Chiesa santa che è indistruttibile. Anche oggi ci sono molti uomini che umilmente credono, soffrono e amano e nei quali si mostra a noi il vero Dio, il Dio che ama . Anche oggi Dio ha i suoi testimoni (martyres)  nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli.

Questa Chiesa dei testimoni e dei martiri, dice il papa, è indistruttibile. E ha avuto una rappresentazione commovente proprio davanti a Notre Dame  lunedì sera, quando una folla addolorata di cristiani, in ginocchio e in lacrime, ha intonato le preghiere e i canti della Chiesa.

Ieri mattina i pompieri sono entrati nella cattedrale devastata e davanti a loro è stato evidente che – nello scempio – è rimasta in piedi la Croce sull’antico altare e ai suoi piedi la Mater dolorosa (si è salvata anche le reliquie della Passione di Cristo, la Corona di spine conservata nella cattedrale).

Dunque, fra le rovine della storia, resta in piedi, indistruttibile, la Croce di Cristo, speranza di salvezza: “Stat Crux dum volvitur orbis”.

Il giorno dopo il disastro, martedì 16 aprile (compleanno di Benedetto XVI), è la festa di santa Bernadette Soubirous, la ragazzina a cui la Madonna apparve a Lourdes, l’altro cuore mariano della Francia, per guarire il mondo ammalato. 

La doppia coincidenza temporale (di Benedetto e di Bernadette) sembra indicare da dove si comincia a ricostruire: da Pietro e da Maria (non da Macron).

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 17 aprile 2019 

Tornano Destra e Sinistra? Lo proclama la copertina dell’Espresso : “Chi si rivede: Destra e Sinistra. Da una parte i nazionalisti, i sovranisti, i nostalgici. Dall’altra le donne, i ragazzi, gli ambientalisti”.

Tutto chiaro dunque. Da una parte brutti, sporchi, cattivi e ottusi. Dall’altra belli, puliti, buoni e intelligenti. Da una parte il Male, dall’altra il Bene, da una parte il torto, dall’altra la ragione.  

Questa è l’autorappresentazione della Sinistra. Tutto chiaro, semplice e rassicurante. Permette di sentirsi i migliori, superiori ai “nemici”. Solo che poi la realtà non sta nei suoi schemi: per esempio, l’Espresso dove metterebbe Berlusconi, oggi?

Cosa è di Sinistra e cosa è di Destra èl’assillo di sempre dei compagni che devono incasellare tutto nei loro schemi manichei in bianco e nero. 

Ricordano il vecchio film “Maledetti vi amerò” , dove il protagonista, il sessantottino Svitol , tornato in Italia alla fine degli anni Settanta, cercava di ritrovare le coordinate: “Il tè è di sinistra, come il riso integrale e la cucina macrobiotica. Il caffè invece è di destra, anche il bagno con la vasca è di destra. La doccia, invece, è di sinistra. L’erotismo è di sinistra, la pornografia è di destra. L’eterosessualità è di destra, l’omosessualità, invece, ha un profondo valore trasgressivo, quindi è di sinistra. In quanto a Nietzsche è stato rivalutato, cioè adesso è di sinistra… compagni, non facciamo casino, ah! Bisaglia è di destra, Basaglia è di sinistra. Cosa vuol dire una vocale….

E oggi? Su Twitter un certo Matteo Brandi ha ironicamente rappresentato così la Sinistra del 2019: “Viva i Rom, ma non nel mio quartiere. Viva il libero mercato, ma non per la mia radio. Viva le culture del mondo, ma non la mia. Viva l’austerity, ma non con i miei soldi. Viva il precariato, ma non per mio figlio. Viva la democrazia, ma non contro le mie idee”.

Si potrebbe continuare. Viva le tasse, ma non per me. Viva la libertà di parola, ma non per chi esprime idee che io avverso. Viva il suffragio universale, ma solo se decreta la vittoria della mia parte.

Viva gli altri popoli europei, ma non quando votano per la Brexit o manifestano coi gilet gialli contro Macron o scelgono i sovranisti. Viva gli Stati Uniti, ma solo se non votano Trump.

Viva i migranti, ma in periferia, non nel mio luogo di vacanza o nel mio condominio. Viva l’Umanità dall’altra parte del mare. Se invece è dall’altra parte del muro – sotto forma di vicino rumoroso – è insopportabile.

E poi: viva la lotta al riscaldamento globale, ma non chiedete a me di rinunciare alla macchina o ai miei consumi e al mio benessere. 

Viva il Tricolore, ma solo finché c’era la polemizzare con la Lega bossiana. Oggi va assolutamente sostituito con la bandiera della UE.

Viva la bandiera della pace (da appendere ai balconi), ma solo per la guerra all’Iraq, non per quella alla Serbia o alla Libia.

Viva la sovranità nazionale, ma solo finché – in anni lontani – si manifestava contro la Nato e contro gli Stati Uniti. Oggi è un’espressione detestabile. Viva il Mercato, ma solo oggi, perché fino a ieri era il demonio.

In effetti l’uomo di Sinistra deve fare attenzione con le cose da avversare. Dimenticati gli slogan rivoluzionari di ieri, oggi si proclama contro le parole di odio, ma solo quelle degli altri. E’ contro l’intolleranza, ma non la sua.

Contro i “privilegi”, ma quelli altrui (per i propri ha una certa benevolenza). Contro l’omofobia e la discriminazione delle donne, ma facendo spallucce e fischiettando se parliamo di certi paesi islamici.

Contro la Chiesa, ma non i preti progressisti che stanno con la Sinistra. Contro Berlusconi, ma non ora che avversa il governo.

Contro il M5S, ma solo finché è alleato della Lega. Se volesse graziosamente coalizzarsi con il PD diventerebbe un’apprezzabile “costola della Sinistra”.

Contro la piazza, ma solo se ha idee “populiste”, in caso contrario va esaltata la magnifica manifestazione democratica.

Contro il muro col Messico di Trump (che non è ancora stato innalzato), ma senza dire parola contro il muro col Messico già costruito da Bill Clinton (anche Giorgio Mario Bergoglio è contro tutti i muri eccetto le alte e invalicabili mura vaticane).

E ancora: contro le frontiere chiuse di Salvini, ma non contro quelle di Minniti. Contro l’attacco alle pensioni (usare l’espressione “massacro sociale”), ma non quando a “riformarle” è un governo “progressista”.

La conclusione potremmo affidarla a Nicolas Gomez Davila: “L’uomo di sinistra si crede generoso perché le sue mete sono confuse”.

Oppure – fate voi – a Oriana Fallaci: “Per tenersi a galla oggi bisogna stare a sinistra”. Non solo perché conviene, ma anche perché “ti garantisce il potere” ed “è di moda. Sissignori… È un conformismo, una convenzione. Soprattutto per i banchieri e i magnati e i presunti intellettuali… Per i giornalisti e le giornaliste… Per gli stilisti… Per la Confindustria che fa lingua in bocca con la Cgil, insomma per quella che in America si chiama ‘the Caviar Left’. La Sinistra al Caviale”.  

Il caviale del tramonto.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 8 aprile 2019

A chi si è addormentato con le chiacchiere monotone e “politicamente corrette” delle élite clericali che lisciano il pelo ai salotti delle ideologie dominanti, il nuovo libro del card. Robert Sarah provocherà uno choc.

E’ sulla linea del magistero di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II non solo sui temi dottrinali, ma anche sulle questioni sociali del presente.

Il cardinale africano giganteggia nella Chiesa attuale per la sua autorevolezza, la sua spiritualità, per il suo distacco dalle lotte curiali e per la sua coraggiosa voce di verità.

Del resto già da giovane vescovo in Guinea  entrò in urto col regime socialista, cioè “con Sekou Touré sempre più inferocito contro questo nuovo pastore indomito difensore della fede. Dopo la morte improvvisa del tiranno, nel 1984, scopriranno che Sarah era il primo sulla lista dei nemici”  (Sandro Magister).

Specialmente sul tema dell’emigrazione  lui, africano proveniente da un villaggio poverissimo, è totalmente controcorrente rispetto al clericalismo di sinistra

Mette in guardia dalla “barbarie islamista” (come dalla barbarie materialista), appoggia i paesi di Visegrad che difendono le loro identità nazionali e boccia il Global Compact sulle migrazioni.

Ormai – dice –“ci sono molti paesi che vanno in questa direzione e ciò dovrebbe indurci a riflettere. Tutti i migranti che arrivano in Europa vengono stipati, senza lavoro, senza dignità… È questo ciò che vuole la Chiesa? La Chiesa non può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è diventata la migrazione di massaSe l’Occidente continua per questa via funesta esiste un grande rischio – a causa della denatalità – che esso scompaia, invaso dagli stranieri, come Roma fu invasa dai barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo”.

Così, in un’intervista a “Valeurs Actuelles” , ha presentato il suo nuovo libro, appena uscito in Francia (in italiano arriverà a fine estate), che s’intitola Le soir approche et déjà le jour baisse” , titolo che richiama il passo del Vangelo sui pellegrini di Emmaus.

E’ un grido d’allarme sulla Chiesa, sull’Europa e sulla sua Africa che ritiene danneggiata dall’ondata migratoria: “C’è una grande illusione che consiste nel far credere alla gente che i confini saranno aboliti. Gli uomini si assumono rischi incredibili. Il prezzo da pagare è pesante. L’Occidente è presentato agli africani come il paradiso terrestre(…). Ma come si può accettare che i paesi siano privati ​​di così tanti loro figli? Come si svilupperanno queste nazioni se così tanti loro lavoratori sceglieranno l’esilio?” 

Il prelato si chiede quali sono le strane organizzazioni “che attraversano l’Africa per spingere i giovani a fuggire promettendo loro una vita migliore in Europa? Perché la morte, la schiavitù e lo sfruttamento sono così spesso il vero risultato dei viaggi dei miei fratelli africani verso un eldorado sognato? Sono disgustato da queste storie. Le filiere mafiose dei trafficanti devono essere sradicatecon la massima fermezza. Ma curiosamente restano del tutto impunite”. 

Non si può far nulla? Il prelato cita “il generale Gomart, ex capo dell’intelligence militare francese”, il quale di recente ha spiegato: “Questa invasione dell’Europa da parte dei migranti è programmata, controllata e accettata […] Niente del traffico migratorio nel Mediterraneo è ignorato dalle autorità francesi, militari e civili”.  

Sarah si dice traumatizzato da quello che è accaduto negli anni scorsi: “La barbarie non può durare più. L’unica soluzione duratura è lo sviluppo economico in Africa. L’Europa non deve diventare la tomba dell’Africa”. Perciò “si deve fare tutto affinché gli uomini possano rimanere nei paesi in cui sono nati”

Così il cardinale si schiera purecontro il Global Compact che invece è sostenuto da Bergoglio: “Questo testo ci promette migrazioni sicure, ordinate e regolari. Ho paura che produrrà esattamente il contrario. Perché i popoli degli Stati che hanno firmato il testo non sono stati consultati? Le élite globaliste hanno paura della risposta della democrazia ai flussi migratori?”.

Sarah ricorda che hanno rifiutato di firmare questo patto paesi come Stati Uniti, Italia, Australia, Polonia e molti altri. 

Poi il cardinale critica il Vaticano che lo appoggia: “sono stupito che la Santa Sede non sia intervenuta per cambiare e completare questo testo, che mi sembra gravemente inadeguato”. 

E boccia le élite europee: “Sembra che le tecnostrutture europee si rallegrino dei flussi migratori o li incoraggino. Esse non ragionano che in termini economici: hanno bisogno di lavoratori che possano essere pagati poco. Esse ignorano l’identità e la cultura di ogni popolo. Basta vedere il disprezzo  che ostentano per il governo polacco”. 

Alla fine di questa strada – avverte Sarah – c’è solo l’autodistruzione. Secondo il cardinale si è approfittato della pur giusta lotta “contro tutte le forme di discriminazione” per imporre l’utopia della “scomparsa delle patrie”. Ma questo “non è un progresso”

Il multiculturalismo non va confuso con la carità universale: “La carità non è un rinnegamento di sé. Essa consiste nell’offrire all’altro ciò che di meglio si ha e quello che si è. Ora, ciò che di meglio l’Europa ha da offrire al mondo è la sua identità, la sua civiltà profondamente irrigata di cristianesimo”. 

Invece, secondo il cardinale, l’attuale globalizzazione “porta a un’omologazione dell’umanità, mira a tagliare all’uomo le sue radici, la sua religione, la sua cultura, la storia, i costumi e gli antenati. Così diventa apolide, senza patria, senza terra. È a casa dappertutto e da nessuna parte”.

Perciò il prelato spezza una lancia a favore dei paesi cosiddetti sovranisti: “I paesi, come quelli del gruppo di Visegrád, che si rifiutano di perdersi in questa pazza corsa sono stigmatizzati, a volte persino insultati. La globalizzazione diventa una prescrizione medica obbligatoria. Il mondo-patria è un continuum liquido, uno spazio senza identità, una terra senza storia”.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 7 aprile 2019

“Debuttai come giornalista (in nero e senza un contratto di lavoro, proprio come si usa oggi) nel 1977 alla ‘Città futura’. Era il giornale della Federazione giovanile comunista italiana”.

Così impietosamente Federico Rampini – oggi firma di punta di “Repubblica” – ricorda il suo esordio professionale nel suo ultimo libro, “La notte della sinistra”, dove affonda il coltello nelle contraddizioni, nelle ipocrisie e negli errori della sua parte politica, che elenca:“dall’immigrazione alla vecchia retorica europeista ed esterofila, dal globalismo ingenuo alla collusione con le élite del denaro e della tecnologia”.

Il libro di Rampini in pratica demolisce la Sinistra. L’autore invita anzitutto a smetterla di “raccontarci che siamo moralmente superiori e che là fuori ci assedia un’orda fascista”.

Invita anche a smetterla “di infliggere ai più giovani delle lezioni di superficialità, malafede, ignoranza della storia. Si parla ormai a vanvera di fascismo, lo si descrive in agguato dietro ogni angolo di strada, studiando pochissimo quel che fu davvero… Si spande la retorica di una nuova Resistenza, insultando la memoria di quella vera (o ignorandone le contraddizioni, gli errori, le tragedie)”. 

Poi l’autore ricorda le orribili assemblee studentesche degli anni Settanta, dove “gli estremisti, decidevano chi aveva diritto di parola e chi no. ‘Fascisti’, urlavano a chiunque non la pensasse come loro. L’élite di quel momento (giovani borghesi, figli di papà, più i loro ispiratori e cattivi maestri tra gli intellettuali di moda) era una Santa Inquisizione che sottoponeva gli altri a severi esami di purezza morale, di intransigenza sui valori”. 

Attualmente sembra si sia disinvoltamente cambiato tutto, ma “nel politically correct di oggi sono cambiate solo le apparenze, il linguaggio, le mode. Tra i guru progressisti ora vengono cooptate le star di Hollywood e gli influencer dei social, purché pronuncino le filastrocche giuste sul cambiamento climatico o sugli immigrati. Non importa che abbiano conti in banca milionari, i media di sinistra venerano queste celebrity.
Mentre si trattano con disgusto quei bifolchi delle periferie che osano dubitare dei benefici promessi dal globalismo”.

Le parole d’ordine e gli slogan dell’attuale Sinistra vengono demoliti con chirurgica precisione. I sovran-populisti sono accusati di alimentare la paura

“Da quando in qua” si chiede Rampini “la paura è una cosa di destra, anticamera del fascismo? Deve vergognarsi chi teme di diventare più povero? Chi patisce l’insicurezza di un quartiere abbandonato dallo Stato?

E le parole identità, patria, interesse nazionale? Rampini sconsolato scrive: “dobbiamo smetterla di regalare il valore-Nazione ai sovranisti …”. A loro – dice – “abbiamo lasciato” la parola Italia: “certi progressisti” si commuovono per le grandi cause come “Europa, Mediterraneo, Umanità” mentre ritengono la nazione “un eufemismo per non dire fascismo”.

Solo che la liberal-democrazia è nata proprio “dentro lo Stato-nazione” e Mazzini e Garibaldi “erano padri nobili della sinistra”, la quale peraltro ha “venerato tanti leader del Terzo Mondo – da Gandhi a Ho Chi Minh a Fidel Castro – che erano prima di tutto dei patrioti”.

La Sinistra nostrana si entusiasma solo per il sovranismo altrui. Rampini osserva: “non si conquistano voti presentandosi come ‘il partito dello straniero’. Negli ultimi tempi in Italia il mondo progressista ha sistematicamente simpatizzato con Macron quando attaccava Salvini e con Juncker quando criticava il governo Conte”. 

Così si conferma “il sospetto che la sinistra sia establishment, e pronta a svendere gli interessi nazionali. Ed è un’illusione anche scambiare Macronper un europeista: è un tradizionale nazionalista francese, che dell’Europa si serve finché gli è utile, ma per piegarla ai propri interessi”.

Su Juncker poi Rampini è durissimo ricordando che faceva parte del governo del Lussemburgo  quando adottava certe politiche fiscali, cioè offriva “privilegi fiscali alle multinazionali di tutto il mondo: uno dei principali meccanismi di impoverimento del ceto medio e delle classi lavoratrici di tutto l’Occidente”.

Secondo Rampini “uno che ha governato il Lussemburgo” non dovrebbe essere “promosso” a dirigere la Commissione europea. L’autore trova incredibile che “opinionisti di sinistra abbiano tifato per Juncker”.

E poi si chiede: “Perché solo gli italiani dovrebbero vergognarsi di avere cara la propria nazione?Definirsi europeisti in chiave antinazionale, il vezzo attuale della nostra sinistra, è un errore grave: a Bruxelles né i tedeschi né i francesi dimenticano mai per un solo attimo di difendere con determinazione gli interessi del proprio paese”. 

Il primo capitolo del libro s’intitola “Dalla parte dei deboli… solo se stranieri”. La fissazione delle élite progressiste per gli immigrati (che sono utilissimi a un certo capitalismo per abbattere retribuzioni e protezioni sociali) va di pari passo con la dimenticanza della stessa Sinistra per i nostri poverie il nostro ceto medio impoverito. Qui l’analisi di Rampini si fa spietata per moltissime pagine.

E fa capire perché il popolo e i lavoratori hanno divorziato dalla Sinistra e questa è diventata il partito delle élite e dei quartieri-bene: “L’Uomo di Davos ha plagiato la sinistra, i cui governanti si sono alleati proprio con quelle élite”

La conclusione di Rampini è questa: “non vedo un futuro per la sinistra italiana se si ostinerà a essere il partito dei mercati finanziari e dei governi stranieri, in nome di un europeismo beffato proprio da tedeschi e francesi”.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 31 marzo 2019

Quella che, alle porte di Milano, la settimana scorsa, poteva essere una strage di bambini e (grazie a Dio) è stata scongiurata dal pronto intervento dei Carabinieri, sui media è stata trasformata nell’occasione per far propaganda allo “Ius soli”. Paradossale – visto che l’autista era un senegalese diventato cittadino italiano – ma è così

Per questo i media hanno trasformato in un eroe il giovane Ramy, in quanto egiziano, mentre sono spariti dalle cronache tutti quei ragazzi i quali – essendo appunto italiani – non servivano alla causa. Un titolo per tutti, quello del “Corriere della sera” : “Ramy, il ragazzino eroe: ‘Sogno la cittadinanza’”. 

Tutti i riflettori sono stati per lui. Non si è più visto il bambino (credo si chiami Riccardo ) che ha preso per primo il telefonino per cercare aiuto. Dall’unica, iniziale, intervista che gli è stata fatta appare come un ragazzino italiano, biondo, con un piccolo crocifisso al collo, quindi non serviva per la narrazione migrazionista. 

Così come non si è saputo nulla del ragazzo, veramente eroico, che – quando l’autista ha preteso uno che andasse lì vicino a lui, da tenere a portata di mano – si è offerto come volontario(“altrimenti minacciava di far saltare in aria il bus…”). Un vero eroe. Ma solo i ragazzi stranieri hanno avuto la celebrazione mediatica.

L’unico italiano a cui i media hanno dedicato qualche attenzione è colui che – mentre correva via dal pullman con i suoi amici – ha gridato due volte “ti amo” . L’episodio corrispondeva alla sensibilità oggi dominante che cucina “l’amore” in tutte le salse e in tutti i modi possibili. Così ha suscitato palpiti di commozione e interesse.

A lui infatti sono state dedicate le considerazioni di Massimo Gramellini sulla prima pagina del “Corriere” , che ha scritto: “Sono affascinato dal ragazzino che urla ‘ti amo… io ti amo’, mentre scappa con i compagni dallo scuolabus in fiamme, ma anche seriamente preoccupato per lui”.

E la preoccupazione – spiega sarcasticamente Gramellini – sta nella “possibilità che, in mezzo a tutto quel frastuono, la destinataria del suo ‘Ti amo’ non si sia accorta di nulla. O, peggio, che se ne sia accorta e gli abbia risposto: ‘Ti voglio bene anch’io, ma più come amico’ ”. 

Noi adulti siamo scafati e sappiamo come vanno queste faccende di cuore. Guardiamo con tenerezza, ma anche con una certa disincantata ironia  i ragazzi che a 12 anni non hanno ancora capito che l’amore espone ad amare delusioni.  

Anche “Le iene” hanno acceso un faro su questo ragazzo e sono andate a cercarlo. Ma – una volta trovatolo – ecco la sorpresa che ha spiazzato l’intervistatrice. 

Guglielmo – questo è il nome di quel dodicenne – ha una faccetta simpatica e una felpa gialla. Appare un po’ intimidito dalle telecamere. 

Dopo aver detto che ora sta bene (“mi sono ripreso dallo spavento”), alla giornalista che gli chiedeva a chi erano rivolte le parole ‘ti amo’, ha spiegato: “Erano rivolte al Signore, perché sul pullman eravamo tutti disperati e anche io ho voluto fare una mia preghiera. E quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata e quindi ho voluto ringraziare”

La giornalista, stupita (e spiazzata) chiede: “E hai urlato…?”: E lui : “(Ho urlato) Dio ti amo!” .Ecco svelato il mistero. Non “io ti amo!”, ma “Dio, ti amo!”. Così, in questi strani giorni, in un momento storico che affonda nel cinismo, ci è arrivata una lezione da un bambino che spalanca un orizzonte dimenticato. E’ sembrato avverarsi quanto proclama il Salmo 8: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti/ affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,/ per ridurre al silenzio nemici e ribelli”.

Quei ragazzi, nel momento del terrore, si sono raccomandati a Dio e, una volta liberati dal pericolo, scappando verso la libertà, Guglielmo – per tutti gli amici – con quel grido (“Dio ti amo!”) ha ringraziato il Padre che tutti abbiamo nei Cieli.

Dietro il bel volto luminoso di Guglielmo c’è quell’Italia umile, fatta di famiglie, parrocchie e oratori che è e resta ancora l’Italia che dà speranza. Ed è la bella Italia che sui media non sembra degna di essere raccontata.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 27 marzo 2019

Condivido le forti perplessità di Matteo Salvini sul Memorandum firmato dall’Italia con la Cina.  

So bene che con Pechino possono esserci opportunità commerciali da cogliere e so pure che i partner europei che oggi ci rimproverano lo stanno facendo più di noi e da tempo. Anche la UE predica bene e poi razzola male. 

Tutto vero. Ma qua c’è in gioco qualcosa di enorme, come gli equilibri geopolitici ed economici del mondo e bisogna andarci cauti, non si può irrompere in un tale campo minato con la naïveté, la superficialità e l’improvvisazione del nostro governo.

Basti citare il problema strategico sollevato dagli Stati Uniti, con grande allarme, quello delle telecomunicazioni: era sempre stato escluso, dall’esecutivo, che nel Memorandum si parlasse di telecomunicazioni e invece sono esplicitamente citate insieme ad altri temi strategici come energia e spazio. Fare il gioco delle tre carte su problemi così gravi dimostra una certa irresponsabilità.

Ma a parte questo enorme problema relativo al 5G e alla sicurezza, che in parte è stato contenuto grazie all’intervento del presidente Mattarella e della Lega, cosa c’è in gioco?

Il fatto è che siamo andati a metterci in mezzo allo scontro epocale fra due colossi: gli Stati Uniti e la Cina. E possiamo romperci le ossa.

Lo scontro è insieme economico e politico e riguarda il futuro del mondo. Come scriveva su “Limes” Francesco Sisci “lasse del potere economico del mondo si sta spostando”. 

Proprio in questi mesi la Cina sta tentando lo storico sorpasso sugli Stati Uniti per diventare il paese con il prodotto interno lordo più grande del pianeta. E secondo certi calcoli, se si paragonano i due paesi a parità di potere d’acquisto, già nel 2017 il Pil cinese è stato superiore a quello americano.

Da qui l’offensiva di Trump sui dazi, per riequilibrare il commercio mondiale in cui la Cina fa la parte del leone perché non garantisce né il libero mercato, né i diritti sociali e civili.

Senza un riequilibrio gli Usa e l’Occidente non saranno più il motore economico (e quindi politico) del globo. 

Non è preoccupante che lo diventi una potenza comunista che calpesta tutti i diritti umani e che ha 1 miliardo e 300 milioni di abitanti?

Del resto, come spiegava Pam Woodall, “la storia ci dice che, ahinoi, solo raramente tali spostamenti di potere economico avvengono in modo morbido”.

Si può davvero credere che gli Usa siano disposti a cedere alla Cina lo scettro del mondo? E l’Italia con chi si schiera?

Entrare nell’orbita economica cinese significa anche entrare nella sua orbita politica. Tanto è vero che già oggi la forza economica cinese condiziona i governi democratici occidentali : basti pensare al totale silenzio che essi osservano, nei rapporti con la Cina, sull’enorme problema dei diritti umani, fino al punto di rifiutarsi di ricevere il Dalai Lama per non “dispiacere” a Pechino. 

Il recente incidente verificatosi al Quirinale tra unfunzionario dell’ambasciata cinese in Italia e una giornalista del “Foglio”  fa capire come i cinesi considerano la libertà di stampa. E soprattutto fa capire che non intendono limitarsi a negarla in Cina, ma pretendono di farlo anche da noi.

Se già oggi, in nome degli affari, glissiamo allegramente sui diritti umani in Cina, domani cederemo anche sulla nostra democrazia se può danneggiare i “buoni rapporti”.

Del resto gli affari li fanno soprattutto i cinesi. Guido Crosetto ha picchiato sul governo: “Gli stessi che hanno fatto un provvedimento che punisce, giustamente e con una logica chiara, chi delocalizza in Romania, ora spingono alla creazione di un fondo pubblico per aiutare chi vuole delocalizzare in Cina. Con la logica politica non riesco a capire”.

Altro che Marco Polo, rischiamo di diventare Marco Pollo e farci spennare pure dai cinesi. Non è pessimismo, è realismo. Se son rose sfioriranno.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 25 marzo 2019